Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (3)
Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (3)
Set 01
Parte precedente: Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (2)
La figura di Ippolito Desideri (2)
Dal punto di vista storico e sociologico, Ippolito Desideri vede lontano. Interpreta ed anticipa quella che diventerà poi l’occupazione cinese. Comprende bene la situazione che vive il Tibet, conteso fra tartari e cinesi, e denuncia che il dominio
nel mese di ottobre del 1720 da’ Tartari passò sotto l’imperatore della Cina, da cui è presentemente governato e alla cui gran potenza resterà, come si può credere, stabilmente soggetto. [13]
È la straordinaria profezia di un Desideri storico che – come osservò L. Petech – non si è occupato soltanto
di ricercare nel passato del paese; egli era un uomo del presente e dell’avvenire. Ma bene invece egli osservò i terribili avvenimenti a lui contemporanei, che influirono in modo determinante sulla storia del Tibet e le cui lontane conseguenze si fanno sentire tuttora. [14]
Luigi Foscolo Benedetto invece lo elogiò perché missionario «in una delle zone più ardue dell’Asia», aggiungendo che solo
la fede sincera, delle doti morali e fisiche non comuni hanno fatto di lui un precursore degli alpinisti e degli esploratori moderni. [15]
Il grande geografo ed esploratore svedese Sven Hedin parla della relazione di Desideri come di una «vivida descrizione del viaggio […] difficilmente superabile dai moderni viaggiatori» [16] e lo innalza nell’olimpo dei pionieri del mondo aggiungendo che «aveva compiuto un viaggio meritevole di rendere il suo nome famoso per sempre» [17].
È doveroso perciò recuperare il terreno perduto a causa della sepoltura per un secolo e mezzo dei suoi scritti rendendo merito ad un viaggiatore eclettico, missionario, ma anche antropologo e, stando ai suoi criteri di analisi, un po’ scienziato fuori dall’ordinario:
per giusto omaggio al grande italiano e per lumeggiare con così unico monumento l’incontro della teologia buddhistica e della cristiana. [18]
Si tratta di una figura di grande spessore culturale grazie alla lunga carriera di studi all’ombra del Collegio Romano, lunghi quanto “una gestazione d’elefante”, come si usava dire nel diciassettesimo secolo.
L’azione di Desideri scaturisce infatti dalla scuola dei gesuiti che dovevano essere pronti e abili a compiere molte cose affrontando spesso un viaggio che si rivelava mortale. Prima di partire acquisì gli strumenti dialettici ed intellettuali che gli permisero di penetrare a fondo la cultura tibetana. La sua profondità d’analisi, stimolata da un’apertura mentale non comune per l’epoca, non fu accolta di buon grado dalla gerarchia di Roma e per questo, complici i cappuccini che nel frattempo si erano affiancati alla sua missione, fu costretto a ripiegare in Italia dopo più di quindici anni dalla sua partenza.
Già durante la Ratio Studiorum, prima fase degli studi che sarebbero poi sfociati nella matematica, astronomia, filosofia e metafisica con i due anni finali di teologia, si era distinto per le abilità intellettuali, specialmente nella logica e nella dialettica. Durante i suoi quindici anni fuori dall’Europa l’accrescimento culturale non si arrestò: imparò il portoghese, il persiano, l’urdu, il tibetano, il Tamil, lingue che si aggiungevano al latino, greco, italiano ed ebraico.
Il suo viaggio era subordinato alle esigenze missionarie ma egli si sforzò, entro i limiti di un’impostazione cristianocentrica granitica, di conoscere e descrivere gli usi e costumi delle terre che visitò ed in particolare del Tibet dove rimase cinque anni. Laggiù si trovò a confrontarsi con una delle tradizioni buddhiste più importanti e raffinate dell’Asia, la cui complessità rappresenta ancor oggi una sfida per chiunque vi si accosti, studioso e non che sia. Leggendo i suoi scritti si resta colpiti dal talento linguistico che gli permise di apprendere in poco tempo il tibetano e di comprendere con precisione alcuni aspetti del loro pensiero filosofico e religioso come i concetti di vacuo e il ciclo delle reincarnazioni.
Si attorniò di illustri studiosi, specialmente nel soggiorno presso l’università monastica di Sera dove fece la conoscenza di molti monaci eruditi. Lì poté assistere e partecipare alle lezioni tenute dai lama sapienti e ai dibattiti filosofici, una pratica che da secoli è parte della routine quotidiana di ogni monastero tibetano. Conobbe la celeberrima via mediana, l’elevato e definitivo percorso della sottigliezza destinato a sfociare nel nirvāṇa, la salvezza, ovvero il termine del ciclo delle reincarnazioni in cui si ha «la possibilità di sottrarsi a quell’attaccamento all’azione (kárman) che inchioda al divenire» [19].
In quanto gesuita, Desideri fu affascinato dalla loro lucidità di ragionamento da un punto di vista logico-dialettico a supporto delle tesi filosofiche e religiose. Egli era convinto di conoscere il “vero dio”, e per annunciarlo a quella “falsa setta” era stato inviato, ma al contempo, grazie alla sua formazione classica, conosceva il modello del logoi spermatikoi, le ragioni seminali secondo cui i frammenti di verità eterna si trovano in molte filosofie pagane pur manifestandosi soltanto nel cristianesimo. In sostanza vedeva la possibilità che anche i non cristiani praticassero determinate virtù, indipendentemente dalla conoscenza delle verità evangeliche.
