La logica stoica. I. Introduzione
La logica stoica. I. Introduzione
Dic 22[ad#Ret Big]
L’impegno speculativo di stoici ed epicurei era sorretto dalla certezza che la verità fosse disponibile all’uomo. Una volta determinata, la verità doveva essere propugnata in modo dogmatico.
Mentre però Epicuro vietò ai suoi discepoli di discutere sia le sue soluzioni sia le argomentazioni delle soluzioni in quanto presumeva fossero definitive in ogni particolare – partecipare alle dispute avrebbe del resto turbato la quiete del saggio – Zenone di Cizio, fondatore della scuola stoica, lasciò libertà di discussione: gli stoici erano dogmatici soprattutto sui capisaldi fisici ed etici del sistema, cioè sulle soluzioni di massima ai problemi di fondo, e sulla possibilità di dimostrarli in modo definitivo mediante la logica, ma non sul concreto iter dimostrativo e sulle soluzioni secondarie, snodantisi lungo tale iter, idonee a guadagnare quelle irrinunciabili perché identificative della scuola.
La libertà di discussione era un rischio (ma, come dice Platone, il rischio è bello, soprattutto in filosofia) e ci furono ricadute negative a breve termine, che però in seguito si rivelarono un vaccino salutare. Evidentemente le argomentazioni di Zenone, nonostante la gavetta dialettica fatta all’Accademia di Polemone e soprattutto dal celebre Stilpone, esponente della scuola megarica, si rivelarono carenti per gli alti standard imposti da tre secoli di filosofia, due di dialettica e uno di ricerca settoriale pianificata nell’Accademia e soprattutto nel Peripato. In effetti, Cleante di Asso, successore di Zenone, pur con tutto il suo impegno (ex pugile, aveva fatto il panettiere di notte per “mantenersi agli studi” di giorno), non riuscì a evitare le defezioni di Aristone di Chio e di Erillo di Cartagine, e alla sua morte anche la scuola sembrava destinata a estinguersi a causa del dibattito distruttivo. Il colosso fisico ed etico dello stoicismo fu puntellato su basi logiche più solide di quelle argillose zenoniano-cleantee dal secondo successore di Zenone, Crisippo di Soli, geniale dialettico irrobustitosi allla palestra dell’indirizzo scettico impresso all’Accademia da Arcesilao di Pitane.
A tal proposito, non dobbiamo dimenticare che il pericolo era non solo endogeno ma anche esogeno: la corrosiva critica mossa dallo scetticismo pirroniano ai sistemi dogmatici aveva espugnato l’Accademia e minacciava gli stoici. Da parte loro gli epicurei ribattevano alle critiche ripetendo gli immutabili insegnamenti del maestro, il che però lasciava intatte le convinzioni degli scettici: gli epicurei sopravvivevano ma non sconfiggevano l’avversario convincendolo né assimilavano da lui eventuali elementi funzionali.
Non così Crisippo, che fronteggiò con pieno successo i nemici interni ed esterni grazie alla sua maestria logico-argomentativa. Risulta ancor più dolorosa quindi la perdita dei suoi settecento scritti rispetto a quella di altri autori, nella misura in cui le epitomi dossografiche di seconda, terza, ennesima mano sorvolano sulle finezze argomentative, che spazientiscono il lettore medio, assetato di grandiose soluzioni che soddisfino la sua curiositas vagabonda o leniscano le sue ansie esistenziali.