Psyché e pneûma in Talete e Anassimandro di Mileto
Psyché e pneûma in Talete e Anassimandro di Mileto
Set 26
Articolo precedente: La psyché in relazione al corpo: Senofane e Parmenide
Talete di Mileto (VII-VI sec. a.C.), tradizionalmente considerato il fondatore della cosiddetta scuola ionica, oltre che filosofo, fu anche politico, astronomo, matematico e fisico. Di lui non possediamo frammenti originali ma solo testimonianze biografiche e dossografiche. Dobbiamo principalmente ad Aristotele la conoscenza della sua dottrina:
Talete afferma che esso [il principio] è l’acqua, per cui anche dichiara che la terra sta sull’acqua, presa forse questa supposizione dal vedere che l’alimento di tutto quanto è umido e persino il caldo nasce da questo elemento e per esso vive (Aristotele, Metafisica, I, 3, 983b).
Secondo la testimonianza dello Stagirita, all’acqua Talete pensa congiunta una forza attiva, vivificatrice e trasformatrice: in questo senso egli afferma che:
tutto è pieno di dèi (Aristotele, De anima, A, 5, 411a).
Come fisico scoprì le proprietà dei magneti e riferisce sempre Aristotele che:
Talete, da quel che ricordano, suppose che l’anima fosse un che di movente, se è vero che della pietra di Magnesia [calamita] affermava che avesse anima perché muove il ferro (Aristotele, De anima, A, 5, 411a).
La psyché è concepita da Talete come sostanza che possiede la capacità di “animare”, cioè il creare movimento. La ricerca razionale del fondamento della realtà caratterizzerà il lavoro di tutti i filosofi della scuola naturalista.
Anassimandro (610-545 a. C.) fu probabilmente discepolo e poi successore di Talete. Scrisse un’opera in prosa intitolata Della natura di cui possediamo solo un breve frammento. Stando alle testimonianze di cui disponiamo, per primo egli chiama la sostanza unica con il nome di ρχή (archè, “principio”) identificandola con l’απειρον (apeiron, l’infinito): quest’ultimo va concepito come una materia in cui gli elementi non sono ancora distinti e per questo motivo, oltre che spazialmente illimitata, è anche indefinita. Questa sostanza infinita è caratterizzata da eterno movimento in virtù del quale si separano in essa i contrari: caldo e freddo, chiaro e scuro, secco e umido, etc. Questa divisione genera mondi infiniti che si succedono poi secondo un ciclo eterno. Ogni nascita è esito di questa separazione degli opposti, ogni morte è la loro riunificazione nell’apeiron. Essa determina anche l’agire di tutti gli elementi naturali. È probabilmente in quest’ottica che si debbono leggere i passaggi che il dossografo Aèzio ha inserito nella sua silloge in riferimento ad Anassimandro:
Su tuoni, lampi, fulmini, turbini e tifoni. Per Anassimandro, tutti questi fenomeni succederebbero in base al soffio [ἐκ τοῦ πνεύματος ταυτὶ πάντα συμβαίνειν] (Aèzio, Placida Philosophorum, III, 3, 1).
Il pensiero di Anassimandro è riportato anche da Seneca nella sua opera Naturales Quæstiones in cui spiega che il “soffio”, in base alla forza che possiede, squarcia l’aria e produce il rumore dei tuoni.
Anaximandrus omnia ad spiritum retulit [Anassimandro riportò tutto al soffio] (Seneca, Naturales Quæstiones, II, 18, 1).
Anassimandro utilizza il termine pneûma nel contesto dei fenomeni atmosferici influenzabili dal soffio, cioè da quei movimenti d’aria di diversa temperatura che causano i fenomeni climatici.
Anassimene, probabile successore di Anassimandro, identificherà come archè un determinato elemento: l’aria; ma a tale materia attribuisce i caratteri dell’apeiron di Anassimandro: l’infinità e il movimento incessante. In seguito con il termine pneûma, ossia quel vento caldo che esala il corpo con l’ultimo respiro, s’indicherà il “principio della vita”.
Bibliografia:
- N. ABBAGNANO, Storia della filosofia. La filosofia antica, la Patristica e la Scolastica, UTET, Torino 2003.
- A. BROMBIN, Il respiro dell’anima. Distinzione teologico-filosofica tra anima e spirito, Aracne Editrice, Roma 2014.
Articolo successivo: L’opera Sullo Spirito Santo di Basilio Magno