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ARISTOTELE: METAFISICA, LIBRO A; CAPITOLO 9

ARISTOTELE: METAFISICA, LIBRO A; CAPITOLO 9

Feb 02

Mi scuso coi miei lettori per il ritardo con cui scrivo questo post. Vi avevo preannunciato di come questo sarebbe stato l’ultimo post riguardante il primo libro della Metafisica, ma devo ricredermi. Ho deciso di trattare in modo diffuso delle critiche che Aristotele muove a Platone.

Oggi tratteremo due delle principali critiche, quelle riguardanti “i relativi” e il problema del “terzo uomo”. Lo scritto di Aristotele è sintetico, pieno di accenni a quelle che al suo tempo erano considerate ovvietà e che oggi risultano incomprensibili. In parte possiamo reperire il materiale implicito del suo scritto attraverso il commento di Alessandro di Afrodisia (probabilmente il maggiore commentatore di Aristotele dell’antichità, vissuto a cavallo del primo e del secondo secolo dopo Cristo); in parte utilizzo il lavoro di Zanatta nel commentario alla Metafisica, il quale confronta le posizioni di molti commentatori illustri. Non sarà comunque possibile dipanare tutti i dubbi poiché Aristotele si era espresso sulla dottrina platonica in un suo trattato oggi chiamato il “De ideis”, purtroppo andato perduto, anche se probabilmente letto da Alessandro di Afrodisia. Aristotele tratta qui, nel libro A della Metafisica, della dottrina platonica per sommi capi, essendosi già dilungato in un’altra opera. La moltitudine di contro argomenti che egli dedica alla confutazione della dottrina del suo maestro è anche al contempo un attestato di stima, infatti tutti gli altri pensatori e fra loro anche i Pitagorici in toto, vengono liquidati molto velocemente.
Il Platone di Aristotele deve far fronte a due grandi problemi che nascono allorquando si vogliano far corrispondere le Idee (presenti in quello che Platone sembrerebbe chiamare “mondo astrale”) come enti sovrasensibili, con gli enti sensibili (nel mondo “sublunare” cioè il nostro). Le Idee, sappiamo, hanno platonicamente la funzione di essere una specie di “stampo” per la moltitudine degli oggetti empirici che sono tali, esistono, solo grazie al fatto di “partecipare”, in qualche modo, delle Idee. Un primo problema è capire se le Idee sono principio formale sia per gli enti sostanziali (approfondiremo questo argomento più avanti) sia per enti sensibili non sostanziali quali sono gli accidenti individuali. Socrate infatti è “uomo” cioè “animale razionale” secondo la definizione aristotelica per genere prossimo e differenza specifica. Mentre Socrate può essere accidentalmente “bianco” (se gli casca sopra un secchio di tintura bianca, ma anche nero o rosso se la tintura è di questi colori); quindi Socrate è essenzialmente uomo ma accidentalmente bianco. Gli enti empirici non sostanziali si predicano di soggetti empirici sostanziali. La possibilità di più soggetti di poter accidentalmente assumere la caratteristica di “bianco” dovrebbe allora presupporre una forma che renda possibile tutte queste differenti predicazioni riferendole sempre ad uno stesso: cioè all’ “essere bianco”; quindi deve esserci un’idea del “bianco in sé” da cui poi prendono forma tutte le possibilità realmente istanziate della bianchezza. Si tratta quindi di un caso di omonimia, in cui più cose sono riferite ad una medesima Idea, le quali però hanno anche lo stesso nome dell’Idea, infatti i vari bianchi hanno in comune con l’Idea del bianco proprio il fatto di essere esattamente tutti bianchi. Il problema a questo punto è se esista una Idea per ogni singola istanziazione reale, o se vi sia invece una singola idea da cui derivano tutti i casi particolari nella realtà, se ci sia cioè una Idea dei relativi, se poi questa Idee c’è, se riguardo al bianco vi è una Idea di bianco per ogni tazza bianca, oppure se vi è una Idea di bianco cui partecipano tutte le cose che secondo sostanza o per accidente sono bianche. A favore della prima tesi sta l’argomento dell’ “uno sui molti” attribuito vagamente da Aristotele a Platone e ai platonici, secondo cui le scienze studiano oggetti particolari, ritrovandovi però una forma comune e per induzione ricavano da una molteplicità di fatti una legge, cioè una forma, cioè una Idea. Non vi sarebbero così Idee degli enti particolari (cioè dei bianchi relativi) ma una sola Idea da cui prendono forma i vari enti particolari (cioè l’idea del “bianco in sè”). Altra tesi a favore di questo argomento è il fatto che essendo le Idee eterne esse non hanno un inizio, mentre gli enti particolari (un qualsiasi prodotto di artigianato, seguendo l’esempio di Zanatta) avendo un inizio, contraddirebbero lo statuto delle Idee. Aristotele però obietta che questo argomento non è prova necessaria delle Idee come realtà separate ed informanti ma piuttosto degli “universali” (che studieremo meglio più avanti). La corretta comprensione degli universali come concetti previene una moltiplicazione degli enti (sostanziali, relativi, idee, idee comuni delle idee e degli enti sostanziali…) e permette comunque di fare scienza. Aristotele rileva poi che se c’è il problema della forma, vi è anche quello della non-forma, cioè se esistano o meno le Idee delle negazioni come ad esempio l’idea di “non-uomo” Questa categoria di non-uomo infatti raccoglie oggetti eterogenei come ad esempio il cavallo e la scarpa; non vi è quindi una idea che funga in modo omonimo da “stampo” per la categoria di non- uomo o se c’è, allora deve essere o un’Idea di forma mutevole e quindi senza forma perché le accezioni possono essere virtualmente infinite, oppure devono esistere un numero di Idee virtualmente infinito che riempiano l’insieme non-uomo, cozzando poi col requisito dell’eternità supposta delle Idee contro la corruttibilità degli enti sensibili. Se queste idee dei negativi e dei relativi non esistono, vi sono allora delle possibilità di predicazione, di esistenza, le quali sono impenetrabili alle idee; ciò contraddice lo statuto delle cose sensibili che devono esistere platonicamente solo tramite partecipazione alle Idee. Stesso problema per lo statuto delle Idee delle cose inesistenti come la “chimera”, o delle cose indefinite. Queste critiche mirano, secondo Aristotele, a mostrare come il platonismo provi “troppo o troppo poco” rispettivamente moltiplicando inutilmente gli enti all’infinito e non provando in alcun modo necessario l’esistenza di qualche tipo di Idea per sé.

