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[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (3)

[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (3)

Giu 23

 

Articolo precedente: [Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (2)

 

3. Sophía e meraviglia

Sebbene in epoca arcaica il termine σοφία designasse una competenza immediatamente pratica, in epoca classica ed in questo passo-chiave di Aristotele, in particolare (Metaph. A1), tale termine evolve nel suo significato, designando quel sapere che:

(1) si emancipa dalla pratica, sia pure in sua relazione – razionalizzandola, spiegandola, insegnandola, migliorandola o anche e sempre più prescindendo da essa;

(2) quel sapere che “scopre” qualcosa di nuovo, mai “percepito” o mai “pensato” prima, sia pure in relazione a quella stessa realtà che era (ed è) sempre sotto gli occhi di tutti;

(3) quel sapere che di per sé provoca piacere, oltre il bisogno materiale e il soddisfacimento di necessità di base, arrivando a riempire il tempo, liberato dalle ordinarie faccende, di godimento intellettuale attraverso la ricerca e il libero studio;

(4) quel sapere che è capace di suscitare ammirazione (sia quanto al suo oggetto o contenuto, sia innanzitutto – come ha notato Cambiano [6] – nei confronti di chi possiede tale sapere).

C’è poi un quinto punto nella delineazione di questo sapere ed è relativo alla sua stessa origine e all’origine di quel desiderio autoalimentantesi di tale sapere che chiamiamo “filosofia”. Aristotele ci informa infatti che (5) la sua origine fu, in passato come ora, il senso di meraviglia che si prova di fronte all’apparente inesplicabilità dei fenomeni (τὸ θαυμάζειν) [7]:

gli uomini, sia ora sia in principio, cominciarono a filosofare [φιλοσοφεῖν, cioè a cercare il sapere] a causa della meraviglia [διὰ γὰρ τὸ θαυμάζειν] (Aristotele, Metaph., Ā 2, 982 b, 12-13).

Questa celebre valutazione è condivisa con il suo maestro Platone, che pure così si espresse nel suo dialogo Teeteto:

È proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia [τὸ θαυμάζειν], né altro cominciamento ha il filosofare che questo [οὐ γὰρ ἄλλη ἀρχὴ φιλοσοφίας ἢ αὕτη] (Platone, Teeteto 155 d).

Ci troviamo dunque di fronte ad un sapere (σοφία) che per Aristotele ha per oggetto certi principî e certe cause prime e che è anche “sapere dell’origine”, il quale a propria volta origina un desiderio di sapere (φιλο-σοφία) nei propri confronti e tale attività desiderativa (φιλοσοφεῖν) è alimentata a propria volta da un profondo senso di meraviglia.

Tanto Aristotele quanto Platone, i due massimi filosofi greci, concordano dunque nel riconoscere che il desiderio di sapere ha inizio dalla meraviglia provata di fronte al darsi delle cose del mondo […] la filosofia ha al suo inizio solo nella meraviglia, e […] la meraviglia è consapevolezza della propria ignoranza e desiderio di sottrarsi a questa, cioè di apprendere, di conoscere, di sapere […] della ricerca disinteressata di sapere. [8]

Ma che tipo di meraviglia è quella che origina il desiderio di σοφία? Cominciamo con il dire quello che non è.

Può essere utile allora considerare, ad esempio, che proprio all’inizio del dialogo Menone di Platone troviamo un riferimento negativo al suscitarsi della meraviglia, un sentimento assai differente e forse opposto a quello che invece sono capaci di suscitare gli autentici sophoi. Non mi sembra che questo riferimento sia stato molto sottolineato dalla critica, ma capire questa differenza è a mio avviso molto importante. Infatti, discorrendo con il suo interlocutore [9], Socrate si riferisce con ironia alla popolazione dei Tessali, i quali in passato erano famosi e ammirati per la loro abilità coi cavalli e per la loro prosperità economica, ma che, in tempi più recenti e soltanto a seguito dell’avvento nelle loro città di sofisti itineranti come ad esempio Gorgia, sembrano suscitare “meraviglia” (ἐθαυμάζοντο) anche per la loro neo-acquisita sapienza (ἐπὶ σοφίᾳ). È tipico infatti dei parvenues, una volta raggiunta la ricchezza, lasciarsi avvincere ed ammantarsi di una cultura importata, tanto facile ad apprendersi quanto immediata da ostentare.

Ora, come abbiamo detto, la sapienza suscita meraviglia e i sapienti suscitano ammirazione, ma, sembra dirci Socrate con una strizzata d’occhio, c’è modo e modo di esprimere ed esperire tale meraviglia. Infatti in che cosa consiste la “meravigliosa” capacità dei Tessali è presto detto: nella capacità di essere in grado di poter rispondere «in modo magniloquente e senza paura» ad ogni questione che venga loro posta (70b6-7). È evidente che questa non è l’autentica sapienza che interessa né a Socrate né a Platone, ma è piuttosto un indottrinamento indotto, impratichito con la pretestuosità eristica di prevalere ad ogni costo nel dibattito e alimentato con la presunzione di conoscere. Più che meraviglia, la pseudo-sapienza dei Tessali suscita un piacere affabulatorio dell’orecchio e un intrattenimento epidermico del ragionamento, che però mostra presto nel corso del dialogo i suoi limiti, in definizioni inconcludenti, in sicumere non sondate, in risposte mnemoniche e inadeguate.

Note

[6] «It is a peculiar human history, because its starting point (tò prôton) is the discovery of crafts which go beyond the habitual perceptions (koinàs aisthêseis) of things. According to Aristotle, it is likely that the first inventor of these crafts was admired. The topic of the wonder will be developed in the next chapter (Ā 2), but here objects of wonder are in the first place men, rather than states of affairs, namely men who discovered something new, never perceived before. It is the amazing character of their discoveries that induced other men to admire the capacity of their discoverers. The text makes it clear that these discoveries were also useful, but it was not only their usefulness that induced them to qualify their discoverers as sophoi. This is the first (in temporal sense) meaning of the word sophoi. The second stage is characterized by the extension of this word to discoverers of technai, which aim not at utility, but at what Aristotle calls diagôgê, that covers dimensions of human life that develop beyond mere survival. It is likely that the inventors of the latter were regarded (hupolambanesthaî) as wiser than the inventors of the former. And the reason is, once again, that these branches of knowledge (epistêmai) did not aim at utility». G. Cambiano, «The Desire to Know the Desire to Know. Metaphysics A 1», in C. Steel & O. Primavesi (eds.), Aristotle’s Metaphysics Alpha, cit., p. 34. Cfr. anche M. Frede, «Aristotle’s Account of the Origins of Philosophy», in Rizhai, I, pp.9-44 (poi anche in P. Curd and D.W. Graham (eds.), The Oxford Handbook of Presocratic Philosophy, OUP, Oxford 2008).

[7] «Il passo è capitale. Due verbi richiedono qui massima attenzione: θαυμάζειν e φιλοσοφεῖν. Entrambi acquistano nel brano in questione un valore concettuale fortissimo, il primo denotando la motivazione e la scaturigine prima della domanda filosofica, volta a conoscere la verità sulle cose, il secondo indicando il procedimento che a questa verità conduce». R.L. Cardullo (a c. di), Aristotele, Metafisica Α α Β, cit., p. 170.

[8] E. Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, Roma-Bari 2007, p. VI.

[9] Pl., Meno, 70a6-b1 e ss.

 

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