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Una introduzione al dibattito sulle proprietà (4)

Una introduzione al dibattito sulle proprietà (4)

Gen 23

Articolo precedente: Una introduzione al dibattito sulle proprietà (3)

 

Realismo e Nominalismo (3)

Quine non è il solo autore nominalista che tratta i termini relativi a proprietà come predicati. Williams [1] propone un’operazione simile sebbene, da un punto di vista ontologico, la sua posizione sia più impegnativa di quella del filosofo di Harvard. Questa proposta viene indicata come Teoria dei Tropi, perché è proprio nel concetto di tropo che risiede la sua particolarità; consideriamone quindi la definizione proposta dall’autore.

Un tropo, quindi, è un’entità particolare che è o astratta oppure costituita dalla combinazione di uno o più entità concrete con un abstractum. Così, un gatto e la coda di un gatto non sono tropi, ma il sorriso di un gatto lo è, così come lo è l’intero i cui costituenti sono il sorriso del gatto più il suo udito e l’aridità della luna [2].

La definizione che Williams fornisce dei tropi in queste righe è ambigua. Essi sarebbero le parti astratte degli enti [3] e quindi le occorrenze, il singolo caso di una particolare proprietà; ad esempio, questo particolare verde. Tuttavia, gli esempi proposti da Williams mettono in luce anche un altro aspetto: i tropi vanno considerati nel loro comporsi, insieme alle parti concrete, nella formazione degli enti. Esempio di questo tipo è “il sorriso di un gatto”, ovvero un tropo composto dal particolare concreto “gatto” [4] unito a un componente astratto: il suo particolare sorriso.

Questa ambiguità potrà essere chiarita considerando la tesi fondamentale di Williams, secondo cui i tropi sarebbero ontologicamente fondanti.

Ora, la mia proposta è che le nostre parti sottili, i nostri componenti astratti, sono i costituenti principali di questo mondo, così come di qualsiasi altro mondo possibile: esse costituiscono l’alfabeto dell’essere. Non solo sono attuali, ma sono tutto ciò che ci sia di attuale, nel senso che, mentre le entità appartenenti a qualunque altra categoria sono letteralmente composte di queste cose, esse non sono in genere composte da altre entità di alcun tipo [5].

Quello che viene qui sostenuto è che ogni ente debba essere considerato come un composto, i cui elementi siano esclusivamente tropi [6]. Se Williams avesse ragione ne conseguirebbe che gli enti sarebbero composti esclusivamente da tropi, sia nelle loro proprietà astratte, che nelle loro parti concrete. L’ambiguità è qui dovuta all’uso insolito che l’autore fa del termine ‘astratto’; in ragione della sua ontologia, egli usa questo termine per indicare il singolo tropo all’interno di quel composto che a suo avviso è un ente. Quando parla dei tropi come di entità astratte Williams non intende quindi negarne la concretezza quanto piuttosto porre l’accento sul loro essere entità particolari, sul loro essere componenti di un complesso che possono anche essere isolati (ossia astratti) dall’insieme cui appartengono [7]. I tropi sono in quest’ottica parti mereologiche di un ente, ciò che lo compone ontologicamente.

Da un punto di vista ontologico, la tesi di Williams è estremamente impegnativa. La teoria dei tropi dovrà infatti spiegare in che modo essi vadano a comporsi per formare un ente. Nel farlo l’autore ribadisce una posizione di radicale nominalismo; la categoria di sostanza viene qui definitivamente abbandonata. Non vi è nulla di ontologicamente più fondante dei tropi nel comporre enti, i quali sono somme [8] di tropi.

Convinti che i tropi compongano un concretum in un modo logicamente non diverso dal modo in cui lo compone qualsiasi altro gruppo esaustivo di parti, abbiamo ottime ragioni per sostenere che il concretum non sia l’insieme bensì la somma dei tropi, e quindi lo descriveremo in quel modo [9].

Abbandonata la categoria di sostanza, la teoria dei tropi dovrà spiegare cosa determini le proprietà alla formazione di una determinata somma, fra le molte possibili. A tale scopo, nell’articolo vengono presentati due modi fondamentali di connessione fra tropi: localizzazione e somiglianza.

Passando adesso brevemente dall’alfabeto dell’essere a un assaggio del suo sillabario, osserviamo due modi principali in cui i tropi possono essere connessi l’un l’altro: il modo della localizzazione e quello della somiglianza. Questi modi sono categorialmente diversi, e anzi sono uno la controparte sistematica dell’altro: sono speculari, per così dire. La localizzazione è esterna, nel senso che un tropo di per sé non implica né necessita né determina la propria localizzazione rispetto a qualunque altro tropo, mentre la somiglianza è interna nel senso che, dati due tropi qualsiasi, è sempre implicato o necessitato o determinato se e come essi siano simili [10].

