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La fisica stoica I. Principi

La fisica stoica I. Principi

Mar 02

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Nella fisica gli stoici prospettano un ordine necessario, perfetto, razionale e divino delle cose.

Si distinguono concettualmente due principi ontologicamente inseparabili: passivo e attivo. Il principio passivo (paschon) è il ciò-da-cui le cose si generano, la sostanza senza qualità ossia la materia, di per sé inerte e indeterminata pur se potenzialmente trasformabile in tutto; l’attivo (poioun) è il ciò-a-causa-di-cui le cose si generano, la qualità, la forma, la ragione (logos) o addirittura Dio, che, dando forma alla materia come forza che la mette in moto e la mescola (mens agitat molem), determina gl’individui. I principi sono entrambi materiali: la causa attiva non è incorporea. Infatti gli stoici, decontestualizzando, al pari degli epicurei, a mo’ d’assioma uno snodo dialettico del Sofista di Platone, ammettono nella loro ontologia solo ciò che agisce o subisce un’azione, cioè, a loro dire, i corpi.

Il principio passivo, la materia, considerato di per sé sarebbe un’unità immobile ed un sostrato indeterminato, privo di figura, forma e qualità, che riassorbe tutte le realtà empiriche, sue alterazioni ognor divenienti. In effetti la materia dà ragione del divenire, altrimenti scambio irrazionale tra essere e non-essere.

Ciò che esiste dunque è sempre un sinolo dei due principi, di materia e qualità, massa ed energia, mai separati (ilomorfismo). La loro immanenza è giustificata dalla commistione olistica (krasis di’holon): ogni corpo è penetrabile da parte degli altri, di modo che dall’unione di molti se ne può formare uno solo e dalla divisione di uno se ne possono formare molti. Tale porosità è garantita a sua volta dall’infinita divisibilità della materia. La connettività universale dei corpi configura il mondo come unico, una sorta di organismo vivente autosufficiente (ilozoismo). Ne risulta un materialismo dinamicamente monista e olista diametralmente opposto al pluralismo atomistico e meccanicistico degli epicurei.

Il principio attivo si declina come energia, pneuma (spiritus, soffio caldo) e anima razionale del mondo sensibile ed esercita il movimento o su tutta la materia o su una sua parte in modo razionale, coordinato e armonioso, conducendo ogni cosa verso il suo fine e il suo bene, il che ci permette non solo di elaborare una scienza della natura, ma anche di provare un piacere estetico dinnanzi al bello di natura. La tumultuosità del mutamento dunque, lungi dal frustrare il bisogno di ordine, attesta l’intima presenza di una razionalità attuale in tutta l’esperienza, compresa quella quotidiana, insignificante per lo stolto ma richiedente una vigile attenzione costante da parte del saggio, tesa a cogliere e collocare il senso di ciò che accade all’interno dell’economia cosmica e quindi a corrisponderle eticamente per quanto è possibile.

L’incorporeo, per definizione, né agisce né patisce. Abbiamo già visto che, in sede di dialettica, gli incorporei sono gli esprimibili. In sede di fisica, invece, incorporei risultano:

  • il luogo, cioè ciò che è occupato interamente da un corpo e quindi non ci sarebbe senza occupante (i greci abbondano d’intuizioni relativisticheggianti preeinsteiniane);
  • il tempo, cioè l’intervallo del movimento del cosmo, anch’esso dunque in tutto e per tutto condizionato dai (non già condizione trascendentale dei) corpi e per giunta esteso all’infinito nel passato e nel futuro;
  • l’infinito, incorporeo perché contrario della finitezza propria di tutti i corpi;
  • il vuoto, cioè l’assenza di corpo e di limiti, lo spazio infinito posto all’esterno del compatto cosmo sferico finito (perfetto: siamo in Grecia!), col quale quindi non si confonde, come voleva neodemocriteamente Epicuro.

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