Temi e protagonisti della filosofia

Aristotele, Su Democrito

Aristotele, Su Democrito

Giu 13

 

 

Simpl., In Arist. De Caelo, p. 294, 23-295, 26: or dunque, anche queste aggiunte fa Alessandro, ossia che coloro che leggono il tutto come esibente quando questo stato, quando quest’altro, scelgono un’alterazione del tutto meglio che generazione e corruzione. Coloro che per contro ‒ professa ‒ leggono il cosmo come generabile e corruttibile come qualunque altro dei costituenti sarebbero i proseliti di Democrito. Come, difatti, ciascuna delle altre cose si genera e si corrompe, così, ecco dunque, per loro, anche ciascuno degli infiniti cosmi. Come dunque nell’occorrenza degli altri oggetti il nascente non è identico al corrompentesi se non, orbene, nella visuale della specie, così leggono anche l’occorrenza dei cosmi. Se comunque gli atomi rimangono identici, essendo impassibili, è chiaro che anche costoro legittimeranno un’alterazione ma non una corruzione dei cosmi, come per davvero sembrano legittimarla nelle lor dottrine Empedocle ed Eraclito. Dunque, poche trascrizioni scelte dalle perlustrazioni di Aristotele Su Democrito chiariranno il pensiero di quegli uomini:

«Democrito ritiene che la natura delle realtà fisiche eterne sia rappresentata da micro-entità infinite per pluralità; qual luogo per queste, dunque, ipotizza dell’altro, infinito per magnitudine; appella dunque il luogo coi nomi di questa specie: il vuoto, il nulla, l’infinito, mentre appella ciascuna delle entità qualcosa, il solido, l’essente. Reputa dunque che le entità siano così piccole che sfuggono ai nostri sensi, e che appartengano a queste sostanze forme d’ogni sorta, ovvero che esibiscano schemi d’ogni sorta e differenza di magnitudine. Or dunque, da queste esistenze come già da elementi si generano, ovvero si compongono, le masse manifeste al discernimento oculare, ovvero sensibili; son instabili dunque e si trasferiscono nel vuoto a causa della disomogeneità e delle altre differenze verbalizzate; trasferendosi dunque cadono <una sull’altra> e s’implicano in un amplesso tale da far sì c’’esse siano atte a entrare in contatto e siano accostate l’una all’altra. Comunque, in non-latenza [: verità], da loro non si genera una singola natura effettiva né una qualunque, siccome è perfettamente ingenuo che due o più cose a volte divengano un singolo. All’occorrenza, or dunque, del fatto che le entità rimangano l’una con l’altra sino a un qualche momento s’imputano le alterazioni e gli scambi dei corpi: siccome alcuni di essi sono scaleni, altri a forma d’uncino, altri cavi, altri convessi, altri esibenti altre innumerevoli differenze. Avanzando sino a tanto tempo, dunque, reputa che abbiano compattezza tra loro stesse e permangano congiunte, sino all’occasione in cui qualche necessità più vigorosa, derivata da quel che le contiene, le scuota e le sparga distante».

Legge dunque la generazione e la discrezione opposta a essa come non rimanenti pertinenti ai soli animali, ma pertinenti altresì alle piante e ai cosmi e, complessivamente, all’insieme di tutti i corpi sensibili. Se allora la generazione è concerto degli atomi mentre la corruzione è discrezione, allora anche per Democrito la generazione sarà alterazione. E difatti ecco che anche Empedocle professa che il diveniente non è identico al corrompentesi se non nella visuale della specie, e similmente Alessandro professa che costui ipotizza un’alterazione ma non una generazione.

 

La traduzione del frammento è stata condotta sul testo stabilito da Ross in:
Aristotelis, Fragmenta selecta, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. D. Ross, Oxford, Clarendon Press 1955.

 

 


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