La localizzazione è una connessione esterna fra tropi che forma, nel caso limite della concorrenza, somme di tropi, ovvero enti [11]. Un ente, come una mela, viene qui considerato un concretum, composto da tropi fra loro co-locati. Può questa localizzazione sostituire la sostanza? Si potrebbe rispondere sì, sebbene questo comporti un alto grado di contingenza nella nostra ontologia. Trattandosi infatti di una connessione esterna, e quindi non necessaria, ogni tropo non determinerà la propria posizione. Ne consegue che la formazione di determinate somme rispetto ad altre sarà casuale, il formarsi di taluni enti rispetto ad altri un fatto contingente.

Williams tuttavia tratta anche di relazioni interne e necessarie; la somiglianza è proprio così caratterizzata: dati due tropi essa sarà necessariamente determinata. L’autore intende questa connessione in modo atipico, prevedendo due relati e non tre [12]. A differenza di Russell che, come abbiamo visto, riassumeva la relazione tra due enti a e b nel composto aRb, Williams ritiene superfluo il termine di relazione R, e analizza quindi le relazioni con una formula diversa.

[…] una relazione R tra due tropi a e b è un tropo costitutivo del complesso r'(a,b) [13].

Così come nel metodo di Quine, il termine di relazione viene definito senza far riferimento a universali, tramite un’estensione come se fosse un predicato. La tecnica nominalista di eliminare gli universali, come riferimento semantico dei predicati, viene qui di nuovo applicata, sebbene su un’ontologia che prevede l’esistenza di tropi. Russell considerava aRb e cRd sostenendo che la relazione R fosse ineliminabile, e quindi un universale. Il metodo nominalista considera invece R(a,b,c,d) in cui la relazione R è un predicato definito dall’estensione dell’insieme a,b dove a,b non sono variabili (come nel caso di Quine) ma tropi, proprietà ontologicamente fondanti. L’insieme composto dai tropi appartenenti all’estensione di un predicato viene a formare ciò che Williams chiama l’insieme di somiglianza.

«a è φ» significa che la somma di concorrenza (Socrate) include un tropo che è un membro dell’insieme di somiglianza (la Saggezza) [14].

Da un punto di vista ontologico, la saggezza di Socrate dell’esempio coinciderà con il particolare tropo di saggezza di cui è composto l’individuo Socrate [15]; mentre, da un punto di vista linguistico, il significato del predicato ‘essere saggi’ o ‘saggizzare’ coinciderà con l’insieme di somiglianza dei particolari tropi di saggezza.

 

Note

[1] Williams D.C. (1953)

[2] Williams D.C. (1953), pag. 344.

[3] Ogni ente del mondo è composto secondo Williams da ‘parti’ concrete e ‘componenti’ astratti. Egli propone di considerare come esempio un lecca-lecca. Le parti concrete saranno in questo caso il bastoncino e il dolciume, mentre i componenti astratti corrispondono alle proprietà empiriche, ossia il sapore, il colore ecc.

[4] Le virgolette non indicano un termine ma un particolare ente; per evitare confusione ho utilizzato “ al posto di ‘.

[5] Williams D.C. (1953), pag. 344.

[6] Ad esempio una mela acerba sarebbe composta dai tropi del suo colore, del suo profumo ecc.

[7] “Nella sua massima ampiezza, il «vero» significato di «astratto» è parziale, incompleto o frammentario: il tratto che distingue ciò che è meno del tutto cui appartiene. Poiché ogni cosa ad eccezione del Mondo Intero dev’essere una parte propria di qualcos’altro, anzi di molte cose, tutto a eccezione del Mondo Intero è «astratto» in questo senso più ampio […]”, Williams (1953), pag. 352.

[8] Williams utilizza il termine ‘somma’ per indicare come la composizione di tropi non vada a formare un ente di livello superiore a quello delle sue parti costituenti.

[9] Williams D.C. (1953), pag. 347.

[10] Williams D.C. (1953), pag. 344-345.

[11] Williams D.C. (1953), pag. 346.

[12] Una connessione mette in relazione diversi tropi. Trattandosi di una relazione, la presenza di due elementi e non di tre (i due relati più la relazione) rende questo rapporto atipico.

[13] Williams D.C. (1953), pag. 346.

[14] Williams D.C. (1953), pag. 349.

[15] Il tropo è presente nel complesso Socrate come suo componente costitutivo.

 

Bibliografia

  • Williams D.C., (1953), Le proprietà come entità particolari, tratto da L’alfabeto dell’essere, all’interno di Metafisica classici contemporanei.

 

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