La fisica stoica VII. Antropologia
La fisica stoica VII. Antropologia
Mar 29[ad#Ret Big]
Gli stoici contemplano un cosmo geocentrico ed antropocentrico: la terra occupa il punto centrale, quale sacro focolare (Hestia), della sfera finita dell’universo (Zeus) e la specie più razionale della terra, e quindi lo scopo ultimo della manifestazione dell’universo, è quella umana, nella misura in cui partecipa al massimo grado della ragione divina. In funzione della nostra specie esistono tutti gli enti sublunari, in particolare piante e animali, come abbiamo già detto. Il principio antropico va tanto in là che il bipede implume sociale razionale entra nella stessa definizione di universo: sistema composto dagli dei, dagli uomini e dalle cose prodotte per questi ultimi. Va da sé che i più razionali tra gli uomini siamo noi filosofi…
Gli stoici applicano l’argomento tratto dal Sofista di Platone alla prova della corporeità della stessa anima: se l’anima agisce (e patisce, soprattutto la persuasione ad opera della voce), allora è un corpo; ma l’anima agisce (e patisce); dunque l’anima è un corpo. In un altro argomento antidualista, Crisippo ritorce contro Platone anche la concezione della morte come separazione dell’anima dal corpo: l’incorporeo non potrebbe né unirsi al né separarsi dal corporeo; ma l’anima si unisce al e si separa dal corpo; dunque l’anima è un corpo.
L’anima umana è un frammento dell’anima del mondo, cioè del logos. Al pari di esso, la sua essenza è fuoco o meglio soffio caldo (pneuma), che vivifica tutto il corpo permeandolo in ogni recesso grazie alla sua sottigliezza e leggerezza. Alla morte del corpo l’anima sopravvive come individuo solo temporaneamente in forma sferica sotto la luna per poi corrompersi tornando nell’incorruttibile anima del tutto, nel logos-fuoco impersonale: tolta la funzione di tener viva la materia di un corpo singolo fornendogli percezioni, gradualmente sfuma il principium individuationis necessario per il darsi di un’identità e di una continuità della persona anche dopo il decesso.
Ora, mentre per Cleante tutte le anime sopravvivono fino alla conflagrazione, per Crisippo questo privilegio è riservato solo a quelle dei saggi e degli eroi, mentre quelle dei deboli, degli stolti e dei viziosi si dileguano velocemente. Il momentaneo perdurare delle facoltà cognitive dei trapassati permette loro di divinare il futuro e comparire in sogno ai vivi. Comunque, grazie all’eterno ritorno, alla soppressione dell’individuo alla fine di ciascun ciclo cosmico fa seguito la rinascita in quelli successivi, all’infinito. Questa resurrezione nell’aldiquà non prevede un regresso (dannazione) o un progresso (beatitudine) spirituale in altre dimensioni, ma inchioda per sempre al già stato mondano.
L’anima ha otto parti: l’egemonico, cioè il principio direttivo, la ragione; i cinque sensi; il seme o principio spermatico, responsabile della riproduzione; il linguaggio, responsabile della fonazione. Ciascuna parte è a sua volta suddivisa in sottofunzioni. Il principio egemonico in particolare è responsabile della rappresentazione, dell’assenso, dell’appetizione e del ragionamento. Esso è una sorta di piovra cognitiva i cui tentacoli accedono alle altre parti con lo scopo (differente da quello di altre piovre che stimolano i vizi dei sensi, compresi quelli veicolati dei media linguistici, per lucrare sulle umane debolezze) di dirigerne e coordinarne le funzioni: Platone, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra (se non, come dice Aristotele, thyrathen, cioè di nuovo “dalla porta”, intendendo “da fuori” rispetto al corpo). L’egemonico presiede quindi non solo all’assenso e alla rappresentazione, come visto in contesto logico, ma anche ai sensi e all’istinto. Alcuni lo collocavano modernamente nella testa, altri, più arcaicamente, nel cuore o nel soffio pericardico (vedi Omero).