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Una introduzione al dibattito sulle proprietà (5)

Una introduzione al dibattito sulle proprietà (5)

Gen 30

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Realismo e Nominalismo (4)

Sebbene si tratti di una proposta convincente, è utile ricordare come la Teoria dei tropi debba far fronte ad alcune difficoltà. Oltre alla già osservata contingenza ontologica potremo ora osservare come, da un punto di vista linguistico, vi siano difficoltà nello stabilire la corretta estensione di un insieme di somiglianza. Un insieme di tropi potrebbe infatti al suo interno presentare più di una somiglianza. Nulla vieta che di connessioni interne fra tropi ve ne siano più di una; anzi, più esteso sarà l’insieme, più sarà lecito aspettarsi una pluralità di somiglianze. Questa difficoltà (che può essere rivolta anche al metodo di Quine) è stata indicata da Armstrong come il problema della promiscuità.

Gli insiemi sono tanti, ma sono pochi quelli di qualche interesse. Per la maggior parte gli altri non sono interessanti perché sono del tutto eterogenei, nel senso che i membri dell’insieme non hanno niente in comune. In particolare, per la maggior parte degli insiemi non vi è alcuna proprietà F tale che l’insieme è l’insieme di tutti gli F. Quindi gli insiemi non sono sufficienti per spiegare le proprietà: al massimo si può dire che il possesso di una proprietà comporta l’appartenenza a un insieme di un certo tipo [1].

I tropi che compongono un insieme di somiglianza sono, secondo Williams, simili necessariamente: dati due o più tropi, con loro è data anche la somiglianza necessaria. A questa tesi Armstrong risponde che di somiglianze tra elementi di un insieme ve ne possono essere diverse e che quindi molti altri insiemi di somiglianza potrebbero essere formati e legittimi quanto l’insieme considerato nel definire una particolare proprietà. Il tropo di saggezza presente in Socrate, ad esempio, potrebbe appartenere, sia all’insieme di somiglianza della Saggezza in generale, che a quello della Saggezza greca, e tutto ciò in virtù di una somiglianza interna. Non è ben chiaro quindi il criterio con cui, dati alcuni tropi, sia possibile scegliere tra i possibili insiemi di somiglianza quello idoneo a definire l’estensione di un predicato di proprietà.

Il problema della promiscuità mette in luce la necessità di un criterio di distinzione tra diversi insiemi di somiglianza. Un nominalista non potrebbe altrimenti delimitare l’estensione di un predicato di proprietà. Tale criterio è stato individuato da alcuni autori nell’abitudine. Che un determinato insieme di somiglianza formi l’estensione di un predicato è, in quest’ottica, il risultato di consuetudini linguistiche. Elgin [2] propone di considerare come tali consuetudini dipendano dai nostri interessi. Discute pertanto le conclusioni con cui Lewis [3] afferma l’esserci nel mondo di proprietà perfettamente naturali.

Lewis belives that the properties we recognize and those we have access to are natural properties. This may be overly optimistic.[…] Consider, for example, the predicate ‘toxic’. Apart from the capacity to kill or sicken the organism they affect, its instances have little in common. In particular, their molecular structures are quite diverse. There is no particular reason to think that ‘toxic’ is sufficiently closely related to perfectly natural properties to qualify as a natural property [4].

L’insieme di somiglianza, corrispondente all’estensione del predicato ‘tossico’, viene a comprendere tutti gli enti capaci di uccidere o debilitare un organismo [5]. Ma il criterio con cui si discrimina tra enti tossici e non è in ultima analisi umano; se determinati enti non nuocessero agli organismi, non vi sarebbe ragione per preferirli ad altri nel formare l’estensione di ‘tossico’.

È possibile riconoscere l’importanza della nostra abitudine considerando anche un famoso enigma proposto da Goodman [6]. In questo rompicapo, l’autore mette in luce la possibilità di ottenere induzioni giustificate, indicando con termini diversi una stessa proprietà.

Supponiamo che tutti gli smeraldi presi in esame prima di un certo momento t siano verdi. Al momento t, allora, le nostre osservazioni sostengono l’ipotesi che tutti gli smeraldi sono verdi. […] Introduciamo ora un altro predicato meno familiare di «verde». Si tratta del predicato «blerde» che si applica a tutte le cose esaminate prima di t solo nel caso che siano verdi, ma ad altri oggetti solo nel caso che essi siano blu. Così al momento t abbiamo, per ogni enunciato di attestazione che asserisce che un dato smeraldo è verde, un corrispondente enunciato di attestazione il quale asserisce che tale smeraldo è blerde. E se prendiamo i vari enunciati […] ognuno di essi confermerà l’ipotesi che tutti gli enunciati sono blerdi. Perciò, sulla base della nostra definizione sono ugualmente confermate dagli enunciati d’attestazione […] sia la previsione che essi siano verdi sia quella che essi siano blerdi [7].

La distinzione di fondo tra proprietà da un lato e predicati dall’altro non potrebbe essere più chiara. Due predicati come ‘verde’ e ‘blerde’ hanno, da un punto di vista linguistico, estensioni diverse ma parzialmente congruenti; pertanto il colore dello smeraldo fino al momento t, trovandosi in questa congruenza, può essere parte dell’estensione di entrambi i predicati. Ne consegue che, per indicare tale colore, i due predicati sono equivalenti; ciò nonostante ‘blerde’ risulta ai nostri occhi bizzarro e l’enigma mostra proprio il motivo per cui ciò accade. Il predicato ‘blerde’ e la sua estensione sono contrari alla nostra abitudine; per indicare quel colore abbiamo infatti sempre usato il predicato ‘verde’. Ne si può concludere che l’abitudine giochi un ruolo importante nel garantire il significato dei predicati, e che quindi anche qualora Lewis avesse ragione nel sostenere l’esistenza di proprietà perfettamente naturali, difficilmente le si potrebbe considerare ciò su cui i predicati del nostro linguaggio fondano il loro significato.

 

Note

[1] Armstrong D.M. (1992), pag. 391.

[2] Elgin C. (1995)

[3] Lewis D. (1983)

[4] Elgin C. (1995), pag. 293.

[5] Per esprimerci coi termini di Williams, dovremmo dire che viene qui riconosciuta la presenza di tropi di tossicità negli enti.

[6] Goodman N. (1955).

[7] Goodman N. (1955), pag. 85-86.

 

Bibliografia

  • Armstrong D.M., (1992), Le proprietà, tratto da Language, Truth and Ontology, all’interno di Metafisica classici contemporanei;
  • Elgin C.Z., (June 1995), Unnatural science, in The Journal of Philosophy, vol. 92, No. 6;
  • Goodman N. (1955), Fact, Fiction and Forecast, Harvard University Press, Harvard;
  • Lewis D. (1983), New work for a theory of Universals, tratto da The Australasian Journal of Philosophy 61, pag. 343-377.

 

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