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Arriano, Manuale di Epitteto (3)

Arriano, Manuale di Epitteto (3)

Gen 22

Brano precedente: Arriano, Manuale di Epitteto (2)

 

8. Non cercare di far sì che gli avvenimenti avvengano come desideri, ma desidera gli avvenimenti così come avvengono, e ti troverai bene.

9. La malattia è impedimento del corpo, dunque non della scelta morale, sempreché non lo voglia quest’ultima. Lo zoppicamento è impedimento della gamba, dunque non della scelta morale. E ragionando ripetilo in occasione di ognuno degli accadimenti: troverai, ecco, che esso è impedimento di qualcun altro, dunque non tuo.

10. In occasione di ognuno degli accadimenti, rammenta di rivolgerti a te stesso per cercare quale capacità abbia relativamente all’uso di esso. Se vedi un bell’uomo od una bella donna, come capacità relativa a questi accadimenti troverai l’autodominio; se si presenta una fatica, troverai la forza; se si presenta il ludibrio, troverai la pazienza. E, abituandoti così, le rappresentazioni non ti rapiranno.

11. Non dire mai di niente ciò: «l’ho perduto», ma ciò: «l’ho ridato». Il bambino è morto? È stato ridato. La moglie è morta? È stata ridata. «M’è stato tolto il terreno». Ebbene, anche questo è stato ridato. «Ma colui che me l’ha tolto è un malfattore». Però a te che interessa mediante chi colui che te l’aveva dato te l’ha domandato indietro? Sino a quando te lo dà, interessati di esso come di un oggetto altrui, come fan nella taverna gli avventori.

12. Se vuoi progredire, abbandona i ragionamenti di tal sorta: «se mi disinteresso dei miei averi, non avrò di che sostentarmi», «se non punisco lo schiavo, sarà un furfante». Meglio, ecco, morire di fame ma essendo divenuto privo di dolore e di paura piuttosto che vivere nell’abbondanza turbato. Meglio dunque che lo schiavo sia inaffidabile piuttosto che tu infelice. [2] Quindi, ecco, inizia dalle piccolezze. Ti si spande l’olietto, ti si ruba il vinello? Ragiona su ciò: «tanto costa l’impassibilità, tanto l’imperturbabilità»; gratis invece non perviene nulla. Quando dunque chiami lo schiavo, considera che può non ascoltarti e, anche avendo ascoltato, non fare niente di ciò che vuoi, ma non è che gli vada così bene che a lui sia obbediente il tuo non turbarti.

13. Se vuoi progredire, sopporta finanche di sembrare, per le esteriorità, mentecatto e stolto, non voler per niente sembrar uno che ha scienza stabile; anche se a qualcuno sembrerai essere qualcuno, diffida di te stesso: vedi, ecco, che non è facile custodire la tua propria scelta morale conforme a natura e custodire anche le esteriorità, ma è assolutamente necessario che interessandosi dell’una alternativa ci si disinteressi dell’altra.

14. Se vuoi che i tuoi figli e la moglie e gli amici vivano per sempre, sei stolto: ecco, vuoi che gli enti non obbedienti a te siano obbedienti a te e che quelli alieni siano tuoi. Così anche, se vuoi che lo schiavo non sbagli, sei sciocco: vuoi, ecco, che il difetto non sia difetto ma qualcos’altro. Se invece vuoi non mancare il bersaglio quando desideri, sarai capace di farlo. Quindi allenati in quello in cui sei capace. [2] Colui che ha il potere di procurare o togliere gli enti bramati o non bramati da ciascuno è il padrone di ciascuno. Chi quindi vuole essere libero, non ne brami alcuno né ne fugga alcuno di quelli obbedienti ad altri, sennò sarà di necessità schiavo.

 

Traduzione latina di Angelo Poliziano (1479)

XII. QUO PACTO SINE PERTURBATIONE ET NOXIA EXTERNIS ACQUIESCERE POSSIMUS.

[8] Ne velis, quae fiunt, fieri ut velis; sed velis quae fiunt ut fiunt, et prosper eris. [9] Morbus corporis est impedimentum, propositi vero minime, nisi ipsum velit. Claudicatio cruris impedimentum est, propositi vero minime. Atque hoc in quocunque incidentium considera, inveniesque id alius esse impedimentum, non tuum.

XIII. QUOD IMPOSSIBILIA NON SUNT QUAE PRAECIPIUNTUR, QUANDO VIRES ANIMO ADVERSUS OMNIA INSUNT.

[10] In quocunque incidentium memento tecum ipse quaerere quam tu vim sabea ad eius usum. Si malum habeas, vim bonam invenies, ut ad voluptates continentiam; si labor offeratur, invenies robur; si convitium, patientiam. Atque hoc pacto assuetus ab imaginationibus non perturbaberis.

XIV. QUALES PRAEBERE NOS OPORTEAT, CUM EXTERNA AMITTAMUS.

[11] Nunquam in re quapiam dicas: «perdidi hoc», sed «reddidi». Puer obiit: redditus est. Ager ereptus, nonne et hic redditus est? «Sed malus est vir qui abstulit». Quid ad te per quem repetierit qui dedit? Quousque autem tibi praebeantur, velut alienorum curam habe, ut hospitii viatores.

XV. RESPONSIO AD OBIECTA QUAE DE SUPERIORI PRAECEPTO EMERGUNT, AC REGULA QUA TALIA ELIGENTES AB AERUMNIS NON EXERCEAMUR.

[12, 1] Si proficere vis, dimitte has considerationes: «si rem meam neglexero, nutrimentis carebo», «nisi puerum puniam, malus erit». Praestat enim fame obire sine dolore et metu, quam in affluentia vivere cum perturbatione. Praestat et puerum malum esse, quam te infelicem dominari. [12, 2] Igitur a minimis ‹incipias oportet›. Effusum est oleum, ablatum vinum: considera tanti abs te emi quietem securitatemque animi. Gratis autem nihil adquiritur. Si autem voces puerum, cogita posse illum non audire, aut audientem nihil eorum agere quae velis: sed non tanti is est, ut propter eum tute perturberis.

