Aristotele, Fisica, I, 4
Aristotele, Fisica, I, 4
Mar 14[ad#Ret Big]
[187a12] Ordunque, come dicono i fisici, ci sono [eisin] due maniere [tropoi]. Ecco: alcuni, reso uno il corpo che è sostrato (o uno dei tre od un altro che è più denso del fuoco ma più leggero [15] dell’aria), generano le altre cose mediante condensazione e rarefazione, producendo i molti (queste ultime poi sono contrari come anche, in generale, eccesso e difetto, o, come dice Platone, il grande ed il piccolo, salvo che egli fa d’essi la materia e dell’uno la forma specificante, quelli invece fanno dell’uno la materia sostrato e dei contrari differenze [20] e forme specificanti) [hoi men gar hen poiēsantes to sōma to hupokeimenon, ē tōn triōn ti ē allo ho esti puros men puknoteron aeros de leptote[15]ron, talla gennōsi puknotēti kai manotēti polla poiountes (tauta d’ estin enantia, katholou d’ huperochē kai elleipsis, hōsper to mega phēsi Platōn kai to mikron, plēn hoti ho men tauta poiei hulē to de hen to eidos, hoi de to men hen to hupokeimenon hulēn, ta d’enantia diaphoras [20] kai eidē)]; altri, invece, fanno sì che a partire dall’uno in cui sono si discriminano le contrarietà, come [hoi d’ ek tou henos enousas tas enantiotētas ekkrinesthai] dice Anassimandro e quanti [kai hosoi], come Empedocle ed Anassagora, dicono poi che l’uno è anche molti [d’ hen kai polla phasin einai]. A partire dalla mistura, infatti, anche costoro discriminano le altre cose, ma differiscono tra loro in ciò: mentre il primo produce una ricorrenza ciclica di esse, il secondo produce [25] tutto insieme una sola volta; inoltre, questo ne produce infinite, di parti simili e contrarie, quello produce invece solo quelli che si chiamano elementi [ek tou migmatos gar kai houtoi ekkrinousi talla. diapherousi allēlōn tōi ton men periodon poiein toutōn, ton [25]d’ hapax, kai ton men apeira, ta te homoiomerē kai tanantia, ton de ta kaloumena stoicheia monon].
Ad Anassagora sembrò dunque verisimile credere infinite le cose per aver assunto che fosse vera la dottrina comune dei fisici, cioè che nulla si genera dal non-essente (per questo, ecco, dicono così: [30] tutte le cose erano insieme, e cotale generarsi consiste nell’alterarsi, ma altri parlano di aggregazione e disgregazione) [eoike de Anaxagoras apeira houtōs oiēthēnai dia to hupolambanein tēn koinēn doxan tōn phusikōn einai alēthē, hōs ou gignomenou oudenos ek tou mē ontos (dia touto gar houtō legousin, ēn homou [30] panta, kai to gignesthai toionde kathestēken alloiousthai, hoi de sunkrisin kai diakrisin)]. E poi i contrari si generano l’uno dall’altro, e allora erano contenuti l’uno nell’altro [eti d’ ek tou gignesthai ex allēlōn tanantia· enupērchen ara]: se infatti tutto ciò che si genera di necessità si genera o dalle cose essenti o dalle cose non essenti, ma è impossibile che esso si generi da quelle non essenti ‒ ecco, in questa [35] dottrina si riconoscono tutti quanti insieme coloro che ricercano intorno alla natura ‒, presero quindi per necessità le parti di ciò ch’era rimasto: si genera da cose essenti ed in esso esistenti, da [187b] cose peraltro Gimpercettibili per noi a causa dell’esiguità delle masse [ei gar pan men to gignomenon anankē gignesthai ē ex ontōn ē ek mē ontōn, toutōn de to men ek mē ontōn gignesthai adunaton (peri gar tautēs [35] homognōmonousi tēs doxēs hapantes hoi peri phuseōs), to loipon ēdē sumbainein ex anankēs enomisan, ex ontōn enuparchontōn gignesthai, dia mikrotēti de tōn onkōn ex [187b] anaisthētōn hēmin]. Perciò dicono che tutto è mescolato in tutto, poiché vedevano che tutto si genera da tutto, ma le cose appaiono differenti e si designano diversamente l’una dall’altra in base a quella che supera le altre per quantità numerica nella mistura delle cose infinite [dio phasi pan en panti memichthai, dioti pan ek pantos heōrōn gignomenon· phainesthai de diapheronta kai prosagoreuesthai hetera allēlōn ek tou malisth’ huperechontas dia plēthos en tēi mixei tōn apeirōn]. È certamente chiaro come il sole [5], infatti, che nulla è per intero bianco o nero o dolce o carne o osso, ma ciascuna cosa ha qualcosa di più numeroso che sembra essere la natura della cosa [eilikrinōs men [5] gar holon leukon ē melan ē gluku ē sarka ē ostoun ouk einai, hotou de pleiston hekaston echei, touto dokein einai tēn phusin tou pragmatos].