Abbiamo visto l’assurdità della moltiplicazione delle Idee (nel platonismo aristotelico) nel problema dei “relativi”, oltre che per quanto riguarda l’esistenza degli enti “negativi” e di quelli “indefiniti” e relative Idee. Inoltre questi argomenti non provano in nessun modo l’esistenza delle Idee stesse. Invece, per quanto riguarda il problema del “terzo uomo” possiamo facilmente notare che vi sia una differenza assiologia fra l’Idea che è forma rispetto agli enti empirici che sono invece formati secondo partecipazione all’Idea stessa. L’Idea deve quindi essere sia (a) separata dagli enti empirici per esserne il principio formale, sia (b) essere comunque la forma in qualche modo omonima, vi è quindi una sorta di isomorfismo fra l’Idea e l’ente empirico e contemporaneamente una separazione assiologica di qualche tipo. Ciò è apertamente contraddittorio poiché o vi è isomorfismo e quindi uguaglianza o vi è differenza. Se vi fosse differenza allora si dovrebbe trovare un comune denominatore all’Idea e alle sue esemplificazioni empiriche, quindi una Idea di grado superiore che comprenda la prima Idea e gli enti empirici. A sua volta questa meta-Idea sarebbe uguale e insieme differente dall’Idea di grado inferiore assieme alle sue manifestazioni empiriche, e così via all’infinito in una generazione implacabile di medium di comunicazione incapaci di coniugare due esigenze contraddittorie.
Un’altra esposizione dell’argomento del terzo uomo considera una distinzione di piani distinguendo il livello logico della predicazione dal livello ontologico. Solo l’Idea è veramente l’“in sé” della determinazione perché in essa coincidono completamente il livello logico e quello ontologico della determinazione; mentre gli enti empirici partecipano di più Idee, inoltre partecipano solamente delle Idee senza ovviamente essere Idee loro stessi, ed essendo in parte anche impermeabili alle Idee (predicati relativi e negativi) non sono di fatto le Idee. Ricadiamo quindi ancora nell’argomento del terzo uomo poiché gli enti empirici sono e al contempo non sono l’Idea, poiché partecipano ontologicamente dell’Idea pur essendone separati. Solo l’Idea è puramente omonima con se stessa sia sul piano logico che su quello ontologico, cioè solo l’idea è isomorfa con se stessa, uguale a se stessa.


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