Temi e protagonisti della filosofia

La fisica stoica IV. Teleologia

La fisica stoica IV. Teleologia

Mar 16

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Contro il meccanicismo tichista di Epicuro (ispirato a Democrito, che il mondo a caso pone), il razionalismo immanentista degli stoici li porta ad estremizzare l’impostazione teleologica della loro fisica: ciascun ente, nonostante sia unico e perfetto di per sé (finalità interna), è subordinato ai bisogni dell’ente che gli è superiore in termini di razionalità, secondo quella che Kant chiamerà finalità esterna (le piante sono finalizzate al nutrimento degli erbivori, finalizzati a quello dei carnivori, piante e animali sono finalizzate a soddisfare i bisogni materiali dell’uomo, il quale ha come fine la contemplazione di questo cosmo, che è il migliore dei possibili non potendo esisterne altri: in logica modale Crisippo tenta di ridurre la possibilità alla realtà). Questi stoici sono come i bambini di Platone, che, non volendo rinunciare a nulla (-Vuoi più bene al papà o alla mamma? -Tutti e due!), tengono elementi incoerenti; il prof. Spinelli dipinge Crisippo come un democristiano che mette d’accordo tutti.

Questo ci dà lo spunto per rendere più plastico il dualismo soluzione-argomentazione, stilizzabile in generale ma più sfumato quando si entra in medias res.

Non si può negare che il momento argomentativo identifichi la filosofia, quale pratica razionale sottoposta al controllo critico nel dibattito pubblico, rispetto ad altri atteggiamenti grazie ai quali ciascun soggetto, a partire dai problemi di senso postigli dalla propria esperienza esterna ma soprattutto interiore, adotta strategie solutive di tipo affettivo, idiosincratico o spiritualmente tanto profonde da non essere completamente comunicabili (e quindi argomentabili) a causa dei limiti del linguaggio.

Tuttavia l’argomentazione in filosofia resta un filtro metodologico, che permette di vagliare le soluzioni, e solo in logica il metodo s’identifica col contenuto. Certo, le strutture fondamentali dell’aritmetica sono state logicamente costruite dal logicista Russell e quindi sembra che ad eventuali spaventosi (l’altro Bertrando) logiicisti-matematisti-naturalisti sull’ontologia sia consentito, in forza della decifrazione logica della lingua matematica nella quale è scritto il libro della natura, l’accarezzamento del progetto di tentare le essenze, ma il paradosso dello stesso Russell e i teoremi di Gödel hanno mostrato come dallo stesso dispiegamento radicalmente conseguente della sintassi insorgano problemi semantici (autoriferimento, identità, verità). In tal modo, se già nella sintatticizzazione della matematica insorgono difficoltà semantiche, non si vede come la forma logico-matematica possa poi costituirsi con continuità assiomatico-deduttiva in struttura del percetto spazio-temporale senza introdurre presupposti filosofici argomentabili e dunque discutibili.

Per questo la teoria dell’argomentazione non s’identifica colla logica simbolica (non c’è deduzione verticale e riduzione dei contenuti trovati /in senbso kantiano) delle varie branche a corollari di principi di un’unica scienza costruttiva fondamentale bensì dialettica orizzontale tra le varie soluzioni), ma chiama in causa considerazioni di retorica, etica del discorso, pragmatica linguistica e sociologia della comunicazione, come anche, e soprattutto, una cornice prescrittiva, sia pur lasca e tendenzialmente imparziale (ma in effetti in senso lato aristotelica), su come vadano connessi e distinti, e in che ordine e in quale direzione, concetti ed enunciati nell’affrontare qualsiasi tema. Gli schemi per impostare e condurre fruttuosamente un’argomentazione dialettica, astratti dai concreti confronti sulle soluzioni ai problemi, sono stati elaborati per tornare al dibattito muniti di regole che lo normino e lo agevolino, evitando per esempio che la discussione viri da ciò di cui si parla a chi parla o che ciò di cui si parla sia piegato e strumentalizzato dalla scorretta volontà di vincere nella competizione dei contendenti (vittoria di Pirro: prima o poi chi dice la verità viene scoperto, dice Wilde).

