Temi e protagonisti della filosofia

Arriano, Manuale di Epitteto (6)

Arriano, Manuale di Epitteto (6)

Feb 05

Brano precedente: Arriano, Manuale di Epitteto (5)

 

26. È possibile comprendere la volontà della natura dalle situazioni in cui non differiamo gli uni dagli altri. Così, quando uno schiavo d’un altro infrange la coppa, si è subito pronti a dire ciò: «sono cose che succedono». Vedi quindi che, quando s’infrange anche la tua, tu devi essere tale e quale rispetto a quando s’infrange quella dell’altro. E trasponi questo anche nelle occasioni più importanti. È morto il figlio o la moglie d’un altro? Allora non c’è alcuno che non dica ciò: «è umano»; ma quando a qualcuno muore il proprio, subito dice: «oimè, me sciagurato!». Bisognerebbe invece rammentare che cosa patiamo udendo che questo succede per altri.

27. Come un bersaglio non è posto per esser mancato, così pure nel cosmo non si genera la natura del male.

28. Se qualcuno affidasse il tuo corpo al primo preparatore che si fa avanti, allora t’arrabbieresti; e tu che consegni la tua mente a chi capita, talché, se ti espone al ludibrio, quella si turba e si confonde, non ti vergogni di questo?

29. Di ciascuna azione esamina le premesse e le conseguenze e così procedi ad essa, sennò al principio avrai ardore senza aver per niente considerato il seguito, posteriormente però, all’apparire di qualche difficoltà, desisterai vergognosamente. [2] Vuoi vincere alle Olimpiadi? Anch’io, per gli déi: ecco, è prestigioso. Ma esamina le premesse e le conseguenze e così attacca l’azione. Devi regolarti bene, sottoporti a dieta, astenerti da dolci, allenarti per necessariamente nelle ore pianificate al caldo/al freddo, non bere acqua gelata, non bere vino così a caso, semplicemente consegnarti al preparatore come ad un medico, e successivamente, in gara, affondare nella sabbia, è inoltre possibile che qualche volta ti sloghi un polso, ti storca una caviglia, ingoi molta polvere, è possibile che qualche volta tu sia fustigato e, dopo tutto questo, che tu sia sconfitto. [3] Avendo riflettuto su questo, se ancora lo agogni procedi a fare atletica, sennò ti comporterai come i bambini, che ora giocano ai lottatori, ora ai gladiatori, ora strombettano, e poi fanno gli attori tragici; così anche tu sei ora atleta, ora gladiatore, successivamente retore, successivamente filosofo, tuttavia con tutta l’anima non sei nulla, ma come una scimmia imiti ogni spettacolo che tu veda e ti garbano cose aliene l’una all’altra. Ecco, procedi a qualcosa senza osservazione e senza averlo percorso metodicamente ma a occhio e con desiderio tiepido. [4] Così alcuni, avendo contemplato un filosofo e avendo ascoltato qualcuno argomentare come argomenta Eufrane (eppure chi è capace di parlare come lui?), bramano anch’essi filosofare. [5] Uomo, prima osserva di che qualità sia il fatto e dopo anche la tua natura per comprendere se puoi durare. Vuoi essere pentatleta o lottatore? Vediti le braccia, le cosce, considera l’anca. Ecco, per natura uno si presta a qualcosa, un altro a qualcos’altro. [6] Ti sembra che facendo questo potrai mangiare allo stesso modo, bere allo stesso modo, dirigerti all’appetito in modo simile, esser insoddisfatto in modo simile? Devi cacciare il sonno, penare, abbandonare quelli che ti son vicini, esser disprezzato da uno schiavo, esser deriso dai passanti, venire sminuito in tutto: nell’onore, nelle cariche, in tribunale, in ogni fatterello. [7] Riflettici, se brami alienarti questo in cambio dell’impassibilità, della libertà, dell’imperturbabilità; sennò, non attivarti per questo, non fare come i bambini: ora filosofo, dopo esattore, successivamente retore, successivamente procuratore di Cesare. Queste attività non son consonanti. Tu devi essere un unico uomo: o buono o cattivo; tu devi operare o sul tuo egemonico o sull’esterno, impegnarti o per le cose interiori o per le esteriori, cioè: occupare il posto o del filosofo o della persona comune.