Ordunque, se l’infinito in quanto infinito è inconoscibile, secondo la pluralità numerica o secondo la grandezza sarà un quantum inconoscibile, secondo la specie, invece, sarà un quale inconoscibile [ei dē to apeiron hēi apeiron agnōston, to men kata plēthos ē kata megethos apeiron agnōston poson ti, to de kat’ eidos apeiron agnōston poion ti]. [10] Qualora poi i principi fossero infiniti sia secondo il numero sia secondo la specie, sarebbe impossibile conoscere le cose composte da essi [tōn d’ archōn apeirōn kai kata plēthos kai kata eidos, adunaton eidenai ta ek toutōn]. Così infatti capiamo di conoscere ciò che è composto: quando sappiamo da quali e quante cose è composto [houtō gar eidenai to suntheton hupolambanomen, hotan eidōmen ek tinōn kai posōn estin].
E ancora: se è ammesso che la parte di qualcosa sia d’una qualche estensione in grandezza o piccolezza, è necessario ammettere che anch’esso lo sia [15] (parlo dunque di una delle parti in cui si divide l’intero in cui essa esiste), altrimenti, se è impossibile che un animale od una pianta siano d’una estensione indefinita in grandezza e piccolezza, pare chiaro che nemmeno una delle parti lo sarebbe, e similmente sarà quindi per l’intero [eti d’ ei anankē, hou to morion endechetai hopēlikoinoun einai kata megethos kai mikrotētos, kai auto endechesthai [15] (legō de tōn toioutōn ti moriōn, eis ho enuparchon diaireitai to holon), ei dē adunaton zōion ē phuton hopēlikoinoun einai kata megethos kai mikrotētos, phaneron hoti oude tōn moriōn hotioun· estai gar kai to holon homoiōs]. Ma carne, osso, ecc. sono parti [sarx de kai ostoun kai ta toiauta moria] d’animale e i frutti sono parti delle piante. [20] È pertanto palesemente impossibile che carne od osso o qualcos’altro siano di grandezza dalla dimensione indefinita nel più o nel meno [dēlon toinun hoti adunaton ē sarka ē ostoun ē allo ti hopēlikoinoun einai to megethos ē epi to meizon ē epi to elatton].