Ora, però, le soluzioni dei problemi posti dall’esperienza alle quali i filosofi ancorano le loro argomentazioni consistono per lo più o nel sovraordinare un aspetto dell’esperienza rispetto agli altri o nel determinare nessi tra e analizzare concetti o nel combinare questi due tipi di soluzione. Si scorge perciò l’eterogeneità dei materiali da connettere, selezionare, confrontare, la quale forse è proprio ciò che dischiude lo spazio per la teoria dell’argomentazione. Se per esempio sento spinte egoiste nella mia esperienza interna e voglio donarle agli altri, posso argomentarle basandomi sul successo esplicativo del darwinismo in sede di esperienza esterna, al che mi si può obiettare che inferire norme da descrizioni è fallace e che, poniamo, la condotta dovrebbe conformarsi a un modello non natural-corrispondentista bensì logico-coerentista (essere non contraddittoria con una massima assunta come principio dell’agire).

Ma dov’è qui il limite tra soluzione (contenuto) e argomentazione (metodo per giustificare il contenuto)? Sembra difficile determinare un discrimine netto e pare che la filosofia attizzi il nostro istinto intellettuale proprio perché non frustra ma purifica la soggettività, inducendoci a immergere ciò che abbiamo di più intimo e prezioso in strutture assolute riplasmate dalla prospettiva inconfondibile di ognuno, salvata a sua volta da esse.

Tornando alla contrapposizione teleologia-casualità e applicando ad essa quanto si è cercato di precisare (Ringkomposition), vediamo che queste due opzioni fisiche sono molto più argomentabili (forse la distinzione soluzione-argomentazione è di grado e non di genere) dell’etica che vogliono fondare, a sua volta scaturita da e più argomentabile de le scelte esistenziali di Zenone ed Epicuro: concettualmente la logica fonda la fisica, conformandosi alla quale si vive virtuosamente e felicemente, ma storicamente le scelte di vita hanno sostenuto l’attività argomentativa di questi due titani del pensiero. Così Zenone, identificando ciò che accade con ciò che è bene, non appena è inciampato si è suicidato, mentre Epicuro, non vedendo alcun ordine finalistico nell’accadere, ha goduto il piacere della serenità interiore libera da qualsiasi costrizione esterna fino all’ultimo respiro concessogli dalla malattia. Inoltre (cosa ancor più importante in ordine alla fluidificazione dell’opposizione soluzione-argomentazione), l’argomentazione materialisticamente spendibile mutuata dal Sofista di Platone (esiste ciò che produce attivamente o subisce passivamente un effetto, ma una cosa siffatta può essere solo un corpo, cioè un pezzo di materia nello spazio) è stata attratta su percorsi argomentativi opposti da tali soluzioni esistenziali, ma non per questo epicureismo e stoicismo estenuano la loro tenuta in una privata Weltanschauung non giustificata pubblicamente. C’è insomma un circolo virtuoso tra giustificazione e soluzione e la categorizzazione di uno stesso elemento teoretico come argomentativo o solutivo varia a seconda del contesto: la validità dell’argomentazione è relativizzabile allo specifico contesto semantico (correttezza non assoluta come in logica: l’argometazione dialettica ha un certo tasso si pregiudizio) e l’assertività della soluzione è regionalizzabile all’interno di esso quale snodo dialettico (soluzione secondaria, plesso argomentativo).


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1 comment

  1. Evaristo

    A mio parere
    Hegel vernicia una fiammante trovata dell’Dispotico, in grado di deliberare, a suo modo di scorgere, le aporie delle metafisiche antecedenti, inette secondo lui nel distendere perchè Esso abbia bisogno di figliare la molteplicità. Egli Lo concepisce come l’Uno di Plotino in senso sovvertito: mentre quest’ultimo restava impiantato su un palchetto mistico e sovrumano, a partire dal quale figliava il fluire e si dilapidava nello Svariato senza un pretesto manifesto, l’Assoluto hegeliano ficca lui stesso nel formarsi per riconsegnare senno di sé. Lo Svariato abbisogna ebbene all’Uno per poter mutarsi al disegno edotto di sé, per professarsi, attraverso vari varchi, in se nientemeno.

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