Arriano, Manuale di Epitteto (7)
Arriano, Manuale di Epitteto (7)
Feb 23Brano precedente: Arriano, Manuale di Epitteto (6)
30. I doveri convenienti si misurano generalmente mediante le relazioni intrattenute. È tuo padre? T’è suggerito di occuparti di lui, di cedergli in tutto, di trattenerti se ti rimprovera, se ti batte. «Ma è un cattivo padre!». Quindi, con ciò? Non sei parente per natura di uno buono, ma di un padre. Il fratello è ingiusto? Ebbene, ecco, mantieni il posto tuo proprio in relazione a lui e non esaminare che cosa faccia lui ma facendo che cosa da parte tua la tua scelta morale avrà conformità a natura. L’altro, ecco, non ti danneggerà, se tu non lo vuoi: dunque sarai danneggiato allorquando assumerai di dover esser danneggiato. Così quindi da parte del cittadino, del vicino, del generale, troverai il dovere conveniente, se ti assuefai a considerare le ralzioni intrattenute.
31. Per quanto riguarda la devozione per gli dèi, vedi che la cosa più importante è questa: avere rette prese di posizione su di loro: assumere che sono e dominano l’universo intero in modo buono e giusto, esser tu stesso ben disposto a questo: ad affidarti ad essi, a cedere agli avvenimenti e ad accompagnarli spontaneamente siccome sono determinati dalla perfetta intelligenza. Così, ecco, non ti lamenterai mai degli déi, né reclamerai siccome ti trascurano. [2] Questo non potrà avvenir in nessun’altro modo che questo: se togli dagli enti non obbedienti a noi il bene ed il male e li poni nei soli enti obbedienti a noi, siccome, ecco, se assumi come bene o male qualcuno di quelli, è conseguenza assolutamente necessaria che, quando abbia sfortuna in quello che vuoi e caschi in quello che non vuoi, tu ti lamenti con ed odi i responsabili. [3] Ecco, relativamente a questo, ogni vivevte per natura fugge ed evita quel che pare dannoso e le sue cause ed accompagna ed ammira, invece, quel che è giovevole e le sue cause. È incongruo quindi che chi crede di esser danneggiato gradisca colui che sembra danneggiarlo, così come è impossibile che gradisca il danno stesso. [4] Indi anche il padre è rimproverato dal figlio quando non dà parte al ragazzo di quelli che sembrano essere beni; e questo rese nemici l’uno dell’altro Eteocle e Polinice: il credere la tirannide un bene. Per questo il contadino, per questo il marinaio, per questo il mercante, per questo quelli che perdono le mogli ed i figli insultano gli déi. Ove, ecco, vi sia vantaggio, là v’è anche la devozione. Sicché chi si preoccupa di dirigere l’appetito ed avversare come si deve, nello stesso momento si preoccupa anche della devozione. [5] Comunque è opportuno, secondo il costume patrio, libare e sacrificare ed offrire primizie ogni volta con purezza e non sciattamente, né trascuratamente, né, ecco, avaramente, né al di sopra delle proprie possibilità.
32. Quando ti accosti alla divinazione, rammenta ciò: che non sai ciò che avverrà, ma ti sei recato dall’indovino per informarti da lui; invece di che qualità sia un qualche avvenimento lo sapevi già all’ingresso, se per davvero sei filosofo. Se, ecco, è un qualche avvenimento di quelli non obbedienti a noi, con assoluta necesità esso non è né bene né male. [2] Non portare quindi dall’indovino appetito o avversione né accostarti a lui tremando, ma riconoscendo ciò: che tutto quel che avverrà sarà indifferente e nulla per te; dunque, di qualunque qualità sia, potrai usarlo bene e nessuno ti vieterà questo. Gagliardamente quindi rivolgiti agli dei come a dei consiglieri; e per il resto, quando ti sarà stato consigliato qualcosa, rammenta quali consiglieri hai assunto e con chi sarai fedifrago non prestando ascolto. [3] Rivolgiti dunque al divinare come Socrate riteneva degno fare, nelle occasioni in cui tutto l’esame ha come riferimento l’esito e gli orientamenti per provvedere al problema non son dati né dalla ragione né da alcun’altra arte; sicché, quando si dovrà condividere rischi con un amico o la patria, non chiedere all’indovino se sia il caso di condividere rischi. Ecco, anche se ti avvisa che gli auspici sono sfavorevoli, che è chiaro che significano morte o perdita di qualche pezzo del corpo od esilio, tuttavia la ragione sceglie, pur con tutto questo, di assistere l’amico e condividere rischi per la patria. Quindi, ecco, attieniti ad un indovino maggiore, al Pizio, che scacciò dal tempio colui che non aveva soccorso l’amico mentre gli veniva tolta la vita.
