L’etica stoica I. Introduzione
L’etica stoica I. Introduzione
Apr 17[ad#Ret Big]
Per gli stoici il fine cui tende ogni azione è la felicità, che non è in vista di nient’altro. L’etica dovrà dunque determinare in cosa la felicità consista e i mezzi per ottenerla nella vita reale (eudemonismo normativo): mezzi praticabili qui e ora da chiunque aspiri alla saggezza, cioè all’armonizzazione continuativa, definitiva anzi, di sé colla struttura profonda del reale, in qualsiasi condizione esteriore si trovi. Ma la morale ascientifica di senso comune procura il piacere, cioè un simulacro transitorio della felicità, e le etiche di Platone ed Aristotele sono catene teoretiche d’impaccio all’azione: l’etica stoica deve disarcionare con urgenza qualunque peccatore, magari col cervello prosciugato da fantasmi inessenziali, frustranti per la vita, diretto a Damasco: convertirlo prima che muoia dopo una vita vana.
A un’etica simile è funzionale l’intero discorso logico e fisico precedente: la filosofia è un systema finalizzato in ognuna delle sue tre parti all’acquisto di scienza e saggezza come habitus immutabile dell’anima. Felice infatti è chi vive secondo i dettami della natura, sia universale sia specifica dell’uomo, cosicché l’etica si munisce tanto delle soluzioni della scienza della natura (fisica), di cui l‘antropologia fa parte, quanto delle dimostrazioni (argomentazioni irrefutabili) della logica, atte a persuadersi contro i tentennamenti del proprio carattere (a rigore, errori di giudizio) ed a persuadere gli altri contro le loro stolte obiezioni. Metaforicamente, il systema della filosofia è rappresentabile come un frutteto, delimitato e protetto dalla recinzione (logica), costituito necessariamente di alberi (fisica) e coltivato in vista dei frutti (etica), o come un uovo concettualmente sodissimo con guscio logico, albume etico e tuorlo fisico.
Fine dell’uomo è per Zenone vivere coerentemente con se stesso secondo una ragione unica e armonica, per Cleante conformemente pure alla natura univerale e per il democristiano maanchista Crisippo vivere conformemente all’esperienza specificamente umana degli eventi naturali. Ora, se sia la natura universale sia la briciola umana sono ragione (logos), allora vivere secondo natura equivale a vivere secondo ragione: solo la ragione retta e perfetta (cioè la virtù, cioè la coerenza morale) dà piena felicità nella realizzazione compiuta del telos, del bene. La responsabilità cosmica dell’uomo è la più grande: nonostante tutto ciò che è determinato, in quanto è determinato, si connette razionalmente all’intero, fine e bene dell’uomo, cui deve conformarsi l’istinto o impulso (horme) è appunto il dispiegamento al massimo grado e senza residui della razionalità in pensieri, parole e opere; un uso controfinale e irrazionale dell’istinto fa scadere all’animalità, al male morale dell’anima analogo al malfunzionamento degli organi affetti dal male fisico o da un uso e una disposizione reciproca inappropriati.
Crisippo, amante delle distinzioni concettuali e delle articolazioni argomentative, insaporisce il sostanzioso ma parco piatto zenoniano con prelibati condimenti: l’etica tratta dell’impulso, dei beni e dei mali, delle passioni, della virtù, del fine, del primo valore, delle azioni, dei doveri, delle esortazioni e delle dissuasioni. Non male.