Il dilemma: analisi formale e informale (6)
Il dilemma: analisi formale e informale (6)
Apr 10
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2. Analisi informale
Nella sezione precedente abbiamo trattato il dilemma da un punto di vista formale, ossia limitandoci a presentare le varie forme dilemmatiche e le condizioni della loro validità, prescindendo non solo dal contenuto proposizionale, ma soprattutto dal loro contesto d’uso e dal loro scopo in tale contesto. Un’analisi informale del dilemma richiede che si accenni brevemente almeno a questi ultimi due aspetti.
2.1. Contesto d’uso e scopo del dilemma
Da un punto di vista informale, il dilemma è un tipo di argomento, formulato in linguaggio ordinario, durante un dialogo razionale che può assumere i caratteri di una controversia, di un dibattito, di una disputa. In genere, l’obiettivo di chi formula il dilemma è costringere il proprio interlocutore (tendenzialmente un avversario dialettico) a scegliere tra due o più alternative, ciascuna delle quali implica logicamente una certa conclusione, di solito – ma non sempre – considerata inaccettabile in quanto contraddittoria, sfavorevole o spiacevole. Pertanto, non importa quale alternativa scelga l’avversario: in ogni caso, egli s’impegna ad accettarne le logiche conseguenze. In questo modo, il dilemma riveste la funzione di una potente arma retorica perché, se strutturato correttamente, può aiutare un interlocutore ad avere la meglio sul proprio oppositore dialettico.
Chiariamo questo aspetto mediante un paio di esempi [7]. Nel 1986 il famoso fisico Richard Feynman fu incaricato di partecipare a una commissione nominata dal presidente degli Stati Uniti per indagare sulle cause del disastro dello Space Shuttle Challenger. Nelle sue indagini, che si conclusero denunciando l’incompetenza degli amministratori della NASA, Feynman elaborò il seguente dilemma:
«Ogni volta che parlavamo ai dirigenti di alto livello, ci dicevano che non sapevano alcunché dei problemi di livello inferiore. […] O il gruppo al vertice non sapeva, ma in questo caso avrebbe dovuto sapere, o sapeva, ma in questo caso ci stava mentendo».
In altre parole, il dilemma può essere riproposto così: o il gruppo dirigente della NASA conosce i problemi dei livelli sottoposti o non li conosce. Se non li conosce, allora ignora elementi di sua competenza. Se li conosce, allora mente sapendo di mentire. In conclusione, o il gruppo dirigente è ignorante su questioni di sua competenza o è in malafede nei propri resoconti. Se ne potrebbe far seguire un corollario inespresso: amministratori ignoranti o in malafede non possono ricoprire ruoli dirigenziali, specialmente in un ente importante come la NASA.
Sebbene l’argomento di Feynman illustri conseguenze negative per una persona o un gruppo di persone, perché le taccia d’ignoranza o malafede, non necessariamente un dilemma giunge a conclusioni sfavorevoli per la persona, ma talvolta a conclusioni sfavorevoli per le sue tesi. Immaginiamo, ad esempio, di partecipare a una disputa dal sapore quasi-medievale, nella quale si discuta se i beati in paradiso siano soddisfatti oppure no. Supponiamo che la nostra tesi sia: «No, i beati in paradiso non sono soddisfatti», perché – poniamo – annoiati dalla loro condizione d’immortalità. D’un tratto, però, il nostro avversario, retoricamente più abile di noi, ci spiazza con questo dilemma:
«Se i beati in paradiso non hanno desideri, sono perfettamente soddisfatti; e lo sono anche se i loro desideri sono pienamente gratificati. Ma o i beati non hanno desideri o li hanno pienamente gratificati; dunque sono perfettamente soddisfatti.»
A questo punto, se accettiamo la premessa disgiuntiva (“o i beati in paradiso non hanno desideri o li hanno pienamente gratificati”) e la conseguenza implicata da ciascuno degli enunciati disgiunti (“i beati in paradiso sono pienamente soddisfatti”), dobbiamo rinunciare alla nostra tesi di partenza – che i beati in paradiso non siano soddisfatti. Insomma: «Buon per loro!», potremmo pensare, ma non certo per noi. Tuttavia, non sempre la formulazione di un dilemma da parte del nostro avversario dialettico ci costringe a cedere le armi così facilmente.
Nota
[7] Entrambi gli esempi proposti sono tratti da Copi, Cohen e MacMahon [2013, p. 289] (la traduzione dall’inglese è mia).
Bibliografia
- I.M. Copi, C. Cohen e K. McMahon [2013], Introduction to Logic, Pearson.
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