 

Traduzione latina di Angelo Poliziano (1479)

XXXI. QUAE SUNT COMMUNIA ETIAM EX NATURAE VOLUNTATE.

[26] Voluntas naturae perpendi ex his potest, in quibus alteri ab alteris non differimus. Velut, cum alienus puer fregerit poculum, in promptu statim est esse id ex iis quae fiunt. Scito igitur, cum tuum fuerit fractum, talem te esse oportere qualis fueris, cum alienum frangeretur. Idem ad maiora quoque transfer. Alienus obiit filius aut uxor: nemo est qui non dicat humanum id esse. Sed cum suus cuiusque obiit, statim «hei mihi» et «me miserum». Oportebat autem meminisse quid nobis accidat, cum de aliis idem audimus.

XXXII. MALI NATURAM IN MUNDO NON ESSE.

[27] Quemadmodum non ideo sagittarii signum figitur, ut non attingatur, sic neque mali natura in mundo fit.

XXXIII. QUAE PUTANDA SIT ANIMI PERTURBATIO QUIDVE AGENDUM NE IN EAM INCIDAMUS.

[28] Si quis tuum corpus imperium habenti traderet, aegre ferres. Quod autem tu tuam mentem cuivis tradis, ut, cum tibi convitia dicuntur, perturbetur illa et confundatur, nonne te pudet? [29, 1] Quidquid igitur aggressurus es, eius initium primo, tum quid deinceps sequatur considera, atque ita rem aggrediare. Id si non feceris, nunquam ipsam prompte aggredieris, nihil eorum cogitans quae futura sunt; postmodum vero, cum quaedam apparebunt turpia, pudore afficieris.

XXXIV. EFFICAX CONSIDERANDI EXEMPLUM, QUID QUAQUE IN RE QUAM SIMUS AGGRESSURI ACCIDERE POSSIT.

[29, 2] Vis Olympia vincere? Et ego, per deos: magnificum enim est. Sed considera et initia et consequentia, atque ita rem aggredere. Oportet bene sese instituere, necessariis vesci, abstinere condimentis, exerceri ad necessitatem, ad praescriptam horam, in aestu, in frigore, frigidam non bibere, non vinum, si ita ferat res; totum te denique praefecto ipsi ceu medico tradere; tum in certamen prodire, et interdum manum vulnerari, talum distorqueri, multam haphen deglutire, interdum vero et flagellari, postque haec omnia superari. [29, 3] His animadversis, si adhuc vis, abi certatum. Sin minus, instar puerorum deges, qui nunc palaestritas ludunt, nunc gladiatores, nunc tuba canunt, mox tragoedum agunt: ita et tu nunc athleta, nunc gladiator, nunc orator, nunc philosophus: toto vero animo nihil, sed velut simius quicquid cernis imitaris, aliudque ex alio tibi placet. Non enim cum animadversione rem aggressus es neque circumspectans, sed temere et per frigidam cupiditatem. Sic nonnulli cum philosophum intuentur aut cum a quopiam audiunt: «bene Socrates dicit» et «quis potest dicere ut ille?», volunt et ipsi statim philosophari. ‹[29, 5] Homo, considera primo quaenam aut qualis sit ea res quam aggrederis. Deinde naturam tuam consule, utrum id tolerare possis. Vis esse luctator aut pentathlus? Aspice brachia tua, aspice lumbos, aspice femora. Aliud enim aliis aptum rebus natura parens largita est. [29, 6] An te censes huiusmodi rebus studentem eodem modo vesci posse, eodem modo potum sumere, eodem modo irasci, eodem modo maerere? Vigilare oportet, laborare, secedere a propriis bonis, a pueris contemni, derideri ab omnibus, universis in rebus minus auctoritatis habere: in honore, in magistratu, in iudicio, in ceteris omnibus. [29, 7] Haec, inquam, omnia considera: et utrum pro his indolentiam, libertatem, quietem malis, animadverte; quod ni malis, cave ea aggrediaris, ne instar puerorum modo philosophus, modo publicanus, paulo post rhetor, postremo Caesaris procurator fias. Haec invicem nequaquam conveniunt. Illud oportet, hominem esse te vel bonum vel malum; aut ad interiora te vertas necesse est aut ad exteriora; vel philosophi locum teneas vel idiotae.›

 

Traduzione italiana di Giacomo Leopardi (1479)

La intenzione della natura si conosce da quelle cose dove noi non abbiamo interesse. Se il fante del vicino avrà spezzato un bicchiero o cosa tale, subito ti correrà in sulla lingua: elle sono cose che accaggiono. Ora sappi che chi spezzasse il tuo bicchiero, tu la déi pigliare in quella medesima guisa che tu piglierai che si spezzi quello del tuo vicino. Così delle cose di maggior momento. Muore a un altro il figliuolo o la moglie? sono casi umani. Muore il figliuolo o la moglie propria? tosto gli oimè, gli ahi ahi. Ma egli si converrebbe avere a memoria quello che c’interviene quando il medesimo caso ci è riferito di un altro.

