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METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 3: il principio di non contraddizione

METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 3: il principio di non contraddizione

Ott 22

In quello che convenzionalmente è definito come il terzo capitolo del libro quarto della Metafisica di Aristotele vi è la giustificazione del perché il filosofo deve occuparsi dei principi di tutto l’essere in generale e l’esposizione dei due principi fondamentali che sono quello di non contraddizione e del terzo escluso. Aristotele scrive:

Bisogna dire se sia compito di una scienza unica o diversa <indagare> intorno a quelli che nelle matematiche sono chiamati assiomi e alla sostanza. Ora è evidente che la ricerca intorno agli assiomi è compito di un’unica scienza, ossia quella del filosofo. Infatti, essi appartengono a tutti gli enti e non a un qualche genere, indipendentemente, nella loro privatezza, dagli altri. E se ne servono tutti, poiché sono propri dell’ente in quanto ente, e ciascun genere è ente. Ma se ne servono per quanto a loro è sufficiente, ossia quanto si estende il genere intorno al quale portano le dimostrazioni. Di conseguenza, poiché è chiaro che appartengono a tutte le cose in quanto enti (giacché l’ente è ciò che è loro comune), anche l’indagine intorno ad essi è propria di colui che fa chiarezza intorno all’ente in quanto ente.

Aristotele usa un termine che aveva utilizzato Euclide e parla di “assiomi” cioè principi indimostrabili di originari. Euclide utilizzò il termine per definire le proposizioni basilari della geometria, per Aristotele vi sono degli assiomi anche per la filosofia riguardo alla sapienza che studia l’essere in quanto essere o l’essere in generale. Questi assiomi sono fondamentali e attraversano tutto l’essere, sono cioè validi in ogni genere e quindi in ogni scienza particolare, che deve quindi rispettarli; ciò però non implica che sia compito di una scienza particolare dare ragione ad un assioma che le è assiologicamente precedente, che appartiene cioè all’ambito originario dell’essere in generale. Siccome abbiamo visto che è il filosofo che deve occuparsi di quest’ambito allora sarà il filosofo ad avere l’onere di dare ragione dei degli assiomi in quanto principi dell’ente in generale. Aristotele scrive:

Ma poiché qualcuno è ancora al di sopra del fisico (infatti la natura è un certo genere soltanto dell’ente) anche l’indagine sugli assiomi sarà propria di colui che specula sull’universale e sulla sostanza prima. Infatti, anche la fisica è una sapienza ma non prima. Quanto a tutti i tentativi che operano taluni di coloro che in merito alla verità parlano del modo in cui la si deve accogliere, essi fanno questo per mancanza di cultura degli Analitici, […].

Che dunque sia proprio del filosofo, ossia di colui che specula sulla sostanza, com’è per natura, ricercare anche sui principi sillogistici, è chiaro. Conviene che colui che nell’ambito di ciascun genere possiede la massima conoscenza debba enunciare i principi più saldi della cosa <di cui tratta>. Di conseguenza conviene anche che colui che specula sull’ente in quanto ente debba enunciare i principi più saldi di tutti. Costui è il filosofo.

Esiste per Aristotele una scienza superiore alla fisica e in un certo senso questa è letteralmente meta-fisica, anche se non si capisce se questo sia un giudizio di valore o solo una distinzione di ambiti. La fisica è la scienza della natura, tutte le sostanze sovrasensibili e immateriali esulano dalla fisica e quindi deve occuparsene un’altro ambito che è il terreno di speculazione del filosofo: si tratta della filosofia prima. Da queste considerazioni nascono però dei problemi, abbastanza specialistici per il vero, d’interpretazione a cui solo brevemente accenno ripercorrendo in parte l’esposizione che ne dà Zanatta. Bisogna capire se la natura del sovrasensibile sia essa stessa un genere (cioè il genere del sovrasensibile), se fosse tale allora dovrebbe essere comunque materiale poiché il genere è materia “sia pur intelleggibile” (cito le parole di Zanatta) delle specie, ciò risulterebbe contraddittorio perché le sostanze sovrasensibili sono immateriali (si vedrà nel quinto libro a riguardo dei vari significati che Aristotele dà di “genere”). Questo tipo di interpretazione è infelice anche perché in secondo luogo questo genere sarebbe comune di tutto l’ente trattando dell’essere in generale che è coestensivo dell’Uno e abbiamo visto che i generi sommi (“essere” ed “uno”) non possono essere considerati dei generi. In alternativa si potrebbero considerare l'”universale” e la “sostanza prima” cioè l’ente come due oggetti diversi studiati da due scienze diverse, operazione però impossibile visto che l’essere in generale e la sostanza prima coincidono e quindi debbono essere studiati da una sola scienza, cioè la filosofia prima che si risolve nell’usiologia.

