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Arriano, Manuale di Epitteto (10)

Arriano, Manuale di Epitteto (10)

Mar 05

Brano precedente: Arriano, Manuale di Epitteto (9)

 

42. Quando qualcuno ti fa del male o parla male di te, rammenta ciò: che fa o parla credendo di compiere il suo dovere. Non è possibile quindi che egli accompagni quel che appare a te, ma quel che appare a lui stesso, sicché, se gli appare in modo sbagliato, è colui che s’inganna che è pure danneggiato: ed ecco, se qualcuno presume falso un giudizio congiuntivo vero, è danneggiato non il giudizio congiuntivo ma colui che s’è ingannato. Con queste assunzioni all’origine, quindi, starai calmo con colui che insulta: aggiungi, ecco, in ciascuna occasione ciò: «gli è sembrato così».

43. Ogni fatto ha due prese: l’una può portarlo, l’altra non può portarlo. Se tuo fratello è ingiusto, non prendere questo fatto da qui, cioè: «è ingiusto» (questa, ecco, è la presa che non può portarlo), ma, meglio, da qui, cioè: «è mio fratello», «è cresciuto con me», e lo prenderai con ciò con cui è possibile portarlo.

44. Questi argomenti non son conclusivi: «io sono più ricco di te, quindi io son migliore di te», «io son più eloquente di te, quindi io son migliore di te». Questi, dunque, son più conclusivi: «io sono più ricco di te, quindi i miei possessi son migliori dei tuoi», «io son più eloquente di te, quindi il mio eloquio è migliore del tuo». Tu dunque, ecco, non sei né possesso né eloquio.

45. Qualcuno si lava rapidamente; non dire ciò: «male», ma ciò: «rapidamente». Qualcuno beve molto vino; non dire ciò: «male», ma ciò: «molto». Prima, ecco, di conoscere la sua dottrina, da dove hai visto se è male? Così non ti avverrà di cogliere le rappresentazioni catalettiche di alcuni fatti, pur ponendo il tuo assenso in altre.

 

Traduzione latina di Angelo Poliziano (1479)

LVII. PRAECEPTUM AD PATIENTIAM ET MANSUETUDINEM.

[42] Cum quisquam tibi male facit aut dicit, memento illum suum se officium facere arbitrantem facere aut dicere. Esse igitur non potest, ut is quod tibi videtur sequatur, sed quod sibi ipsi. Quod si male sibi videtur, ipse laeditur, qui et deceptus est. Verum enim coniugatum si quisquam falsum arbitretur, non coniugatum ipsum laeditur, sed qui decipitur. Si ab his igitur movearis, mitem te adversus convitiantem praebebis. Loquere igitur sic in quavis re: «ipsi est visum».

LVIII. QUOD RES OMNES PARTIM ALTERAE ALTERIS CONSENTIUNT, PARTIM DISSIDENT.

[43] Omnis res duas habet ansas, alteram qua ferri possit, alteram qua non possit. Frater si iniurius sit, ne eum inde capias, quod scilicet est iniurius: haec enim eius ansa est qua ferri non possit; sed inde magis, quod frater est, quod tecum educatus: atque ita inde eum capias unde ferri potest.

LIX. DE SERMONUM CONGRUENTIA.

[44] Hi sermones non congruunt: «ego sum ditior te: ego igitur melior sum», «ego sapientior te: ego igitur melior te». Hi autem magis congruunt: «ego te ditior sum: mea igitur possessio quam tua melior est», «ego te sapientior: mea igitur oratio quam tua melior». Tu vero neque possessio es neque oratio.

LX. DE IUDICIO RERUM EXACTO.

[45] Lavatur quis cito? Ne dicas male eum lavari, sed cito. Bibit quis multum vini? Ne dicas «male», sed «multum». Nisi enim eius consilium scias, unde scis an male? Sic enim accidet ut aliorum apprehensivas imaginationes accipiamus, aliis autem assentiamus.

 

Traduzione italiana di Giacomo Leopardi (1825)

Qualora alcuno o con parole o con fatti ti offende, sovvengati che egli opera o vero parla in quel cotal modo, stimando che di così fare o vero parlare gli appartenga e stia bene. Ora è di necessità che egli si governi, non conforme a quello che pare a te, ma secondo che pare a lui. Sicchè se a lui pare il falso, esso si ha il danno e non altri, cioè a dire, il danno è di colui che s’inganna. Pigliamo una verità di quelle che chiaman connesse: se uno la si crederà falsa, non la verità, ma questo tale, ingannandosi, porterà il danno. Per sì fatta guisa discorrendo, tu comporterai mansuetamente colui che ti oltraggerà; perocchè ogni volta tu hai da dire: così gli è paruto che convenisse.

Ogni cosa ha, per maniera di dire, due manichi: a pigliarla dall’uno, ella si sopporta, dall’altro no. Se il fratello ti farà ingiuria, non pigliar la cosa per modo che tu dica: egli mi fa ingiuria, perchè questo è quel manico dal quale se tu la prendi, ella non si porta; ma pigliala da quest’altra banda, e dì: mio fratello, nutrito e cresciuto meco insieme; e tu la piglierai da quel lato dal quale ella si può portare.

Queste cotali argomentazioni non reggono: io sono più ricco di te, dunque io sono da più di te; io più letterato di te, dunque io sono da più. Queste altre reggerebbero bene: io sono più ricco di te, dunque la mia roba è da più che la tua; io più letterato di te, dunque la mia dicitura val più che la tua. Ma tu non sei nè roba nè dicitura.

Uno si laverà in fretta. Non dire: ei si lava male, ma: egli si lava in fretta. Un altro berrà molto vino. Non dire: egli bee male, ma sì: egli bee molto vino. Perciocchè come puoi tu sapere se quelli fanno male, innanzi che tu abbi considerata e stabilita la opinione che tu piglierai? Per tal modo non t’interverrà di ricevere una impressione, e giudicare secondo un’altra.

 

 


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