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Emil Lask: interpretazione dell’Idealismo fichtiano in rapporto alla teoria della storia

Emil Lask: interpretazione dell’Idealismo fichtiano in rapporto alla teoria della storia

Mar 10

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L’opera di Emil Lask, neokantiano del Baden e allievo di Rickert, rappresenta un punto fermo all’interno delle riflessioni inerenti al problema della “logica della storia”, elaborate in pieno Novecento.

L’intenzione di Lask è quella di cogliere il nesso tra “l’essere di ciò che è storia-tempo” e il cosiddetto “eterno atemporale”, ossia la dimensione dei valori e del logico. In realtà, il fascino dell’impresa laskiana scaturisce dalla sua capacità di esprimere, in modo a dir poco originale, il compenetrarsi della riflessione sugli sviluppi dell’Idealismo tedesco con quella sul carattere logico dell’oggetto storico.

A Lask va riconosciuto il merito di aver individuato la distinzione tra due teorie del concetto: la logica analitica e la logica emanatica. Entrambe vengono analizzate in un testo, pubblicato dal Nostro nel 1902, intitolato Fichtes Idealismus und die Geschichte, in cui si esplica la sua prima vera riflessione sulla storia.

La “logica analitica”, secondo Lask, trova la sua massima espressione nell’impostazione logico-concettuale propugnata da Kant e si basa sulla non identificazione del concetto con la realtà: il concetto costituisce, in questa prospettiva, una “forma vuota”, mero risultato analitico, mentre la realtà viene situata su un livello non-concettuale, irrazionale. Di contro, la “logica emanatica” si esprime all’ennesima potenza nel pensiero hegeliano, al cui fondamento si trova l’identificazione tra reale e razionale, tra concetto e realtà. Per meglio dire, dal punto di vista di Hegel, il reale è il concetto stesso.

Occorre precisare che Lask non intende, nella maniera più assoluta, sancire la superiorità della logica analitica rispetto a quella emanatica, nell’ambito della teoria della conoscenza e della definizione dell’oggetto storico, rimanendo fedele, pertanto, alla convinzione che la realtà empirica esuli dalla dimensione logico-concettuale. Nell’opera, cui sto facendo riferimento, relativa a Fichte, Lask crede di aver individuato nella riflessione fichtiana, appunto, un passaggio dall’emanatismo alla logica analitica. A tal proposito, ripartisce il pensiero di Fichte in tre fasi.

Durante la prima delle tre fasi, che risale al 1794, Fichte interpreta il rapporto tra concetto e realtà come rapporto tra il tutto e la parte, cioè in termini “quantitativi”: quindi, se l’io rappresenta il tutto, il non-io è la parte. In questo periodo, dunque, Fichte si afferma come un “emanatista” a tutti gli effetti, il quale considera la parte come “membro” di un tutto, che, a sua volta, è “fondamento” delle sue componenti.

Tra il 1797 e il 1801 si assiste ad una mutazione della prospettiva fichtiana, che si presenta, ora, in termini di “antirazionalismo critico”, per dirla con Lask. In concomitanza con la seconda introduzione alla Dottrina della scienza (1797), Fichte concepisce la realtà individuale-empirica come irrazionale, in quanto contiene il “limite del conoscere”, non essendo più deducibile dal concetto (io).

Tuttavia, è soltanto dal 1801 in poi che l’idea di un’individualità storico-reale viene da Fichte approfondita e concretizzata, giungendo, infine, alla distinzione tra filosofia e vita, cioè tra la razionalità, che è “fredda e astratta riflessione”, e l’irrazionalità della vita, che costituisce la “fonte dei valori”.

In poche parole, il Fichte della terza fase opera una rivalutazione dell’empirico, che non è né mera emanazione (Hegel), né concetto-limite della ragione (Kant), ma è realtà “viva” e capace di fondare l’intero sistema valoriale.

Se si rapporta il punto di vista fichtiano alla problematica della storia, si arriva ad un’unica conclusione: se è vero, come sostiene Lask, che l’esaltazione della realtà dell’individuale comporta la negazione dell’emanatismo, è altrettanto indiscutibile che, solo aderendo al nesso tutto-parte, nucleo della teoria emanatica, è possibile “pensare la storia”.

Testo di riferimento: C. Tuozzolo, Emil Lask e la logica della storia, Milano, Franco Angeli, 2004.
Un ulteriore riferimento è la mia tesi di laurea Specialistica, Max Weber e il problema dell’emanatismo.


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2 comments

  1. silviagoi

    L’emanatismo è una tipica eredità del pensiero gnostico nell’idealismo tedesco,
    in modo peculiare ‘agisce’ attraverso il plotinismo in Hegel. così suggeriscono i manuali. Però a maggior ragione ci incuriosisce conoscere cosa sta in mezzo
    a questi passaggi essenziali di storia delle idee. Tutta la dottrina della partecipazione nel Medioevo, tutto il pensiero ebraico assorbito in modo sostanziale anche durante la Spinoza-streit. Incentrando l’attenzione sugli esiti fichtiani, invece, si corre il rischio di rendere il suo pensiero un modello di compattezza che sorge in qualche modo dal nulla e che può prescindere da secoli di teologia critica e dogmatica. L’articolo offre un contributo prezioso, anche perché la sopravvivenza della quaestio all’altezza dei neokantiani, è un fatto quasi di ricostruzione delle argomentazioni originarie, fondamentale per filosofia della storia.

  2. Giovanna

    Ho voluto affrontare il fenomeno dell'”Emanatismo” in relazione alla storia e a quello che i neokantiani definiscono l'”oggetto storico”. Nello specifico, il mio discorso parte da una domanda che si è posto Max Weber nell’ambito de “Il metodo delle scienze storico-sociali”: “esiste una logica della storia, che esuli dall’idea, di derivazione hegeliana, di un processo che discenda da un principio metafisico, per emanazione?”. A dimostrare che la cosiddetta “logica emanatica” non sia l’unica esistente è stato Lask, allievo di Rickert ed esponente di spicco del Neokantismo del Baden. Di tutta quanta l’analisi di Lask mi ha incuriosito l’intuizione, a mio avviso vincente, di porre il pensiero di Fichte tra la concezione di Kant e quella di Hegel, in modo da bilanciare queste due letture, che nel Novecento risultavano prioritarie, del rapporto tra “valore” e “realtà”.

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