Traduzione latina di Angelo Poliziano (1479)
XXXV. QUOD OFFICIA A NATURA DUCUNTUR QUODQUE, UT SESE QUISQUE ADVERSUS QUEMPIAM HABEAT, CONSIDERANTUR; TUM DE OFFICIIS ERGA HOMINES.
[30] Officia habitibus pensantur. Pater appellatur: curandus est, cedendum ei in omnibus, ferendus cum aut obiurgat aut verberat. «Sed malus pater est». At natura te non bono patri, sed patri conciliavit. Frater iniurius est? Vide quo tu loco sis, non quid ille faciat. Propositum tibi est ut secundum naturam tu facias. Nemo enim te laedit nisi volentem: tum laesus eris, cum te laedi opinaberis. Sic ergo a cive ad civem, a vicino ad vicinum, ad imperatorem ab imperatore officium invenies, si considerare habitus assuesces.
XXXVI. OFFICIA ADVERSUS DEOS.
[31, 1] Pietatis erga deos id maximum esse scito, ut de ipsis bene sentias putesque et eos esse beneque ac recte gubernare. Tum ut ita te compares, parere eis atque omnibus cedere quae fiant neque invitum sequi, quasi omnia ex optimo consilio efficiantur. Hoc enim pacto neque deos unquam culpabis, neque incusabis quasi neglectus. [31, 2] Id vero aliter efficere non potes, nisi ab iis te avoces quae in nobis non sunt, inque iis tantum quae sunt in nobis bonum ac malum ponas. Quod si eorum aliquid bonum esse aut malum opineris, necesse est ut, cum ea non consequaris quae velis aut in ea incidas quae nolis, conqueraris atque oderis eius rei causam. [31, 3] Omne ad hoc animal natum est, ut quae noxia videntur eorumque causas fugiant atque ab his avertantur, utilia vero et eorum causas quaerant atque admirentur. Non potest igitur, qui se laedi putat, eo quod laedere videtur gaudere, unde et ipsa laesione gaudere impossibile est. [31, 4] Unde et patri filius convitiatur, cum his quae bona videntur filium non impartit. Et Polynicen atque Eteoclem hoc inter se discordare compulit, quod tyrannidem bonum esse putabant; propter hoc agricola convitiatur diis, propter hoc nauta, propter hoc mercator, propter hoc ipsum quibus aut uxores aut liberi interiere. Ubi enim utilitas, ibi pietas. Quamobrem qui ea curat appetere atque evitare quae oportet, is eo tempore etiam pietatem curat. [31, 5] Libare autem et sacrificare secundum patrios mores unumquemque decet pure, absque lascivia, absque negligentia, non parce, non supra facultatem.
XXXVII. QUALEM SE AD DIVINATIONEM ADHIBERE, DE QUIBUS VATEM CONSULERE, QUOMODO DIVINATIONIBUS UTI OPORTEAT: IN QUO SIMUL ET OFFICIUM ERGA DEOS ET ERGA NOS IPSOS EXISTIT.
[32, 1] Cum ad divinationem accedis, memento ignorare te quid sit eventurum, atque ideo vatem adire, ut ex eo id audias. Quale autem quidque sit, si philosophus es, non ignoras. Si enim ex iis est quae in nobis non sunt, necessarium profecto est neque bonum id esse neque malum. [32, 2] Tolle igitur abs te, cum vatem adis, appetitum ac declinationem: aliter enim tremens vatem adibis. Sed, cum noris quicquid eventurum sit susque deque esse et nihil ad te, licebit, quodcunque id sit, eo bene uti, neque te quisquam prohibebit. Fidens igitur deos tanquam consultos adi. Mox, ubi quid tibi consuluerint, memento quos in consilium acceperis, quibusque sit obaudiendum, nisi parueris. [32, 3] De his autem (ut et Socrates dictitabat) consulendus est vates, quorum omnis consideratio relationem ad exitum habet, cuius cognoscendi occasio neque ex ratione nobis neque ex arte aliqua sit praebita. Quamobrem cum tantum periclitandum tibi fuerit cum amico aut cum patria, ne consule an periclitaturus sis. Nam si tibi vates dixerit adversa apparuisse exta, manifestum est aut mortem significari aut corporis impedimentum aut exilium. Sed dictitabit ratio teque confirmabit, ut cum amico et patria pericliteris. Maximo igitur vati, hoc est ipsi Pythio, intende, qui eum de templo expulit qui amico opem non tulerit.
Traduzione italiana di Giacomo Leopardi (1825)
I doveri e gli offici si misurano generalmente dalle relazioni. Il tale ti è padre? appartientisi aver cura di lui; cedergli in ogni cosa; se ti rampogna, se ti batte, portartelo pazientemente. Ma egli è un cattivo padre. Forse che la natura ti obbliga al padre buono? non già, ma semplicemente al padre. Il fratello ti fa egli torto? tu non mancar però seco dell’officio tuo di fratello, e non guardare quello che si faccia egli, ma quello che abbi a far tu per procedere secondo natura. Perocchè già un altro non ti può far nocumento se tu non vuoi; ben sarai tu offeso se tu stimerai che altri ti offenda. Or dunque nel predetto modo, se tu ti accostumerai di por mente alle relazioni, troverai gli offici e i doveri che ti si appartengono rispetto al vicino, al cittadino, al capitano e a qualsivoglia altro.
