L’etica stoica XI. Scala dei doveri
L’etica stoica XI. Scala dei doveri
Giu 01[ad#Ret Big]
Gli stoici teorizzano una gradualità assiologica tra le svariate azioni intermedie popolanti la vita concreta della maggioranza degli uomini e a tratti quella dei saggi: analogamente a come tra gl’indifferenti preferibili e quelli respinti c’era una fascia d’indifferenti in senso stretto, relativamente ai quali non si ha nessuna ragione non solo morale ma neppure meramente fisica per assumere un atteggiamento di appetito o ripulsa, così a metà tra le azioni convenienti che confinano con le azioni rette e le sconvenienti che confinano coi peccati ci sono azioni né convenienti né sconvenienti. Ora, visto che i più non si schiodano dalla mediocrità morale e non sembrano attratti dalla virtù, sarà meglio prescrivere loro i doveri positivi per non lasciarli in balia delle azioni sconvenienti o, peggio, dei peccati.
Riassumendo, abbiamo una suddivisione in:
- azioni rette derivanti dalla disposizione alla virtù;
- azioni che di per sé sarebbero solo doverose, ma cui si associa la virtù così da renderle doveri perfetti dotati dello stesso peso assiologico delle azioni rette: tali doveri perfetti sono basati sulla saggezza quale scienza dei beni e dei mali ed esprimono una virtù, come nel caso della restituzione di un prestito secondo giustizia;
- azioni convenienti e valutabili positivamente da parte del giudizio (doveri imperfetti) perché risultanti da una scelta razionale che spinge a compierle, come restituire un prestito (ma per mera convenienza sociale, senza essere motivati dalla virtù della giustizia), onorare i genitori, sostenere i fratelli, frequentare gli amici, rispettare la patria;
- azioni affatto neutre, né doverose né non-doverose in quanto né scelte né vietate dalla ragione, come prendere una pagliuzza o scrivere a penna (ma se volete collaborare con filosofiablog, allora dovete videoscrivere);
- azioni sconvenienti o contrarie al dovere in quanto mai giustificabili dalla ragione come non onorare i genitori, trascurare i fratelli, abbandonare gli amici, disprezzare la patria;
- azioni viziose o peccati.
Notiamo infine che storicamente gl’intermedi relativamente positivi dell’etica stoica hanno sottratto molto terreno agli assoluti positivi, soprattutto nella communis opinio extrafilosofica, ma anche in filosofi come Scheler e Kant, il quale eleva un celeberrimo inno al dovere:
Dovere [Pflicht: ministro del bilancio del Libero Stato del Paradiso; già è difficile dirlo, figuriamoci farlo…]! nome grande e sublime, che non contieni nulla che lusinghi il piacere, ma esigi sottomissione, né, per muovere la volontà, minacci nulla che susciti nell’animo ripugnanza o spavento, ma presenti unicamente una legge, che trova di se stessa accesso all’animo, e tuttavia ottiene a forza venerazione (anche se non sempre obbedienza); una legge davanti a cui tutte le inclinazioni ammutoliscono, anche se, sotto sotto, lavorano contro di essa.
Se si chiede di cosa si occupi l’etica a persone prive di pregiudizi filosofici, infatti, può non essere raro sentirsi rispondere: valori, doveri. Tra le cause di ciò può esserci il fatto che i valori e i doveri, in quanto biologicamente e socialmente radicati, paiono molto più numerosi e determinati rispetto ai beni e alle azioni assolutamente rette confinati nella torre eburnea dell’utopica saggezza propugnata dai nostri autori.
È comunque evidente, come accennato, lo slittamento semantico: con “valori” e “doveri” s’indicano oggi, ieri e l’altro ieri anche parte dei beni e delle azioni rette di tempo fa o dell’inizio, per cui il mutamento ha una non trascurabile componente terminologica e contingente che inquina quella concettuale, sostanziale. Un sincronista estremista attento solo all’argomentazione della soluzione al problema potrebbe dunque pure in questo caso deprezzare il lavoro storico-filosofico accusandolo di dar conto di meri errori di trascrizione dei memi, di concepire cioè la filosofia come un curioso gioco del telefono senza fili anziché come una rigorosa e chiara discussione ad alta voce. Al che lo sto(r)ico può controbattere che, per l’ennesima volta, c’è un intermedio tra problema verbale e problema reale: molto certo è dovuto al caso, ma se lo slittamento è gradualmente avvenuto probabilmente c’erano delle inferenze potenziali nell’argomentazione originaria che la storia ha esplicitato più che altro a livello di soluzione, senza esplicitare nel contempo l’argomentazione, che può tenere o non tenere. Nel caso tenga, ecco che il lavoro storico-diacronico (esprit de finesse) palesa al cimento teoretico-sincronico (esprit de géométrie) una possibile opzione argomentabile altrimenti non vista.