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ARISTOTELE METAFISICA: LIBRO A, CAP 4-5

ARISTOTELE METAFISICA: LIBRO A, CAP 4-5

Gen 16

Dopo aver brevemente richiamato la dottrina delle quattro cause, già esplicitata nella Fisica, Aristotele compone la pars construens del suo discorso riguardo ai predecessori esaminando più da vicino le varie loro teorie. L’intento di Aristotele, come ricorda Zanatta, non è di cercare ciò che è stato veramente detto rispetto alle dottrine dei predecessori, ma di cercare la verità nel suo discorso e cioè verosimilmente di applicare il principio di carità per far sì che gli argomenti, come sono arrivati a lui, siano seriamente considerati riportandoli (anche attraverso il proprio sforzo) alla migliore coerenza possibile dove questa dovesse mancare o vacillare (secondo l’insegnamento platonico, socratico). A questa seguirà la pars destruens la quale andrà a rilevare i limiti delle teorie dei predecessori di Aristotele.

Aristotele ricorda che anche i poeti, come Esiodo, stabilivano che all’inizio di tutto vi era “amore” come sorgente (e causa forse anche finale) di ogni cosa. La presenza del delle cose brutte, delle cose malvagie contrarie all’amore e alla bellezza hanno fatto sì che si considerassero due principi opposti: “amore” e “odio”, bellezza e bruttezza. Pensiamo che per i greci amore, inteso come bene, contiene i connotati della bellezza, non  può infatti esserci per i greci antichi un “bene” che sia anche “brutto”.
Per Aristotele è stato Empedocle a porre come principio di ogni cosa questa opposizione fra “bene” e “male”, donde tutte le cose buone e belle derivano in qualche misura dal “bene” e quelle malvagie e brutte dal “male”.
Viene poi chiamato in causa anche Anassagora, il quale fa un uso meccanico della “mente”, secondo Aristotele, chiamandola in causa ogni qual volta i suoi altri argomenti vacillano. Essendo forse questo un riferimento al fatto che le omeomerie di Anassagora per qualche ragione si riuniscono nei corpi e per qualche altra ragione poi si dividono nella dissoluzione dei corpi. Sembra che Aristotele apprezzi dopotutto Anassagora perché la sua “mente” o “Nous” (concetto greco dai moltissimi significati) è una causa non antropomorfica come invece sono “amore” e “odio” di Empedocle. Il “Nuos” di Anassagora è anche un qualche tipo di causa motrice, rispetto alle omeomerie come causa materiale o sostrato.
Empedocle dal canto suo è il primo ad introdurre due principi come cause, due principi opposti: da una parte gli elementi di aria, acqua, terra; dall’altra l’elemento del fuoco. L’elemento del fuoco inoltre funge da causa motrice, mentre gli altri tre sono principi d’“inerzia” secondo Empedocle.
Anche Leucippo e soprattutto Democrito (di cui ci sono rimasti solo frammenti e di cui si dice la grandezza fosse pari a quella di Platone) sostengono vi siano due principi opposti, sempre come causa materiale e questi sono il “pieno” e il “vuoto”, cioè la base della fisica antica ma anche moderna oserei dire (un attento studio di Democrito infatti complica notevolmente questi due principi).

Nel capitolo cinque del libro A Aristotele affronta le posizioni dei Pitagorici e degli Eleati.
I Pitagorici, da sempre molto esperti di matematica, hanno cercato, secondo Aristotele, di trovare una causa per la materia che fosse riconducibile ai numeri poiché i numeri sono la base della matematica. La natura infatti apparve a costoro molto più incline a somigliare ai numeri piuttosto che a uno o più dei quattro elementi, questo perché tramite i numeri, la matematica e la geometria, si potevano riscontrare corrispondenze e regolarità nella natura. Fintantoché i pitagorici pensarono che i cieli interamente fossero formati dai numeri. Possiamo vedere questa proposta come una forma di materialismo scientifico, perfettamente riduzionista secondo l’interpretazione di Aristotele, in quanto la natura dei numeri per i pitagorici non era necessariamente materiale, i pitagorici infatti rientrano per Aristotele fra i naturalisti: coloro che considerarono una causa materiale. Principi nei numeri inoltre sono: il “pari” (che esprime la misura, l’ordine, il limite e la forma) e il “dispari” (che simboleggia l’illimitato, il caos); essi sono causa della differenziazione di tutti i corpi, pari e dispari sono riuniti nell’“uno” che li contiene entrambi.
Un tardo (Aristotele non coglie questa sfumatura) pitagorismo inoltre riconduce la causa materiale a “dieci” (numero perfetto secondo i Pitagorici) coppie di opposizioni le cause di tutti i corpi (Aristotele non include in questa trattazione il carattere misterico, orfico di questo movimento religioso, scientifico e filosofico sfaccettato ed antichissimo, non ne ha motivo).
Fra coloro poi che considerarono come principio l’“uno” come causa incausata, allora qui non è nemmeno il luogo di trattazione, infatti per gli Eleati è difficile coniugare un “uno” eterno, puro, non generato, con la natura transeunte dei corpi.
Fra questi però è da prendere in considerazione Parmenide, che rilevando questa manchevolezza considera l’uno, ma anche una opposizione come causa della generazione e della corruzione dei corpi fisici, “caldo” e “freddo” che Aristotele chiama anche “luce” ed “ombra” e che per Parmenide sono riconducibili ai due elementi di “fuoco” e “terra”. Parmenide, assieme ad Empedocle ha considerato infatti non solo la causa materiale di ogni cosa ma anche quella motrice, nel numero di due. Anassagora nel numero di una.


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