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La retorica e i concetti secondo Schopenhauer e Nietzsche (2)

La retorica e i concetti secondo Schopenhauer e Nietzsche (2)

Ago 27

 

Articolo precedente:  La retorica e i concetti secondo Schopenhauer e Nietzsche (1)

 

Per quanto concerne la posizione di Nietzsche, si può notare come in essa – al pari di quanto si è visto con Schopenhauer – si riconosca il primato dell’intuizione rispetto alla mera attività concettuale; solo che questa non viene descritta come una forma di imitazione del mondo immediatamente dato – quindi profittevole se eseguita e utilizzata in accordo con ciò che si è già intuito – ma come restituzione infedele delle cose a fini sociali.

Nietzsche, affermando quell’irriducibilità del sentire individuale che deriva dall’idea dell’uomo prigioniero del proprio sistema nervoso – che trasmette stimoli ma non permette alcuna percezione diretta di ciò che dovrebbe essere il mondo esterno –, sostiene di conseguenza che il concetto, ideato a partire da un’esperienza particolare ma utilizzato per adattarsi a molteplici casi, sempre nasca «per il fatto che si pone come uguale ciò che non è uguale» (Su verità e menzogna in senso extramorale, § 1, tr. it. p. 124). Sarebbe perciò un’attività metaforica quella che permette di trasporre stimoli nervosi in immagini prima, in suoni poi, ed infine in concetti considerati come portatori di un tratto definitorio delle cose che rappresentano, dalle quali non è in realtà possibile dedurre alcuna idea o modello che ne denoti l’essenza originaria.

Così argomentando Nietzsche rinviene da un lato il semplice arbitrio nella scelta dei nomi, che indicano le cose raccogliendone tratti comuni ma tralasciandone le differenze specifiche, e dall’altro l’impossibilità di universalizzare i dati intuitivi che dovrebbero costituire origine e terreno di verifica dei concetti; «da queste intuizioni nessuna via regolare conduce nella terra degli schemi spettrali, delle astrazioni: la parola non è fatta per le intuizioni» (Ivi, § 2, tr. it. p. 134). Questo perché il linguaggio, prodotto dell’intelletto e luogo in cui si concentrano i propositi di intesa degli individui con i propri simili, sorge proprio per architettare una finzione in soccorso all’uomo, bisognoso di sventare il naturale bellum omnium contra omnes tramite «una definizione delle cose uniformemente valida e vincolante» (Ivi, § 1, tr. it. p. 122), per irretire così la vita in una ragnatela di regole e rappresentazioni condivise e cogenti, ma falsamente universali.

Le relazioni umane che Nietzsche considera naturali, invece, non si fondano su accordi determinati dall’appiattimento del particolare (reale e non sussumibile sotto alcunché) su una generalità artificiale fatta di metafore rimaste orfane della loro originale presa sensibile, ma su coinvolgimento empatico, un convincimento che sfrutta la forza dei tropi, come la capacità di scoprire somiglianze e collegamenti senza per questo inferire rapporti necessari (Frammenti postumi 1869-1874, 19, af. 217). La comunicazione non trasmette così nulla di sostanziale, nulla che abbia significato ‘proprio’ e definitivo; il linguaggio è per propria natura retorico, ed è autentico e non menzognero laddove mantiene l’immediatezza, l’individualità e l’irriducibilità che caratterizzano le metafore da cui si origina la parola. Ciò accadeva nel mondo greco antecedente all’ascesa del socratico impeto raziocinante, nel mondo cioè del mito e del dramma musicale che viene da Nietzsche rivalorizzato anche nelle lezioni raccolte sotto il titolo: Esposizione della retorica antica, nelle quali si esalta il libero gioco dell’immaginazione e dell’opinione che anticamente coinvolgeva e istruiva senza costrizioni socio-concettuali.

È quindi sull’insolubilità del problema ben presente a Schopenhauer – cioè la vuotezza del concetto in sé – che si basa il nietzscheano primato della retorica su un linguaggio che, in veste logica, intende designare cose e relazioni non discutibili, quando invece «tra due sfere assolutamente diverse, come tra soggetto e oggetto, non si dà causalità, esattezza, espressione, ma tutt’al più un rapportarsi estetico, […] una trasposizione allusiva, una traduzione balbettante in una lingua del tutto estranea» (Su verità e menzogna, § 1, tr. it. p. 129). Da ciò «l’essenza di ogni sofisticheria e persuasione» (Il mondo, § 9, tr. it. p. 192) si scopre come fondamento del linguaggio naturale e originale.

Bibliografia

  • Nietzsche Friedrich, Su verità e menzogna in senso extramorale, in Id., Verità e menzogna, tr. it. di S. Giametta, Milano, RCS Quotidiani, 2010.
  • Nietzsche Friedrich, Frammenti postumi 1869-1874, II, tr. it. di G. Colli e C. Colli Staude, Milano, Adelphi, 1989.
  • Nietzsche Friedrich, L’arte della parola. Esposizione della retorica antica, tr. it. di S. Tafuri, Genova, Il Ramo, 2012.
  • Schopenhauer Arthur, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, tr. it. di S. Giametta, Milano, BUR, 2009.
  • Schopenhauer Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, tr. it. di S. Giametta, Milano, BUR, 2009.
  • Schopenhauer Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione, II. Supplementi, tr. it. di S. Giametta, Milano, BUR, 2009.

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