Temi e protagonisti della filosofia

Arriano, Manuale di Epitteto (2)

Arriano, Manuale di Epitteto (2)

Gen 18

Brano precedente: Arriano, Manuale di Epitteto (1)

 

3. Nelle occorrenze di ciscuno degli enti che ispirano o presentano un’utilità o garbano, rammenta di ragionare sulla sua qualità, iniziando dai più piccoli: se ti garba una pentola, ragiona su ciò: «mi garba una pentola». Ecco, una volta che essa si sarà infranta, non ti turberai; se baci il tuo bambino o tua moglie, ragiona su ciò: baci una persona: ecco, una volta che sarà morta, non ti turberai.

4. Quando stai per attaccare qualche azione, rammenta a te stesso di che qualità sia l’azione. Se esci a lavarti, preconizza da te stesso gli eventi nel bagno pubblico: quelli che spruzzano, quelli che spingono, quelli che espongono al ludibrio, quelli che rubano. E così attaccherai l’azione con più sicurezza, se ci ragioni su subito soggiungendo ciò: «voglio lavarmi pur mantenendo la mia scelta morale conforme a natura». E fai allo stesso modo per ciascuna azione. Così, ecco, se avvenisse qualcosa che t’impedisse di lavarti, sarà pronto il ‘perciò’: «ma non volevo solo questo, ma anche mantenere la mia scelta morale conforme a natura; non la manterrò, dunque, se m’irrito per gli eventi».

5. Non sono i fatti che turbano gli uomini, ma le dottrine sui fatti: ad esempio la morte non è nulla di terribile (giacché sennò lo sarebbe parso anche a Socrate), ma la dottrina che la morte è terribile – quella sì è terribile. Quando quindi siam impediti o turbati od addolorati, non incolpiamo mai nient’altro tranne noi stessi, ossia le nostre dottrine. È proprio di chi non ha educazione filosofica accusare altri per le opere in cui egli agisce male, di chi ha iniziato ad educarsi accusare se stesso, di chi è educato non accusare né l’altro né se stesso.

6. Non vantarti di alcun primato alieno. Qualora il cavallo vantandosi dicesse ciò: «sono bello», sarebbe tollerabile; tu, invece, quando dici, vantandoti, ciò: «ho un bel cavallo», vedi che ti vanti di un pregio del cavallo. Che cosa, qundi, è tuo? L’uso delle rappresentazioni. Sicché, quando ti regoli secondo natura nell’uso delle rappresentazioni, allora potrai vantarti: allora, ecco, ti vanterai di qualche pregio tuo.

7. Come in una traversata, se, con la nave ormeggiata, sei sbarcato a prender acqua, strada facendo potrai anche raccogliere una conchiglietta ed una radicetta, ma devi esser attento col pensiero alla nave e girarti continuamente, casomai il timoniere chiamasse, e se ti chiama abbandonare tutte quelle cose per non esser issato legato come le pecore; così anche nella vita nulla vieta l’eventualità che ti sian dati, anziché una radicetta ed una conchiglietta, una mogliettina ed un bambino; se tuttavia il timoniere chiama, corri sulla nave abbandonando tutti insieme quei famigliari, non girandoti neppure. Se poi sei vecchio, non allontanarti mai assai dalla nave per non lasciarla allorché sarai chiamato.

 

Traduzione latina di Angelo Poliziano (1479)

VI. QUOMODO TRACTANDA SINT QUAE IN NOBIS NON SUNT.

[3] In unoquoque eorum quae aut delectant aut utilitatem praebent aut diliguntur, memento considerare quale id quidque est, incipiens a minimis. Si ollam diligis, dic: «ollam diligo». Ea enim fracta, non perturbaberis. Si filium tuum amas aut uxorem, dic te hominem diligere. Mortuo enim non perturbaberis.

VII. QUOMODO PRAEPARARI IN ACTIONIBUS OPORTEAT, UT PERTURBATIONE VACEMUS, AC PRIMO PER MEDITATIONEM.

[4] Cum rem quampiam aggressurus es, redige tibi in memoriam, qualisnam ea res sit. Si lotum abis, praepone tibi quae-cunque in balneo fiunt, irrorantis, inquietos, convitiantis, furantis, atque ita tutius rem aggredieris; si autem continuo dices: «lavari volo propositumque meum, quod secundum naturam est, servare», et in quacunque re similiter, non peccabis. Hoc enim pacto, si quid inter lavandum impedimenti accidat, in promptu hoc tibi erit: «non hoc volebam solum, sed et meum propositum, quod est secundum naturam, servare; non servabo autem, si moleste feram quae fiunt».

VIII. DE PERTURBATIONE DECLINANDA PER EORUM NATURAE CONSIDERATIONEM QUAE NOS PERTURBANT.

[5] Perturbant homines non res ipsae, sed rerum opiniones: ut mors nihil terribile, alioquin et Socrati visa foret, sed quia opinio de morte terribilis, ideo illa terribilis. Igitur cum aut impediamur aut perturbemur aut doleamus, nunquam alium accusemus, sed nos ipsos, hoc est opiniones nostras.

