[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (10)
[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (10)
Dic 22
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10. Prendere avvio nel linguaggio
Per Natoli, l’orizzonte del senso è, heideggerianamente, il linguaggio. Non solo il linguaggio scritto o parlato, ma tutto ciò che può comunicare un senso. Il “linguaggio” qui in oggetto viene pertanto inteso in modo molto ampio e quasi “fisico”, quale «materialità dello stesso accadere» [17] (p.12). Ogni accadere, nella sua storicità, può essere considerato una forma di linguaggio. Tutto ciò che accade cioè è passibile di senso e tutto ciò che è passibile di senso è passibile di lógos, dunque linguaggio. «Il linguaggio non è solo il luogo in cui è posto in questione il principiare: in esso l’inizio significa anche un determinato cominciare ad essere, o, semplicemente, un prendere avvio» [18] (p.12). Il medium attraverso cui si racconta l’inizio – il linguaggio – è dunque anche ciò entro cui ha luogo l’inizio, sotto forma di una «apertura di senso» [19] (ibid.).
Sia l’ermeneutica sia la genealogia si svolgono entro questa apertura, anzi la determinano:
L’ermeneutica tende a determinare lo spazio d’espressione, ossia l’originarietà di quel dire che consente alle cose di essere e di sussistere secondo un significato. L’originarietà del linguaggio non è interpretabile al pari di qualsiasi altro evento caratterizzato come un prendere inizio, poiché ogni iniziare è già interno a quell’accadimento trascendentale che è il linguaggio […] dunque, l’ermeneutica esplora e mette in chiaro quell’attualità del dire, che si dice dicendo e di cui non si può identificare l’inizio, poiché da sempre si è in essa. [20] (pp.12-13)
Quanto alla genealogia, già Foucault la descriveva come un «progetto di una descrizione pura degli avvenimenti discorsivi come orizzonte per la ricerca delle unità che vi si formano» [21]. La genealogia, quanto alla ricerca dell’origine, rifiuta due prese di posizione estreme: (1) quell’atteggiamento di chi crede che vi sia un’origine, ma che sia «così originaria che non la si possa mai afferrare in sé stessa» tanto da risultare inaccessibile e (2) quell’atteggiamento per il quale l’origine sia ritenuta essere un presupposto tanto presupposto da non aver mai in realtà avuto luogo, da risultare, cioè, inesistente [22].
Inoltre, nel procedimento genealogico, l’ambito ineludibile del linguaggio non deve servire come sfondo per una analisi formalistica del mero fatto linguistico, ma deve consentire al genealogista di rinvenire quelle strutture di forza che possano spiegare perché una certa origine ha determinato un certo stato piuttosto che un altro; che cosa, cioè, ha consentito l’unicità del venire-ad-essere di un determinato processo a discapito di un altro possibile in considerazione delle relative e frammentate condizioni di partenza. Rispetto a vaghe o ideologiche storie del pensiero o rispetto a storiografie superficiali e sbrigative, «la descrizione degli eventi del discorso [cioè la genealogia] pone una domanda completamente diversa: come mai sia comparso proprio quell‘enunciato e non un altro» [23].
Nell’accertare genealogicamente la predominanza di certi processi su altri potenziali si gioca la questione del senso e dell’attualità dell’origine.
Note:
[17] S. Natoli, Il linguaggio della verità. Logica ermeneutica, Morcelliana, Brescia 2014, p. 12.
[18] Ibid.
[19] Ibid.
[20] Ivi, pp. 12-13.
[21] M. Foucault, L’archéologie du savoir, Gallimard, Paris, 1969; trad. it. a c. di G. Bogliolo, L’archeologia del sapere. Una metodologia per le storie delle culture, Rizzoli, Milano, 1971, p. 37.
[22] Ivi, p. 40.
[23] Ivi, p. 38.
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