Aristotele procede ricordando che per la comprensione dell’argomento in questione è importante aver letto un’altra sua opera cioè gli Analitici. Il riferimento a quest’opera riguarda l’indimostrabilità dei principi, i quali si possono ricavare solo per confutazione e non per dimostrazione, questo per evitare il regresso all’infinito e la nullificazione della gnoseologia, infatti se i principi fossero fondati sul altri principi essi perderebbero la loro essenza di essere primi e l’essere principio spetterebbe a qualcos’altro all’infinito.

Aristotele scrive che per ciascun ambito, sia lo specialista di quell’ambito a formulare i principi della sua materia, così spetta al filosofo enunciare i principi della filosofia prima. Un’importante considerazione da fare è che in questa operazione non si parla di scienza il cui compito è dedurre da principi; infatti qui si devono ritrovare e delineare i principi, essendo questa una operazione differente e anteriore al dedurre. Tale compito spetta alla sapienza “sofia” che è insieme l’intelletto come “nous” e la scienza “episteme”. L’intelletto infatti per Aristotele è la facoltà che conosce i principi.

Arriviamo quindi alla prima formulazione generale del principio di non contraddizione, Aristotele scrive:

Infatti, quel principio che colui che comprende qualsivoglia degli enti è necessario che possieda, questo non è una ipotesi; e ciò che per chi conosce qualsivoglia cosa è necessario conoscere, è necessario che già si possieda quando si raggiunge la conoscenza.

Che dunque tale principio sia il più saldo di tutti, è chiaro. Ma dopo queste <osservazioni> diciamo quale esso sia. Eccolo: è impossibile che la stessa cosa appartenga e non appartenga alla stessa cosa nello stesso tempo e rispetto alla stessa cosa […] Ebbene, questo è il più saldo di tutti i principi, […].

Questa è la prima formulazione del principio di non contraddizione, che Aristotele dice essere “anipotetico” cioè indubitabile. Nel primo paragrafo della citazione è espresso come chiunque voglia raggiungere qualsiasi tipo di conoscenza possibile, anche se inconsciamente, dovrà concordare con questo principio, pena il relativismo e quindi l’assoluta impossibilità di stabilire relazioni e gerarchie. Se la conoscenza è organizzazione di informazioni (perdonatemi questa semplicistica affermazione), il principio di non contraddizione afferma che ad un soggetto non possano essere attribuiti simultaneamente e nello stesso spazio due  predicati contrari sotto un medesimo aspetto. Questo principio è ancora la base della logica moderna, che lavora anche in tutti i nostri computer, implica il principio di identità (che Aristotele non formula) il quale enuncia come ad uno stato di cose corrisponda se stesso e non altro. Tutto ciò permette ogni nostra affermazione su uno stato di cose qualsiasi sottraendolo dal completo arbitrio. Il principio di non contraddizione serve a costruire una argomentazione sensata ed impedisce di affermare contemporaneamente, ad esempio, che “Socrate è in piedi” e che “Socrate non è in piedi” oppure che “è giorno” e insieme “non è giorno” come affermazioni equivalenti ed interscambiabili. Certo la duplice natura di onda e corpuscolo propria di particelle elementari come gli elettroni, provata dalla fisica moderna, produce interessanti obiezioni alla dottrina aristotelica, ma i software dei nostri computer per il momento funzionano, e questo discorso meriterebbe una trattazione molto più diffusa in ambito di filosofia della scienza.

Nel prossimo post vedremo invece le varie formulazioni del principio di non contraddizione e le obiezioni dei detrattori che falliscono nel confutare il tale principio, infatti non è possibile darne dimostrazione, mentre rimane possibile osservare come ogni argomento che tenta di scardinare il principio non colga nel segno.

 


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