Ancora: se tali cose esistono tutte l’una nell’altra, e non si generano ma si secernono come enti interni e si designano poi in base alla più numerosa, ed allora qualsiasi cosa si genera da qualsiasi cosa [eti ei panta men enuparchei ta toiauta en allēlois, kai mē gignetai all’ ekkrinetai enonta, legetai de apo tou pleionos, gignetai de ex hotououn hotioun] (ad esempio l’acqua [25] si secerne dalla carne [ek sarkos hudōr ek[25]krinomenon] e la carne dall’acqua), pur se ogni corpo delimitato è diviso nell’insieme da ogni corpo delimitato, pare chiaro che è inammissibile che ciascuna cosa esista in ciascun’altra [hapan de sōma peperasmenon anaireitai hupo sōmatos peperasmenou, phaneron hoti ouk endechetai en hekastōi hekaston huparchein]. Divisa, infatti, della carne dall’acqua e dividendone ancora altra dal resto mediante discrezione, anche se quella soggetta a discrezione sarà sempre minore, [30] tuttavia ugualmente non eccederà in piccolezza una certa grandezza [aphairethesēs gar ek tou hudatos sarkos, kai palin allēs genomenēs ek tou loipou apokrisei, ei kai aei elattōn estai hē ekkrinomenē, [30] all’ homōs ouch huperbolei megethos ti tēi mikrotēti]. Così, se la discrezione sosterà, non ogni cosa sarà in tutto (infatti nella restante acqua non sarà contenuta carne) [hōst’ ei men stēsetai hē ekkrisis, ouch hapan en panti enestai (en gar tōi loipōi hudati ouk enuparxei sarx)]; se invece non sosterà ma si avrà sempre suddivisione, in una grandezza delimitata ci saranno delimitati uguali illimitati di numero, ma questo è impossibile [ei de mē stēsetai all’ aei hexei aphairesin, en peperasmenōi megethei isa peperasmena enestai apeira to plēthos· touto de adunaton].
[35] Ma, oltre a ciò, se ogni corpo, suddiviso, diviene, per necessità, minore d’un tot, ma il quantum della carne è definito sia in grandezza sia in piccolezza, pare chiaro che dal minimo di carne [188b] non si renderà discreto alcun corpo: sarebbe infatti minore del minimo [pros de toutois, ei hapan men sōma aphairethentos tinos elatton anankē gignesthai, tēs de sarkos hōristai to poson kai megethei kai mikrotēti, phaneron hoti ek tēs elachistēs sar[188b]kos outhen ekkrithēsetai sōma· estai gar elatton tēs elachistēs].
Ed ancora: nei corpi infiniti sarebbero già contenuti carne, sangue e cervello infiniti eppure separati l’uno dall’altro, nondimeno essenti e ciascuno infinito, [5] ma questo è illogico [eti d’ en tois apeirois sōmasin enuparchoi an ēdē sarx apeiros kai haima kai enkephalos, kechōrismena mentoi ap’ allēlōn, outhen d’ hētton onta, kai apeiron hekaston·[5] touto d’ alogon].
Che poi la discrezione non abbia mai fine, pur essendo detto ascientificamente, è detto correttamente [to de mēdepote diakrithēsesthai ouk eidotōs men legetai, orthōs de legetai]: infatti le affezioni sono inseparabili [ta gar pathē achōrista]. Se dunque sono mescolati i colori e gli stati, qualora si discriminassero ci sarà qualcosa di bianco e qualcosa di sano che non sarebbero altro che qualcosa di essente senza sostrato [ei oun memiktai ta chrōmata kai hai hexeis, ean diakrithōsin, estai ti leukon kai hugieinon ouch heteron ti on oude kathupokeimenou].
Così l’Intelletto cercherebbe assurdamente cose impossibili anche se [10] volesse discriminare, il che sarebbe impossibile a farsi sia rispetto al quantum sia rispetto al quale [hōste atopos ta adunata zētōn ho nous, eiper bou[10]letai men diakrinai, touto de poiēsai adunaton kai kata to poson kai kata to poion]: rispetto al quantum perché non c’è grandezza minima [kata men to poson hoti ouk estin elachiston megethos], rispetto al quale, invece [de], perché le affezioni sono indivisibili.
Ma non coglie correttamente neppure la generazione delle cose della stessa specie [ouk orthōs de oude tēn genesin lambanei tōn homoeidōn]. Ecco: è come se il fango si dividesse in più fanghi, [15] ma è anche come se non lo facesse [esti men gar hōs ho pēlos eis pēlous diaireitai, esti [15] d’ hōs ou]. Né sono né si generano allo stesso modo i mattoni dalla casa e la casa dai mattoni, e l’aria e l’acqua l’una dall’altra [kai ouch ho autos tropos, hōs plinthoi ex oikias kai oikia ek plintōn, houtō kai hudōr kai aēr ex allēlōn kai eisi kai gignontai].
Meglio prendere un numero minore e finito di cose, come fa [beltion te elattō kai peperasmena labein, hoper poiei] Empedocle.