IX. RATIO SUPERIORIS PRAECEPTI TRIPLICISQUE HOMINUM GRADUS ASSIGNATIO.

Ineruditi est alios culpare, cum quid male agat. Eius qui iam coepit erudiri, se ipsum. Eruditi neque alium neque se ipsum.

X. QUOMODO TRACTANDA QUAE DE EXTERNIS VIDENTUR ELIGENDA.

[6] Ob nullam alienam excellentiam te efferas. Si equus superbiens dicat: «pulcher sum», ferendum esset. Tu vero, cum dicis superbiens: «pulchrum habeo equum», memento te ob pulchrum equum superbire. Quid ergo est tuum praeter usum imaginationum? Ergo ‹cum in usu opinionum secundum naturam te habebis›, tum vero superbias: ob aliquod enim tuum bonum superbies.

XI. QUAE NOBIS EX EXTERNIS CONCEDANTUR QUOQUE IIS PACTO SIT UTENDUM, PER SIMILITUDINEM.

[7] Quemadmodum in navigatione, ubi in portum est ventum, si exeas aquatum, incidit ut cochleas in itinere aut bulbulos colligas, animum tamen ad navigium intentum habere convenit et saepe respicere an gubernator vocet, et, si vocet, omnia illa abicere, ne vinctus eo coniciaris instar pecudum; sic in vita si pro bulbulo aut cochleola uxorcula nobis aut filiolus praebeatur, nihil sit prohibendum: si autem gubernator vocet, curre ad navigium relinquens haec neque respiciens. Si autem sis senex, nunquam procul a navigio discede, ne forte vocatus desis inque id vinctus coniciaris. Qui enim volens non sequitur, necessitate hoc patietur.

 

Traduzione italiana di Giacomo Leopardi (1825)

Abbi cura di ricordare a te medesimo il vero essere di ciascheduna cosa che ti diletta o che tu ami o che ti serve ad alcuno uso, incominciando dalle più picciole. Se tu ami una pentola, dire a te stesso: io amo una pentola; perciocchè se ella si spezzerà, tu non avrai però l’animo alterato. Se tu bacerai per avventura un tuo figliuolino o la moglie, dirai teco stesso: io bacio un mortale; acciocchè morendoti quella donna o quel fanciullino, tu non abbi perciò a turbarti.

Qualora tu pigli a far che che sia, récati a mente la qualità di quella cotale operazione. Se tu vai, ponghiamo caso, al bagno a lavarti, récati al pensiero le cose che accaggiono nel bagno; la gente che ti spruzza, che ti sospinge, che ti rampogna, che ti ruba. E per metterti a quell’atto più sicuramente, tu dirai fra te stesso: io voglio ora lavarmi, e oltre di ciò mantenere la disposizione dell’animo mio in istato conforme a natura. E il simile per qualunque faccenda. Così se per avventura al lavarti ti sarà occorso alcuno impaccio, tu avrai pronto il modo di consolarti dicendo: io non voleva fare solamente questo, ma eziandio mantenere la disposizione dell’animo mio in grado conforme a natura. Ma io non la manterrò in cotale stato, se io mi cruccerò di questo che ora m’interviene.

Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni che eglino hanno delle cose. Per modo di esempio, la morte non è punto amara; altrimenti ella sarebbe riuscita tale anche a Socrate; ma la opinione che si ha della morte, quello è l’amaro. Per tanto, quando noi siamo attraversati o turbati o afflitti, non dobbiamo però accagionare gli altri, ma sì veramente noi medesimi, cioè le nostre opinioni. Egli è da uomo non addottrinato nella filosofia l’addossare agli altri la colpa dei travagli suoi propri, da mezzo addottrinato l’addossarla a se stesso, da addottrinato il non darla nè a se stesso nè agli altri.

Guarda di non insuperbire di alcuna eccellenza o di alcun pregio altrui. Se un cavallo montando in superbia dicesse: io son bello, ciò sarebbe per avventura da comportare. Ma quando tu ti levi in superbia dicendo: io ho un bel cavallo, avverti che tu insuperbisci di un pregio che è del cavallo. Sai tu quello che è tuo? l’uso che tu fai delle apparenze delle cose. Sicchè quando nell’usare di queste apparenze tu ti reggerai conforme a quello che la natura richiede, allora tu piglierai compiacenza di te medesimo a buona ragione: imperocchè quello sarà un pregio tuo proprio.

Siccome in una navigazione, poichè il legno ha dato in terra a qualche porto, se tu esci del legno per fare acqua, tu puoi bene ancora venir cogliendo per via qua una chiocciolina, là una radicetta, ma egli ti conviene però aver sempre il pensiero alla nave, e voltarti spesso, per intendere se il piloto ti chiama, e chiamandoti, lasciare tutte quelle cose, per non avere a esser cacciato dentro legato come si fa delle pecore; così nella vita, se in cambio di radicette o di chioccioline ti si porgerà una donnicciuola o un putto, niente vieta che tu non lo debba pigliare e godertelo. Ma se il piloto ti chiama, corri tosto alla nave senza voltarti, lasciata stare ogni cosa. E se tu sarai vecchio, non ti dilungherai dal legno gran tratto, per non avere a mancare quando il piloto ti chiami.

 

Brano seguente: Arriano, Manuale di Epitteto (3)

 

 


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