La fisica stoica IX. Panezio
La fisica stoica IX. Panezio
Apr 10[ad#Ret Big]
Abbiamo visto che agli attacchi scettici soprattutto di Arcesilao contro le soluzioni e le argomentazioni di Zenone e Cleante Crisippo rispose con argomentazioni più persuasive e logicamente rigorose. Tuttavia Crisippo stesso fu preso di mira nientemeno che da Carneade. Costui era arrivato a dire che se non fosse esistito Crisippo neanche lui ci sarebbe stato.
Schiacciati dalla statura teoretica di Crisippo, i suoi successori non apportarono novità di rilievo al sistema, fino a che Panezio di Rodi, attivo a cavallo tra II e I secolo a.C., poco interessato dalla logica, mutò e/o sollevò dubbi su alcune delle soluzioni più importanti della fisica e dell’etica, subendo l’influenza delle controargomentazioni scettiche e di soluzioni tratte da Platone (definito divino, saggio come nessun’altro, santissimo, Omero dei filosofi) ed Aristotele, alternative a quelle stoiche ortodosse criticate. Egli infatti si sentiva autorizzato a selezionare (eclettismo) il meglio delle altre scuole in nome della comune filiazione socratica.
Panezio tentenna tra rifiuto e sospetto rispetto alla mantica e condanna recisamente come pseudoscienza l’astrologia. Ma una dottrina fisica degli stoici antichi dallo spessore ben maggiore da lui rifiutata è quella della conflagrazione universale, sostituita dall’eternità del mondo propugnata dai peripatetici. Il problema maggiore dell’ekpyrosis è teologico: Dio, dopo la conflagrazione e prima di un nuovo ciclo, resta inerte (deus otiosus), nella misura in cui, solo com’è, non ha nessun corpo passivo su cui esercitare la sua forza formante muovendosi quale anima dell’intero; ma ciò che non produce attivamente e non subisce passivamente un effetto (ciò che non è corpo) non esiste; dunque l’inerzia porta alla morte di Dio (altra prolessi nietzscheanoide). In un mondo eterno invece Dio può fungere da reggitore altrettanto eterno. Una conseguenza spiacevole però è che in tal modo l’universo non è più, propriamente, un essere vivente (vitalismo): non nasce e non muore.
In sede di psicologia, poi, Panezio ribadisce la mortalità dell’anima: essa nasce in quanto eredita dai genitori l’indole (è corpo tanto quanto il corpo in senso stretto, che eredita l’aspetto fisico); ma tutto ciò che nasce perisce: essa infatti è affetta dalle passioni, dal dolore e dalla malattia, e dunque corruttibile. All’interno di questa cornice conservatrice, tuttavia, Panezio porta in primo piano le funzioni razionali superiori: mentre le funzioni meramente biologiche, e gl’impulsi ad esse connessi, di crescita, nutrizione e riproduzione, sono staccati dall’anima e relegati alla fisiologia (physis), la psyche è dotata dei cinque sensi e dell’egemonico (la fonazione non è più una funzione distinta). L’egemonico è poi nettamente sovraordinato rispetto ai sensi ed è suddiviso a sua volta in due forze opposte: l’istinto irrazionale (horme), facoltà del movimento dell’azione dipendente dall’aria fredda, e la ragione, facoltà del movimento del pensiero dipendente dal fuoco caldo. Il pensiero, cui scopo più alto è la ricerca del vero, deve guidare l’istinto, che permette al pensiero di praticare la virtù. Tale opposizione istinto-ragione spiega i conflitti morali, non contemplati dall’intellettualismo (a misura di saggio e non di uomo) degli stoici antichi.