[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (4)
[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (4)
Giu 30
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4. Modalità della meraviglia filosofica
Se non l’ammirazione per chi dice di sapere, che cos’è allora la meraviglia che dà origine al desiderio di σοφία? Nel rispondere a questa domanda l’italiano purtroppo non ci aiuta molto, perché il termine “meraviglia” nella nostra lingua è di per sé polivalente, se non ambiguo. Si confrontino ad esempio queste diverse espressioni: (1) «Io mi meraviglio di te», oppure (2) «sei proprio meravigliosa», oppure (3) «mi meraviglia sapere che nel III secolo a.C. circumnavigarono il continente africano», oppure (4) «che meraviglia la Via Lattea!». In queste espressioni, che pure utilizzano lo stesso termine “meraviglia” o suoi termini affini il significato del sentimento suscitato è differente. Nel primo caso, potremmo dire, il significato è negativo, nel secondo caso è estetico, nel terzo caso è intellettuale, nel quarto caso è qualcosa che non è né negativo, né semplicemente estetico o intellettuale, ma è un’insieme delle due cose e forse qualcosa di più. Rispetto all’italiano, è interessante notare che la lingua inglese, ad esempio, distingue più nettamente questi significati. Consideriamo brevemente il glossario delle modalità di meraviglia.
(1) Per il primo caso, quello negativo, abbiamo astonishment, che potremo forse tradurre con «essere sbigottiti» o «essere lasciati senza parole» o «esterrefatti». Qui al principio troviamo un’aspettativa che è stata poi mancata o delusa, tanto da non sapere bene come reagire in conseguenza. Negli altri casi, invece, non c’è nessuna aspettativa iniziale di riferimento, e la meraviglia insorge spontaneamente, potremo dire, “dal nulla”.
(2) Nel secondo esempio possiamo parlare di amazement, ovvero «sorpresa» o «stupore», con un senso di piacere e divertimento. Sembra una forma di ammirazione, ma non è questo a cui Aristotele allude.
Ancora oggi la meraviglia filosofica viene spesso confusa con l’ammirazione. Ciò è probabilmente dovuto anche al fatto che il verbo greco thaumazein («meravigliarsi») viene reso in latino col verbo admirari, e quindi la meraviglia diventa «ammirazione» (ad esempio, in Tommaso d’Aquino). Ma l’ammirazione è un sentimento di tipo estetico, che si prova quando si è di fronte a qualcosa di affascinante, di ammirevole. [9]
Non è questo il caso, evidentemente.
Già questo livello comporta infatti anche un senso di «disorientamento», che ci coglie quando si è sopraffatti dall’inaspettato o dall’indirimibile, infatti la parola di origini scandinave “maze” alla radice di amazement, oltre ad indicare lo stato di chi si trova «in confusione», significa proprio «labirinto», «intrìco». Notiamo qui che sia Giorgio Colli (ne L’origine della filosofia) che più recentemente Massimo Cacciari (ne Il labirinto filosofico) hanno associato l’origine arcaica della filosofia alla mappatura dell’archetipo del “labirinto” dell’essere, cioè, potremmo dire, al controllo del disorientamento (maze) tramite il tracciamento razionale del dedalo di stupore (amazement) che esso stesso suscita. Ma ancora non è questa la caratterizzazione dell’epoca classica, di Platone e Aristotele, che andiamo ora cercando, la quale è qualcosa di più profondo ancora di questa “labirintite” esistenziale che improvvisamente sorprende e che confonde.
(3) Per il terzo caso, abbiamo wonder, che possiamo rendere con «meraviglia» nel senso di ciò che suscita interesse e che pertanto dà da pensare. Il significato è sempre positivo, ma se nel caso di amazement il valore era passivamente positivo, nel caso di wonder il valore è attivamente positivo da parte del soggetto di meraviglia. Si consideri ad esempio l’uso riflessivo del verbo corrispondente: «I wonder why…» oppure anche transitivo «It wonders me that…»: mi prende il dubbio o la curiosità e quindi mi domando perché. La domanda del “perché” («I wonder why…») è un momento essenziale di questo stadio della meraviglia (wonder), perché ne costituisce la reazione naturale e immediata. Essa è ciò che innesca il desiderio di risposta o spiegazione e quindi di ricerca delle cause (αἰτίαι) a fronte dell’inesplicato.
(4) Per il quarto caso, dove l’esempio della Via Lattea o del cielo stellato non è casuale, abbiamo il sostantivo awe, (alla base ad esempio dell’aggettivo awesome), che indica il senso di sgomento che ci prende di fronte a qualcosa di grandioso, incombente o addirittura pericoloso. L’etimologia di questo vocabolo ci parla di una profonda paura, quasi un’angoscia esistenziale, che al tempo stesso suscita timore reverenziale e tormentosa ammirazione. È evidente che tale meraviglia non sia semplicemente curiosità intellettuale o senso di sorpresa di fronte all’incomprensibilità di certi fenomeni o magari di fronte alla semplicità della loro spiegazione, una volta compresa. Non è né uno stupore culturale, né ammirazione esteriore per il sensibile. Tale meraviglia è più radicale e forse inestinguibile. Non c’è estetica nel suo muoversi, ma piuttosto turbamento che inquieta. Come ha scritto Cacciari, il thauma del meravigliarsi condivide il suo nome con il trauma dello sgomentarsi:
Il thauma-trauma nei confronti di ciò che si cela dietro la totalità degli elementi si manifesta nel momento in cui emerge quell’ente che prova meraviglia e si chiede l’origine di ogni cosa. [10]
E così anche Emanuele Severino, secondo il quale il thauma dell’origine ha una valore che va oltre la sopravvivenza ma che è altresì esistenziale, quale impulso di liberazione dal terrore dell’ignoto.
Che la “meraviglia”, da cui – secondo il testo aristotelico – nasce la filosofia, non debba essere intesa, come di solito accade, come un semplice stupore intellettuale che passerebbe dai “problemi” (ápora) “più facili” (prócheira) a quelli “più difficili” – cioè che il timbro del passo aristotelico sia “tragico” – riceve luce dalla circostanza che anche per Eschilo l’epistéme (“conoscenza”) libera da una angoscia che sebbene sia da lui considerata “tre volte antica”, è tuttavia la più recente, perché non è quella primitiva, e più debole, dovuta all’incapacità di vivere, dalla quale libera la téchne (“tecnica”, “arte”), ma è l’angoscia estrema, il culmine al quale essa perviene quando il mortale si trova di fronte al thaûma (“meraviglia”, “sgomento”) del divenire del Tutto – al terrore provocato dall’evento annientante che esce dal niente. In questo senso anche per Eschilo l’epistéme non mira ad alcun vantaggio tecnico (982b21), è “libera” (982b27) e ha come fine soltanto sé stessa (982b27), cioè la liberazione vera dal terrore. [11]
Note
[9] E. Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, cit., Introd. [ebook ed.], Leggerm. adattato.
[10] M. Cacciari, «Il “Trauma” della Physis», [19.sett.2011] http://ilnazionale.net/cultura/massimo-cacciari-il-%E2%80%9Ctrauma%E2%80%9D-della-physis/
[11] E. Severino, Il giogo, Adelphi, Milano, 1989, p. 352.
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