[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (2)
[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (2)
Giu 16
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2. “Sapere del principio”
Spesso all’inizio dei manuali di storia della filosofia si trova raccontata una vicenda che trova la sua prima attestazione in quella che qualcuno ancora si ostina a chiamare la prima “storia della filosofia”. La vicenda (o avvicendamento) va da Talete a Platone e l’attestazione è il primo libro (Ā) della Metafisica di Aristotele. Ma, come è ormai del tutto acquisito e accertato [3], né quella è una storia nel senso oggettivo del termine, né tale attestazione intende configurarsi quale trattazione storiografica della disciplina stessa. Nonostante l’interpretazione evoluzionistico-hegeliana per lungo tempo imperante, quell’avvicendamento fu filosofia critica a tutti gli effetti e il suo discorso ci proietta in medias res nell’urgenza dei problemi e delle difficoltà che intende affrontare. Tra questi si può trovare senz’altro il problema dell’origine e dell’origine della filosofia in particolare.
«tutti ritengono che la cosiddetta sapienza (σοφία) concerne le cause prime ed i principî». (Aristotele, Metaph., Ā 1, 981 b 27-29») [4].
Una traduzione più letterale potrebbe suonare così:
«Che dunque il sapere sia scienza di certi principî e cause, è evidente (ὅτι μὲν οὖν ἡ σοφία περί τινας ἀρχὰς καὶ αἰτίας ἐστὶν ἐπιστήμη, δῆλον)».
Il soggetto qui è quella σοφία che è andata situandosi al nucleo stesso della φιλο-σοφία, vale a dire quel sapere che anzi originariamente preesiste al desiderio di frequentazione e possesso dello stesso. Aristotele aveva una concezione elevatissima di tale soggetto: più che l’esperienza e la tecnica (attività dalle quali pure sovraemerge), la σοφία è conoscenza dell’universale, che studia e definisce rispondendo ai suoi «perché?». Secondo la formulazione aristotelica [5], essa è una “virtù dianoetica”, cioè una forma di eccellenza del carattere, acquisita e compiutamente posseduta, che appartiene allo sviluppo della parte razionale dell’anima, ovvero della parte migliore e più distintiva del genere umano, tale da accomunarci quasi al divino. L’esercizio di tale eccellenza del carattere è tanto disinteressato e libero negli intenti, quanto preciso ed incontrovertibile negli esiti, infatti costituisce il contenuto del sapere scientifico, che è il sapere più stabile e sovraordinato possibile. L’unico sapere che, in virtù del suo superiore grado di astrazione, mette nelle condizioni di poter insegnare e di poter dirigere e comandare. Colui che vive nella pratica di tale sapienza esercita l’attività più piacevole, e la vita teoretica del sapiente (il bíos theôrêtikós) è la forma di esistenza più realizzata e felice possibile. Tale attività, anzi, ci distingue dal divino, in quanto quest’ultimo già possiede la sapienza, mentre soltanto il mortale può ambire a sapere e dare quindi origine alla sua ricerca.
Note
[3] A. Capizzi, La repubblica cosmica. Appunti per una storia non peripatetica della nascita della filosofia in Grecia, Ed. dell’Ateneo, Ist. Editoriali e Poligrafici, 1997; E. Berti – C. Rossitto (a c. di), Aristotele. Il primo libro della Metafisica, Laterza Ed. scolastiche, Roma-Bari, 2005; R. L. Cardullo (a c. di), Aristotele, Metafisica Α α Β, Roma, Carocci 2013. Il primo libro della Metafisica è stato oggetto di un importante convegno internazionale, i cui atti sono stati recentemente pubblicati come: C. Steel & O. Primavesi (eds.), Aristotle’s Metaphysics Alpha. Symposium Aristotelicum, Oxford University Press, Oxford 2012.
[4] Citato in Natoli, cit., p. 9.
[5] Aristot., Eth.Nic. I 13, 1103a 5; VI,7.
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