Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (6)
Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (6)
Dic 18
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L’infernal dottrina (1)
L’approccio speculativo di Ippolito Desideri al buddhismo tibetano si articola fra analogie e tentativi di incontro fra sistemi filosofici e religiosi molto lontani fra loro: quello cristiano e quello buddhista. Il pistoiese rintraccia con grande acutezza quelli che identifica come sorprendenti punti in comune e che saranno oggetto delle dispute con i monaci. Grazie a lui, cristianesimo e buddhismo si incontrano a dialogare e quest’ultimo, secondo Desideri, avrebbe le carte in regola per richiamare gli occidentali ad un maggior rigore religioso. Desideri rintraccia nei tibetani una propensione virtuosa e una devozione così marcata da rappresentare «rimprovero a’ cristiani che talora non giungono a fare altrettanto per il vero Dio che adorano» [47]. Pur chiamando il buddhismo da subito “falsa setta”, egli è ritiene che si tratti di una religione impostata
sulle regole d’una ben ordinata ragione (…) da ammirarsi in quanto non solamente prescrive la fuga de’ vizj (…) inculca la vittoria di tutte le passioni, ma di più ancora insinua l’amor e la stima alla virtù, e quel che è più da stupirsi, indirizza l’uomo ad una umanamente sublime ed eroica perfezione. [48]
Dotato di eccezionale apertura, intelligenza e sensibilità e con un completo dominio della lingua tibetana e della terminologia, Desideri «ha spianato la direzione per il dialogo e indicato la strada per le future interazioni, una strada ancora da percorrere» [49].
Egli aveva ricevuto una solida formazione al Collegio Romano, in perfetta continuità con il nuovo orientamento razionale che aleggiava nel pensiero filosofico e scientifico dell’epoca. Veniva a crearsi perciò un terreno fecondo di discussione e il lavoro del missionario fu accolto di buon grado dai tibetani. È lui stesso a riportarlo quando racconta, al termine della stesura di alcuni testi (in particolare del T’o-raṅs), di essere assediato «da un flusso e riflusso di gente, specialmente di dottori e maestri, che da’ conventi e dalle università (…) venivano e ritornavano (…) dimandando di vedere e leggere que’ libri» [50]. La curiosità diventa perciò reciproca.
È nell’agosto 1717, mese in cui Desideri si trasferisce nel monastero di Sera, uno dei principali monasteri buddhisti di Lhasa, che la speculazione entra nel vivo. Il missionario inizia a perfezionare la conoscenza delle dottrine tibetane studiando e traducendo il Lam-rim chen-mo [51] (La grande esposizione del cammino graduale) di Tsong Khapa [52], opera monumentale che espone dettagliatamente il cammino soteriologico tibetano articolandolo in fasi progressive. Il sentiero è diviso in tre fasi. La prima è costituita dall’intenzione di abbandonare il saṃsāra, cioè il ciclo eterno delle rinascite. La seconda coincide con l’aspirazione profonda a conseguire il risveglio spirituale, ovvero lo stato di Buddha, per il beneficio di tutta l’infinita moltitudine degli esseri senzienti. La terza fase è quella della comprensione profonda della dottrina della vacuità, la pietra angolare di tutta la pratica spirituale buddhista. Così lo commenta Desideri:
Un tal libro era utilissimo al nostro intento, essendo come un compendio de’ centoquindici volumi del Kaa-ghiur, dove, con maraviglioso metodo, stile e chiarezza, si contengono tutti i principij e le false opinioni di quella setta e specialmente gli astrusi trattati del Tongbà-gnì, messi in succinto. [53]
Il Tongbà-gnì è il concetto del vacuo, aspetto centrale della via mediana (Mādhyamika). Desideri lo esaminò, lo descrisse assieme ad altri concetti centrali e provò a confutarlo:
Mi fu assegnata una buona e commoda abbitazione, con libertà di farvi la cappella e celebrare la Santa Messa. In questo luogo la mia continua occupazione fu leggere, annotare e digerir l’altre materie dei libri del Ten-ghiur; studiar la loro dialettica; far molte conferenze di punti di religione con que’ monaci, specialmente dottori e maestri; assister qualche volta alle loro dispute e pubbliche conclusioni; e sopra tutto di procurar di saper e penetrar a fondo i trattati più astrusi e più intrigati che si chiamano del Tongbà-gnì, cioè del Vacuo, non già preso in senso materiale e filosofico, ma in senso allegorico, il di cui scopo è di escluder finalmente l’existenza d’alcun ente che da se stesso abbia il suo essere e che sia increato e indipendente, e con ciò chiuder affatto la porta alla cognizion di Dio. [54]
Soffermiamoci sul Śūnyatā, ovvero la vacuità o il vuoto. È il pilastro della filosofia buddhista, studiato e compreso soltanto a ‘900 inoltrato. Desideri spiega questo concetto in maniera ineccepibile, considerandolo «il fondamental principio dell’infernal sua dottrina e diabolica religione» [55]. Al centro di quel sistema vi è una concezione che implica la negazione «che vi sia alcun ente a sé e increato e alcuna causa primaria di tutte le cose» [56]. Ecco perché mette in campo il demonio. Infatti aggiunge:
Non vi è cosa veruna che non sia affatto vota d’ogn’essere; e ciò perché non vi è cosa veruna che sia da sé (…) che sia per sua medesima natura e per sua propria intrinseca essenza (…) che sia totalmente indipendente (…) inconnessa, inconcatenata e incorrelativa, ma ogni cosa considerata secondo la sua quiddità ha qualche correlazione a qualche termine o oggetto, non ha assolutamente il suo essere da se stessa, ma bensì dal termine e oggetto della sua correlazione. [57]
È necessario fissare il concetto di coproduzione condizionata per comprendere l’accezione buddhista di vacuità. Nirvāṇa a parte, ogni cosa è determinata da una causa e a sua volta è causa di altre cause in un processo ininterrotto. Ogni fenomeno dunque non esiste di per sé, ma solo nella sua relazione con altri fenomeni a loro volta legati ad altri processi casuali, e così via all’infinito. Se ogni cosa è quindi interconnessa alle altre, essa è dunque vuota di un sé e di una natura propria, perché incapace di sussistere indipendentemente dalle cause e dalle condizioni che la determinano. La vacuità è perciò quest’aspetto di interconnessione. Non deve però essere concepita come l’assoluto o con un’idea a cui attaccarsi. Anche la vacuità è vuota (śūnya śūnyatā) ed è anche l’eliminazione di tutte le opinioni:
Ogni elemento ed evento del reale, ogni manifestazione venga all’esistenza, non possiede consistenza propria, autonomia, assolutezza e permanenza, ma è risultato di molteplici concause, di svariate condizioni, di determinazioni innumerevoli. Nulla consiste, sta, è di per sé. Essere è inter-essere. Il mero essere verso cui l’individuo è proiettato è illusoria fantasmagoria, e il non vedere la natura ingannevole di una tale proiezione è fonte di ogni sofferenza, e causa del divenire cieco che trascina ogni destino inconsapevole dietro di sé. [58]
Se consideriamo il sé, anch’esso nel buddhismo non esiste per natura propria. Lo spiega nuovamente Emanuela Magno:
L’io, quell’illusione di consistenza, centralità, originarietà e autonomia a cui ogni pensiero, ogni intenzione e ogni azione viene riferita come alla propria matrice o fulcro, ebbene quell’Io, è semplicemente il prodotto, il derivato di un insieme complesso di condizioni esterne ed interne all’aggregato psicofisico che costituisce l’individuo: l’ambiente, la nascita, l’educazione, le relazioni, gli incontri, gli eventi, le sensazioni, le percezioni, le intenzioni consce e i moti inconsci, le volizioni, la coscienza. L’Io è l’incrocio di innumerevoli strade. Tolte le strade l’io non esiste. [59]
Ma quale può essere allora il rapporto fra il vuoto e le forme? Com’è riportato in uno dei testi più importanti della Perfezione della Sapienza, il Sutra del cuore:
La vacuità è forma, la forma è vacuità; la vacuità non è distinta dalla forma, la forma non è distinta dalla vacuità; ciò che è forma è vacuità, ciò che è vacuità è forma. [60]
Il vuoto garantisce perciò che la forma si rapporti con un’altra forma. Il vuoto agisce già all’interno di ciascuna forma materiale distruggendo le sue pretese di avere e di far valere un sé autonomo: così agendo, il vuoto produce contemporaneamente le condizioni per le quali ciascuna forma materiale esiste ed è conoscibile solo in rapporto alle altre forme materiali. Lo spiega con alcuni esempi semplificatori Giangiorgio Pasqualotto:
Il vuoto si pone quindi come un campo fisico in cui interagiscono delle forze che, senza di esso, non esisterebbero e non sarebbero nemmeno percepibili: ovvero, il vuoto può essere inteso come equivalente di uno sfondo a figure che manifestano i loro propri contorni solo grazie all’interazione reciproca tra di esse, interazione garantita e resa possibile dallo sfondo stesso. (…) Infatti, come nessun campo fisico esiste prima o indipendentemente dalle forze che vi agiscono, e come nessuno sfondo sussiste separato dalle figure che vi si dispongono, così il vuoto non può avere realtà separata rispetto alle forme materiali che esso rende possibili. [61]
La vacuità è dunque condizione di possibilità ma anche medesima caratteristica di ogni altra forma materiale. Ciò che ha fatto problema a Desideri è che alla base di questa perenne mutevolezza non c’è alcun sostrato, quindi è esclusa la possibilità che esista un dio creatore non creato. Nella visione buddhista, non esistendo una causa prima all’origine di tutte le cose perché anch’essa dovrebbe dipendere da un’altra causa e così via all’infinito, non c’è posto per dio e Desideri conclude che se non c’è dio allora c’è il demonio. È perciò di estremo interesse
rilevare il ricorso al demonio per eventi impossibili ad inquadrarsi nel sistema di riferimento posseduto e per i quali si vuole in ogni modo trovare la ragione. (…) Volendo trovare una spiegazione al fenomeno, e non potendo qui penetrare fino in fondo il segreto più intimo di quella tradizione, non può che ricorrere all’intervento del demonio, il quale servendosi di sottili artifici e di apparente bontà riesce a distogliere la devozione dal vero Dio. [62]
Note
[47] MITN 1952-56, VI, p. 102.