In particolare, nel loro pensiero morale ravvisò una certa somiglianza con la sua educazione. In ambito monastico ritrovò alcune nette somiglianze fra gli esercizi spirituali della Compagnia di Gesù e la pratica meditativa buddhista come processo di purificazione dalle passioni. Per essere un uomo del ‘700, riusciva a comprendere e a vedere molto lontano. Infatti, pur considerando certi aspetti della religione buddhista come ispirati dal demonio, e pur condannando molte credenze e pratiche, egli riuscì anche a riconoscere alcuni lati positivi:
I Thibettani sentono volentieri e son disposti ad arrendersi, ma a forza di ragion d’esser convinti. I secolari non essendo letterati, facilmente si scusano e si rimettono ai loro maestri e letterati. I religiosi, come dotti e vezzi al discorso, discutono e presi con la ragione si lasciano convincere, e la resa di questi facilmente tira seco la resa de’ secolari. [20]
Le parole di Desideri la dicono lunga sulla sua strategia, diametralmente opposta a quella dei cappuccini che a lui si opporranno: procedere dall’alto, ovvero interfacciarsi da subito con le classi colte. Ma nel processo di mediazione e confutazione delle dottrine buddhiste, Desideri si scontra contro un muro invalicabile: l’assenza di dio. I Tibetani non sono selvaggi come descritti dai missionari in America, ma dispongono di un ordine religioso ed una civiltà molto sviluppata pur senza dio. Hanno regole sociali senza dio, parlano di salvezza senza dio. Sotto il profilo morale sono simili a noi, ma non hanno dio. È il concetto di vacuità – di cui parleremo più approfonditamente nel terzo capitolo di questa trattazione – che sposta la prospettiva e «chiude affatto la porta alla cognizion di Dio» [21]. Desideri lo capisce perfettamente e riferendosi al Buddha, esempio ispiratore ma non figura divina, considera il concetto di vacuo il «fondamental principio dell’infernal sua dottrina e diabolica religione» [22].
È affascinante inoltre il suo avvicinarsi alla comprensione di quel «giro imbrogliatissimo» che è la reincarnazione,
il primario e fondamental errore da cui scaturiscono, o per meglio dire, in cui si racchiudono tutti gli altri errori che compongono la falsa setta de’ Thibettani. [23]
Nell’assenza di dio si impernia l’analisi desideriana che sfocia nel tentativo di dimostrare l’esistenza di una causa prima secondo la scuola tomistica, perché ogni cosa
considerata secondo la sua quiddità ha qualche correlazione a qualche termine o oggetto, non ha assolutamente il suo essere da se stessa, ma bensì dal termine e oggetto della sua correlazione. [24]
La via mediana è inaccettabile ma è proprio qui che Desideri tenta di colpire e di affondare il vascello buddhista:
l’existenza d’alcun ente che da se stesso abbia il suo essere e che sia increato e indipendente. [25]
Ma il problema sull’esistenza di dio è il grande iato che ancor oggi costituisce il divario incolmabile fra le religioni orientali e quelle occidentali. Chissà cosa sarebbe nato se Desideri fosse rimasto più a lungo in Tibet o se i suoi scritti fossero stati svelati al suo rientro a Roma. Ciò che è certo, come sostiene Giuseppe Tucci, è che il Desideri ci ha lasciato una
Relazione dal Tibet che per la sua profondità e diligenza resiste all’urto dei secoli e al perfezionarsi dell’indagine. [26]
Note
[13] MITN 1952-56, VI, p. 75.
[14] MITN 1952-56, introduzione alla parte V, p. XXVII.
[15] BENEDETTO 1928, pp. 5-6.
[16] HEDIN 1909-13, pp. 270, 278. Sven Anders Hedin (Stoccolma 1965, 1952) è forse il più importante esploratore e rilevatore del Tibet e dell’area centroasiatica.
[17] HEDIN 1909-13, p. 125.
[18] TUCCI 1943, pp. 215-231.
[19] MAGNO 2009, p. 22.
[20] MITN 1952-56, VII, pp. 191-192.
[21] MITN 1952-56, V, pp. 198-199.
[22] MITN 1952-56, p. 204.
[23] MITN 1952-56, VI, p. 166.
[24] MITN 1952-56, VI, p. 204.
[25] MITN 1952-56, V, pp. 198-199.
[26] TUCCI 1943, pp. 215-231.
Bibliografia
BENEDETTO 1928
Benedetto L. F., Di uno scritto poco noto del P. Ippolito Desideri da Pistoia, Firenze (opuscolo tirato in 25 esemplari per le nozze di Fulvia Casella e Gualtiero Pastorini, Fiorenzuola d’Arda, 6.10.1928).
HEDIN 1909 – 1913
Hedin S., Trans – Himalaya, Discoveries and Adventures in Tibet, MacMillan, London 1909-1913.
MAGNO 2009
Magno E., Introduzione all’estetica indiana, Arte e liberazione del sé, Mimesis Edizioni, Milano 2009.
MITN 1952-56
L. Petech (a cura di), I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Libreria dello Stato, Roma (vol. II de «Il Nuovo Ramusio» suddiviso in 7 tomi. Raccolta di viaggi, testi e documenti relativi ai rapporti tra l’Europa e l’Oriente, a cura dell’IsMEO).
TUCCI 1943
Tucci G., Le missioni cattoliche e il Tibet, in C. Costantini, P. D’Elia e altri (a cura di), Le missioni cattoliche e la cultura dell’Oriente, IsMEO, Roma 1943, pp. 225-229.
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