XVI. CONTRA VULGI DE NOBIS EXISTIMATIONEM.

[13] Si proficere vis, ne moleste feras, si propter ea quae intrinsecus sunt demens aut stultus videaris.

XVII. ADVERSUS INANEM GLORIAM.

Ne velis rei cuiusquam gnarus videri. Et si quibus esse aliquis videare, ne crede tibi ipsi. Scis enim non facile esse et propositum tuum secundum naturam servare et iis qui sint extrinsecus placere, sed necesse est ut qui alterum curet alterum negligat.

XVIII. QUIBUS STUDENDUM SIT, QUIBUS NON SIT.

[14, 1] Si velis liberos uxoremque tuam et amicos vivere, stultus es. Quae enim in te non sunt, vis in te esse, et quae aliena, tua. Atque ita si puerum peccare non vis, stultus es: vis enim ut vitium non sit vitium. Si autem velis, appetens aliquid, eo non excidere, hoc potes: hoc igitur exercere potes.

XIX. QUAE NOS SERVOS FACIANT QUAEVE LIBEROS.

[14, 2] Dominus cuiusque est is qui, quae ille vult aut non vult, potest aut dare aut auferre. Qui ergo liber esse vult, neque velit quicquam neque fugiat eorum quae sunt in aliis. Alioquin ut serviat necesse est.

 

Traduzione italiana di Giacomo Leopardi (1825)

Tu non déi cercare che le cose procedano a modo tuo, ma voler che elle vadano così come fanno, e bene starà.

La malattia si è un impaccio del corpo, ma non della disposizione dell’animo, solo che esso non voglia. L’esser zoppo si è impaccio della gamba, ma non della disposizione dell’animo. Il simile dirai per ogni accidente che ti sopravvenga. Imperciocchè troverai che esso sarà di natura da fare impaccio a qualche altra cosa, ma non a te proprio.

A ciascuna cosa esteriore che ti occorra, rivolgiti sopra te stesso e cerca quale delle facoltà che tu hai, si possa adoperare verso di quella. Se tu avrai veduto un bel garzone o una bella donna, troverai che da poter usare verso di queste cose, tu hai la facoltà della continenza. Se ti occorrerà una fatica da sostenere, troverai la facoltà della tolleranza. Se una villania, la pazienza. E così accostumandoti, tu non ti lascerai trasportare dalle apparenze delle cose.

Non dir mai di cosa veruna: io l’ho perduta, ma bene: io l’ho restituita. Ti è morto per avventura un figliuolo? tu l’hai renduto. Morta la tua donna? tu l’hai renduta. Ti è stato tolto un podere? or non è egli renduto anche questo? Ma colui che me ne ha spogliato è un ribaldo. Che fa egli a te che quegli che ti aveva dato il podere te lo abbia richiesto per via di tale o di tale altra persona? Fino a tanto poi che egli ti lascia tenere o il terreno o che che altro si sia, pigliane quel pensiero che tu prenderesti di una cosa che fosse d’altri, come fanno dell’albergo i viandanti.

Se tu vuoi far progresso nella sapienza, lascia da parte questi cotali discorsi: se io non avrò cura della mia roba, non avrò di che vivere; se io non gastigherò il mio schiavo, egli sarà pure un furfante. Meglio è morirsi di fame dopo una vita libera da travagli e timori, che vivere inquieto in grande abbondanza di ogni cosa. Meglio è che il tuo schiavo sia tristo che non tu infelice.

Tu incomincerai dunque dalle cose picciole. Ti si versa un poco di olio? ti è rubato un poco di vino? tu dirai: a tanto si vende la tranquillità dell’animo, la costanza: niente si può avere gratis. Quando chiami il tuo fante, pensa ch’egli può accadere che colui non t’oda, e che ancora udendoti, non faccia però nulla di quel che tu vuoi. Ora tu non voler tanto concedere al tuo fante, che egli abbia in sua mano di poterti turbare la quiete dell’animo.

Se tu vuoi far profitto, comporta pazientemente di esser tenuto pazzo e stolido per cagione delle cose di fuori. Anzi se egli ci avrà di quelli che ti stimino uomo da qualche cosa, diffídati di te medesimo. Perchè tu déi sapere che egli non si può in un medesimo tempo conservare l’animo tuo disposto e ordinato secondo natura, e provvedere alle cose esterne; ma colui che ha cura dell’una di queste parti, di necessità dee trascurare l’altra.

Se tu vuoi che la moglie, i figliuoli e gli amici tuoi vivano sempre, tu sei pazzo. Perocchè tu vuoi che dipenda da te quello che non è in tuo potere, e che quello che è d’altri sia tuo. Parimente se tu vuoi che il tuo servo non commetta errore, tu sei sciocco. Perchè questo è un volere che la malizia non sia malizia ma qualcos’altro. Ma se tu vuoi non desiderar cosa che poi non ti venga ottenuta, questo sì che lo puoi. Per tanto indústriati di ottener questo che tu puoi.

Colui che ha in sua facoltà di dare o torre a una persona quel che essa vuole o non vuole, è padrone di quella cotal persona. Però chiunque ha volontà di esser libero, faccia di non appetire nè fuggir mai cosa alcuna di quelle che sono in potestà d’altri; o che altrimenti gli bisognerà in ogni modo essere schiavo.

 

Brano seguente: Arriano, Manuale di Epitteto (4)


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