[48] MITN 1952-56, VI, p. 292.
[49] GOSS 1998, pp. 65-90.
[50] MITN 1952-56, V, p. 202.
[51] La traduzione di Desideri è andata perduta. Per una traduzione inglese di questo testo si veda The Great Treatise on the Stages of the Path to Enlightenment (Lam-rim chen-mo), vol. I-III, a cura di J. Cutler, G, Newland, Snow Lion, Ithaca 2000 (vol. I), 2004 (vol. II), 2002 (vol. III).
[52] Tsong Khapa ‹zon kapa›. – Riformatore del lamaismo tibetano, fondatore della scuola dei cosiddetti berretti gialli, i cui capi, conseguita la supremazia sulle altre scuole tibetane nel sec. 16º, assunsero dal 1578 il titolo di Dalai Lama e stabilizzarono nel sec. 17º l’assetto politico-religioso che il Tibet ha conservato per tre secoli. La riforma di T. si attuò con direttive e in situazioni analoghe a quelle in cui avevano operato circa quattro secoli prima Rin c’en bzaṅ po e Atīśa: sul piano disciplinare T. tornò a riaffermare per i religiosi l’obbligo del celibato e dell’astinenza da bevande inebrianti e l’osservanza delle regole del Vinaya; sul piano dottrinario assegnò alla preparazione intellettuale e scolastica un ruolo essenziale nel conseguimento dell’Illuminazione contro l’uso indiscriminato della “Via dei Tantra”, senza però negare la legittimità del tantrismo stesso (che è una categoria indiscussa del buddismo tibetano). T. espose il suo pensiero in due summae di vasta estensione.
[53] MITN 1952-56, V, p. 203.
[54] MITN 1952-56, V, pp. 198-199.
[55] MITN 1952-56, VI, p. 204.
[56] MITN 1952-56, VI, p. 194.
[57] MITN 1952-56, VI, p. 204.
[58] MAGNO 2009, pp. 28-29.
[59] MAGNO 2009, p. 26.
[60] RB 2004, pp. 13-14.
[61] PASQUALOTTO 1992, p. 53.
[62] BARGIACCHI 2009, p. 116.
Bibliografia
BARGIACCHI 2009
Bargiacchi E. G., L’esperienza tibetana di padre Ippolito Desideri, in N. Gasbarro (a cura di), Le culture dei missionari, Bulzoni Editore, Roma 2009, pp. 101-118.
GOSS 1998
Goss R. E., The first meeting of Catholic Scholasticism with dGe lugs pa Scholasticism, in J.I. Cabezon (ed.), Scholasticism, Cross-Cultural and Comparative Perspective, State University of New York Press, Albany, pp. 65-86.
MAGNO 2009
Magno E., Introduzione all’estetica indiana, Arte e liberazione del sé, Mimesis Edizioni, Milano 2009.
MITN 1952-56
L. Petech (a cura di), I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Libreria dello Stato, Roma (vol. II de «Il Nuovo Ramusio» suddiviso in 7 tomi. Raccolta di viaggi, testi e documenti relativi ai rapporti tra l’Europa e l’Oriente, a cura dell’IsMEO).
PASQUALOTTO 1992
Pasqualotto G., Estetica del vuoto, Arte e meditazione nelle culture d’Oriente, Marsilio Editori, Venezia 1992.
RB 2004
Gnoli R. (a cura di), La rivelazione del Buddha. Il Grande veicolo, Mondadori, Milano 2004.
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