Meister Eckhart (prima parte)
Meister Eckhart (prima parte)
Mag 28Uno dei tratti distintivi della filosofia medioevale, come è noto, è la separazione fra la religione e la sua “ancella”, la filosofia. Ma non tutti i pensatori si sono attenuti a questa linea. In questo post vorremmo iniziare a occuparci di uno dei più originali pensatori che cercarono di trovare una conciliazione fra le idee dei filosofi pagani e la dottrina cristiana.
Meister Eckhart fu un domenicano vissuto a cavallo fra il ‘200 e la prima metà del ‘300. Insegnò a lungo nell’università di Parigi, prima come lettore, poi come magister.
Il suo impianto teorico prende parecchie formule da Tommaso d’Aquino, ma deve molto anche ad Alberto Magno, portando però il suo pensiero verso esiti neoplatonici. (1)
Uno degli argomenti essenziali del suo pensiero compare già nelle Quaestiones parisienses, ed è, in Dio, la subordinazione dell’essere al conoscere. Dio non conosce perché è, ma è perché conosce. Con chiari richiami al neoplatonismo, il Dio di Eckhart è al di là dell’essere, e solo così può essere la causa dell’essere delle creature. L’essere è emanato da Dio, e le creature si riavvicinano tanto più a Dio, a questo Dio che è anzitutto unità, in quanto puro intelletto, quanto più assomigliano all’intelletto e all’intellettuale, il che ci riporta alla dialettica plotiniana del ritorno all’Uno attraverso la conoscenza intellettuale.
La povertà era stata naturalmente sempre elogiata dal cristianesimo. Eckhart condivide questa visione, ma si riconnette al mondo antico, tramite gli stoici (2). Diogene è molto più beato di Alessandro, sostiene il filosofo, giacché egli disprezza e può fare a meno di tutti gli onori che il grande conquistatore possiede. Benché sia vero che questa aneddotica era già presente nella cristianità, secondo la linea di San Gerolamao, con Eckhart essa riceve un nuovo slancio mistico: nelle altre versioni Diogene è più potente di Alessando, in Eckhart è più beato (saelic).
In effetti, tutta l’etica di Eckhart si ispira profondamente a quella stoica: in essa non contava tanto il singolo atto, quanto conformasi alla “natura”, che Eckhart sostituisce con il temine “divino”.
Fondamentale per comprendere la teoria etica di Eckhart (e, più in generale, il suo pensiero) è la sua dottrina dei trascendentali. (3) Di essa ci occuperemo diffusamente più avanti. Per il momento ci basterà notare come ai classici concetti ammessi in questi categoria dalla scolastica (Essere, unità, verità, bontà) egli aggiunga virtù come onestà, rettitudine e giustizia, e concetti quali idea, ragione, sapienza e amore.
Sempre rispetto alla tradizione scolastica, i trascendentali non sono tali solo dal punto di vista gnoseologico: essi sono anche attributi di Dio. Tutti si implicano a vicenda in una perfetta coesione, e da essi promana il creato. Così dall’Uno deriva il molteplice etc.
Proprio dai trascendentali Eckhart deriva la doppia natura dell’uomo. Come creatura, egli appartiene all’ordine naturale, che segue cause efficienti e finali ma, in quanto ente buono, vero e virtuoso, egli compartecipa alla natura spirituale, soprannaturale, divina.
NOTE
(1) Si veda Etienne Giglson, La filosofia nel medioevo, La Nuova Italia”, Firenze, 1973.
(2) Si veda Alessandra Beccarisi, Eckhart, Carrocci Editore,, Roma, 2012.
(3) Nella terminologia kantiana questo termine ha assunto un significato diverso da quello attribuitogli dagli scolastici i quali, in estrema sintesi, identificavano come trascendentali quei concetti che non rientravano nelle più generali categorie aristoteliche.