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[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (6)

[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (6)

Ago 24

 
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6. In stato di meraviglia interrogante

Ricapitoliamo per un momento. Il motivo dell’origine è un tema ricorrente non solo in filosofia, ma in ogni discorso che abbia l’ambizione di dare un fondamento al proprio articolarsi. Il discorso filosofico, almeno secondo il giudizio aristotelico, ha avuto origine in una radicale forma di meraviglia interrogante [19] che si è volta alla natura nella sua interezza, a partire dalle paure, dai dubbi e dalle incomprensioni più quotidiane fino alle inesplicabilità più lontane ed esistenzialmente soverchianti. Il sentimento del thauma è la vertigine dell’origine, riscoperta nei suoi esiti estremi, cioè nello scoprirsi, da parte del soggetto umano interrogante, quale culmine di quel movimento di accadimenti che soltanto “aspetta” che gli venga conferito un qualche senso o spiegazione.

Secondo l’interprete che stiamo qui seguendo, ogni filosofia, di fatto,

indaga il motivo dell’origine – quel che i Greci chiamavano chaos, l’ápeiron e perciò concerne l’origine del filosofare: la meraviglia. L’origine, infatti, non è una prima evidenza da intendersi come un “a partire da…”, ma è un “trovarsi dentro”, non è un principio fondante da cui dedurre conseguenze, ma è piuttosto l’aprirsi di un intrascendibile, inevitabile domandare (p. I).

Il “trovarsi dentro” all’origine è una condizione di fatto per l’uomo che problematizza il senso di ciò che lo circonda e del suo immersivo viverci [20]. Secondo questa prospettiva la meraviglia allora è il risvegliarsi in questo stato interpretante, in maniera progressivamente sempre più consapevole, e il rendersi conto che c’è un processo alle spalle (di cause e principî primi) che hanno condotto qui ed ora e che, in virtù della loro valenza, probabilmente condurranno anche agli eventi a venire. Come risalire allora alla comprensione di quanto sta a capo degli eventi e dell’origine filosofica in particolare?

Per poter parlare con cognizione dell’origine e della condizione umana che si interroga in rapporto ad essa è innanzitutto opportuno sollevare alcune questioni di metodo. Come ha spiegato e fatto proprio Natoli, la tradizione che fa appello ad autori (molto diversi fra loro) come Nietzsche, Foucault e Heidegger ha ideato per lo studio di questa condizione dell’origine alcuni degli stili di ricerca filosofici più fortunati e suggestivi del XX secolo, particolarmente adeguati anche per sondare le condizioni di possibilità di comprensione da parte di un soggetto che è ormai costitutivamente altro dal suo essere venuto ad essere. Nonostante la differenza tra origine e originato però, ed anzi proprio nello spazio che si viene a trovare in questa differenza, c’è un ampio margine di operabilità per la ricerca. La meraviglia interrogante, a ritroso, apre possibilità di comprensione impensate.

Muoversi nell’originario vuol dire attraversare un territorio imprecisato e tuttavia percorribile (p. 13).

 

Note

[19] «Per Aristotele la meraviglia è intrinsecamente legata alle realtà percepite come apora, ossia, letteralmente, come prive di via d’uscita, da a-­ privativo più -poros (via, passaggio, varco vel simm.): si prova meraviglia verso quelle realtà di fronte a cui si ritiene, si è consapevoli di non sapere, di ignorare (agnoein, 982b17-18), di non poter trovare una spiegazione, una causa (aitia, 983a14-15). Le realtà che generano meraviglia sono, insomma, quelle di fronte alle quali l’esperienza finora acquisita non fornisce un criterio di misura: lo mostra l’esempio, efficacissimo, dell’incommensurabilità della diagonale rispetto al lato del quadrato (983a 15-20). In altre parole, l’oggetto di meraviglia è indeducibile, ossia non inferibile a partire dall’esperienza acquisita: per quell’esperienza esso costituisce un punto di discontinuità, e, pertanto, rinvia ad un limite, di fronte al quale ci si sente senza via d’uscita, vale a dire in uno stato di aporia. E proprio questo stato, per Aristotele, la filosofia ha il compito di trascendere, in modo da far superare l’iniziale condizione d’ignoranza (982b 19-21) […] Nella prospettiva di Aristotele, la meraviglia è, pertanto, un sentimento che stimola ad una positiva discontinuità di condizione il soggetto che lo sperimenta: dalla meraviglia il soggetto è stimolato ad attingere un livello di esperienza e conoscenza superiore rispetto a quello di partenza, ovvero a trascendere lo stato in cui originariamente si trova. […] Nell’orizzonte di Aristotele, il limite/confine, l’assenza di via d’uscita che la meraviglia fa sperimentare si fa immediatamente impulso al superamento dell’ignoranza riguardo a cui la meraviglia rende consapevoli […] La meraviglia consiste, infatti, in quella condizione di consapevole non-sapere che per Socrate era il punto di partenza per ogni feconda ricerca filosofica» (S. Lavecchia, «Chi invidia non conosce meraviglia. Note su thaumazein ed essere aphthonos in Platone e Aristotele», in particolare § 2. ‘Thaumazein’ come esperienza dell’indeducibile: un Aristotele socratico, in Thaumàzein 2, 2014, pp. 179-194. http://www.thaumazein.it/2015/chi-invidia-non-conosce-meraviglia/). Non siamo d’accordo però con la conclusione dell’interprete circa il fatto che per Aristotele «gli dèi concedono agli essseri umani il dono della vera sophìa» (p.184). Infatti per Aristotele la sapienza è la sola dimensione del conoscere ad essere “massimamente divina” (983a6), perché ha per oggetto le cose più divine e perché soprattutto Dio la possiede, ma il fatto che il Dio non ne sia geloso, non significa che sia lui a farne concessione, ma anzi sono i mortali che se la conquistano. Cfr. anche H. Jeanne, Storia della filosofia come stupore, Bruno Mondadori, Milano 2002 (1993 [1° ed.]) e A. Franchi, Ritornare alla meraviglia. Origine e declino della filosofia, Cantagalli, Siena, 1999.

[20] Come avevamo detto con Nancy, “in” e “tra” sono due delle preposizioni fondamentali dell’essere della condizione umana in relazione all’inizio (cfr. L’inizio singolare-plurale [01-06-2012]).
 
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