La pietà verso gli Dei consiste massimamente in aver sane e rette opinioni intorno a quelli; cioè in credere che egli ci ha veramente iddii, e che questi iddii governano ogni cosa bene e con giustizia; e in assegnare a te medesimo questo ufficio e questa parte, di dovere ubbidire agl’iddii, e cedere in ogni cosa agli avvenimenti e acconciarviti di buon grado, come quelli che sono condotti dal miglior consiglio e dalla migliore volontà del mondo. Imperocchè avendo queste opinioni, tu non vorrai per cosa alcuna dolerti degli Dei, nè imputarli che non ti abbiano cura. Or tutto questo non può altrimenti essere che se tu ti distaccherai dalle cose esterne, riponendo il bene e il male in quelle cose solamente che sono in tua potestà. Imperciocchè se tu reputerai pure che alcune delle cose estrinseche sieno beni o mali, tu non potrai fare, quando tu non venghi a capo di ottener quello che avevi desiderato, o che tu incorra in quello che tu fuggivi, di non querelarti degli autori di questo effetto e di non pigliarli in odio; essendo che tutti gli animali per natura fuggono e odiano quelle cose che paiono loro nocive e le cagioni di esse, siccome per lo contrario le cose riputate utili e le cagioni di quelle seguono e pregiano. Laonde egli è impossibile che uno il quale si creda ricevere nocumento, ami quella tal cosa la quale egli si penserà che gli noccia, così come è impossibile che uno ami il nocumento medesimo. Di qui è che il figliuolo trascorre alle male parole contro il padre, quando costui non gli fa parte di quelli che la gente estima essere beni; e Polinice ed Eteocle per questo vennero tra loro in discordia, perocchè essi reputarono essere un bene il principato. Perciò l’agricoltore, perciò il navigatore e il mercatante bestemmiano gli Dei, e quelli che hanno perduto i figliuoli e le mogli bestemmiano gli Dei; essendo che la pietà segue sempre l’utile. Di modo che ciascheduno che procaccia di desiderare e fuggire solamente quello che è da essere desiderato e fuggito, procaccia al tempo medesimo di esser pio. Quanto si è alle libazioni, ai sacrifici, all’offerire delle primizie, queste cose si debbono fare da ciascuno, e ciò secondo le osservanze della propria terra, con purità e mondizia, e non trascuratamente nè in fretta, nè con soverchia strettezza nè sopra quello che comportano le facoltà.
Quando tu andrai per consultare qualche indovino, ricórdati che tu non sai per verità il come sia per succedere il fatto, e vai per chiederne all’indovino, ma ben sai da altro canto la qualità del successo, se tu sei filosofo; perocchè se esso è del numero di quelle cose che non dipendono dal nostro arbitrio, perciò solamente è manifesto che il medesimo non sarà nè bene nè male. Fa dunque, andando all’indovino, di non recar teco nè desiderio nè aversione, e non ti accostare a quello tremando, anzi risoluto che qual sia per essere il successo, è cosa, verso di te, indifferente e che non ti fa nulla, poichè in tutti i modi tu avrai facoltà di volgerlo in tuo profitto, e ciò non ti potrà essere vietato da chicchessia. Però con animo franco e sicuro va, come dire, a consigliarti cogli Dei: e fatto questo, avuto qualche consiglio, ricórdati che consigliatori sono stati i tuoi, e chi sono coloro ai quali tu mancherai di prestare orecchio se tu ti dipartirai dall’avviso che ti è stato porto. Egli si vuol poi, conforme ordinava Socrate, cercare il consiglio degl’indovini in quelle occorrenze nelle quali il bene o male deliberare si riferisce totalmente alla riuscita, e dove nè per ragione nè per alcuna arte si hanno espedienti da conoscere il partito che si debba prendere. Di modo che se egli ti si darà occasione di doverti porre a qualche pericolo per la patria o per un amico, tu non andrai per chiedere all’indovino se tu debba sottentrare a questo pericolo; perciocchè quando pure ti fosse detto dall’indovino i segni delle vittime essere di mala qualità, manifesto è che per questa cosa ti sarebbe significata o la morte o il troncamento o vero lo storpiamento di qualche parte del corpo, o forse l’esilio; ma ragione ti mostra che ancora con tutto questo egli si vorrebbe assistere all’amico e mettersi al pericolo per la patria; e per tanto tu obbedirai ad un maggiore indovino, io voglio dire ad Apollo Pizio, il quale scacciò dal tempio colui che era mancato di soccorso all’amico in quella che egli era messo a morte.
Brano seguente: Arriano, Manuale di Epitteto (8)