Come non si mette un bersaglio acciocchè l’uomo non lo colga, così non si genera e non si ritrova al mondo la natura del male.

Se uno desse il tuo corpo in potestà di qualunque che gli venisse alle mani, tu te ne sdegneresti: e dando tu la tua mente in potere di chicchessia, per modo che se egli ti dirà una mala parola, quella si turbi e confonda, non ti vergogni però punto? Innanzi di metterti a qualsivoglia operazione, divisane teco stesso le antecedenze e le conseguenze. Altrimenti tu intraprenderai con grande animo, non pensando punto alle cose che hanno a venire; ma in progresso nascendoti qualche difficoltà e qualche vitupero, tu ti vergognerai. Desideri tu diventar vincitore olimpico? E io non meno di te, per Dio; chè ella è una qualità che fa onore. Ma considera prima le antecedenze e le conseguenze, e poi mettiti all’impresa. Egli ti conviene sottoporti a una disciplina e osservare una regola; mangiare sforzatamente; astenerti dalle confetture e cotali piacevolezze; esercitare il corpo per forza a certe ore assegnate, sì al caldo come al freddo; non usare bevande fresche nè vino a tuo piacimento; in fine darti tutto in mano al maestro, nè più nè meno come a un medico. Di poi scendere nell’aringo; a un bisogno guastarti una mano, smuoverti un tallone; ingoiare di buoni tratti di polvere; a un bisogno anche toccare delle sferzate, e poi per ultimo esser vinto. Considerato che avrai tutte queste cose, se tu persevererai nel concetto di prima, datti agli esercizi dei giuochi. Ma se tu non considererai cosa alcuna innanzi, tu ti aggirerai come i bamboli, che ora fanno i lottatori, e quando gli atleti, e quando gli schermitori, poi strombazzano, poi contraffanno le tragedie. Così ancora tu: oggi schermitore, domani atleta, e quando oratore, poi filosofo, e nulla mai veramente e con tutto l’animo, ma in guisa delle scimmie tu contraffai tutto quello che tu vedi, e muti voglia a ogni tratto. Perocchè tu non imprendi mai cosa alcuna consideratamente, e spiatala prima bene da ogni banda, ma così a caso e per qualche fantasia leggera. Egli ci ha di quelli che veduto per avventura un filosofo, o udito dire a questo o a quello: oh, Socrate dice pur bene, e: chi è che possa favellare come faceva Socrate? si mettono per voler filosofare ancor essi.

O uomo, considera prima sottilmente questo fatto del filosofare, di che sorta egli sia, e quindi fa di conoscere la tua natura, a veder se tu sei buono da comportarlo. Vuoi tu pigliare la professione di fare alla lotta o vero ai cinque giuochi? tu hai da por mente alle tue braccia, alle cosce, ai lombi, perchè una complessione è acconcia a una cosa e una a un’altra. Pensi tu di potere filosofando mangiare e bere e fare lo schifo e il dilicato come al presente? Egli ti bisogna vegliare, faticare, separarti dai tuoi, essere vilipeso da un fanticello, in tutto essere inferiore agli altri, negli onori, nei magistrati, nei giudizi, in ogni coserella. Considera bene queste difficoltà e questi incomodi, e vedi se egli ti pare espediente di sostenerli per avere in compenso di quelli la libertà, lo stato dell’animo senza perturbazioni, senza passioni; e non voler fare come i fanciulli, oggi filosofo, poi gabelliere, appresso oratore, indi procuratore di Cesare. Queste qualità non si accordano insieme. Egli si vuole essere una persona sola, o valente o da poco; adoperarsi intorno alla parte principale di noi medesimi, o intorno alle cose di fuori; aver cura dell’intrinseco o dell’estrinseco; che è quanto dire, esser filosofo o pure uomo comune.

 

Brano seguente: Arriano, Manuale di Epitteto (7)

 

 


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