La metafisica tra realtà, conoscenza e linguaggio
La metafisica tra realtà, conoscenza e linguaggio
Dic 08[ad#Ret Big]
Affinché la filosofia possa dispiegarsi pienamente come metafisica, è necessario argomentare un’assunzione sotto la cui consequenzialità formale ed astrattezza cova un vespaio di problemi inestricabili o addirittura insolubili. L’assunzione è che il linguaggio naturale ordinario sia capace di comunicare nello spazio intersoggettivo tutto il contenuto rappresentazionale di una conoscenza che a sua volta aderisca alla struttura del reale. Ciascuno dei tre elementi del trinomio realtà-conoscenza-linguaggio è condizione necessaria e la loro congiunzione è condizione sufficiente del darsi della metafisica.
Alcuni tendono timidamente a espungere la necessità del linguaggio, ma i più ritengono che il misticismo, quale accesso conoscitivo ineffabile all’essere, sia una forma aberrante di filosofia. Con ciò non si vuol dire che la conoscenza mistica è illusoria o manchevole, ma solo che è altro rispetto a quella filosofica. In effetti, forse il maggior lascito dei greci è l’esigenza della controllabilità intersoggettiva in sede di politica, scienza e filosofia. Ora, il medium più versatile, potente e veloce di cui disponiamo per condividere informazioni è appunto il linguaggio.
Dopo l’ironicamente ambiguo disincanto platonico sul nostro argomento, il magistero di Aristotele ha inceppato per duemila anni il dibattito occidentale nella convinzione metodologica che i problemi di traduzione tra i tre ambiti, pur presenti, fossero secondari. Ma, com’è noto, accantonare i problemi o posticiparne la soluzione serve solo a esasperarli. Così, tra Seicento e Settecento, la filosofia è stata gradualmente posseduta dal demone della non conformità tra conoscenza e realtà, nonostante il tentato esorcismo di Descartes, finché Kant ha diagnosticato apertamente la gravità della situazione. I geniali pensatori dell’Ottocento, in particolare Hegel, hanno tentato l’impresa titanica di rimarginare la ferita. Nel far ciò, l’ultimo di costoro, Frege, pensò bene di ricorrere al pharmakon della rigorizzazione del linguaggio, non sospettando che in tal modo avrebbe invece palesato l’ulteriore voragine tra esso e la conoscenza. La filosofia analitica del Novecento ha riconosciuto in Frege il suo fondatore proprio perché essa persegue il parallelismo tra conoscenza (in special modo quella forte, scientifica, che per i riduzionisti riflette senza residui il reale) e linguaggio tecnicizzato (al limite formalizzato).
Purtroppo non è ancora nato lo Hegel del 2000, una mente che, nell’odierna complessa confusione postmoderna, ricostruisca i due ponti crollati. Ma che dico? Magari sarai proprio tu, caro cibernauta arenatoti forse per caso in questo nuovo sito filosofico, il pontefice straniero…
Se ho ben capito quanto hai scritto (ti do del tu se non ti spiace), mi sentirei di dire che sono più ottimismita per quanto riguarda il “vespaio”. Io credo infatti che Hegel abbia ricostruito il ponte realtà-conoscenza con successo. E credo anche che, tutto sommato, il ponte conoscenza-linguaggio sia ricostruibile su di una strategia parallela a quella. Infatti non c’è nessuna realtà che non sia quella esposta dal nostro linguaggio: porre qualcosa al di là del linguaggio è possibile soltanto nel linguaggio, e cioè è impossibile per l’ appunto. Come la coscienza, così anche il linguaggio è intrascendibile. In questo senso non è possibile non ammettere l’ adeguatezza del linguaggio al pensiero (e dunque anche del linguaggio all’ essere), così come dopo Hegel non fu più possibile non ammettere l’ adeguatezza del pensiero all’ essere. No?
(Questo naturalmente non toglie che lo studio filosofico del linguaggio sia importantissimo, ma esclusivamente per evidenziare eventuali ambiguità insite in esso o errori formali).
P.S. A cosa ti riferivi esattamente con “Dopo l’ironicamente ambiguo disincanto platonico sul nostro argomento”?
Certo, dammi pure del tu; così farò anch’io. Ti ringrazio dell’opportunità di ampliare un po’ quello che ho scritto in modo criptico su Hegel; tieni comunque conto che non avevo certo ambizioni teoretiche nel mio post, ma volevo solo impostare un discorso elementare e neutro. Ci sarebbero tantissime cose da dire, ma mettiamola così, in modo assertorio: anch’io trovo senz’altro convincente, in quanto esplicita e sistematica, la ricostruzione hegeliana del ponte tra conoscenza e realtà. Penso che Hegel ci dia gli elementi per riallacciare i ponti anche col linguaggio, ma, per ragioni forse più storiche che teoretiche, non abbia sviluppato tutte le potenzialità di una filosofia del linguaggio gnoseologicamente orientata. C’è una via diciamo “metafisica” per farlo, che tu hai bene espresso nel tuo commento, ma io preferirei, e probabilmente la preferirebbero anche gli analitici, una via strutturale, immanente al funzionamento del linguaggio stesso, scevra da precomprensioni speculative. Si tratterebbe, in breve, di aggiornare la Fenomenologia dello spirito in senso linguistico: come la coscienza ordinaria va assunta all’inizio così com’è, con tutte le opposizioni istituite dai momenti, per essere accompagnata mediatamente verso la scienza, nella quale non se la sente di saltare ex abrupto, altrettanto bisognerebbe fare col linguaggio ordinario per curarlo dai crampi mentali, dalle ambiguità e soprattutto dalla sua difettiva centratura sul giudizio, senza dare per scontata l’immanenza del linguaggio alla conoscenza assoluta della Scienza della logica. Per quanto riguarda Platone, mi riferivo soprattutto al Cratilo, alla polifonicità dei dialoghi e alla sua diffidenza verso la scrittura (illanguidimento del linguaggio).
Sì certo, capisco che un post di qualche decina di righe non avesse particolari ambizioni teoretiche. Il mio infatti era solo un suggerimento, una suggestione diciamo, e sono contento che sia stata còlta. Quanto a quello che dici sul linguaggio mi trovi abbastanza d’ accordo.
Continuate così che, se posso esprimere la mia modesta opinione, mi sembra un buon progetto! Ciao 🙂
In questo articolo la metafisica è confusa con la mistica. La prima è connaturata a una situazione nella quale la consapevolezza è attiva e propositiva, dovendo essere compiuta attraverso la completezza di ogni possibilità inerente all’essere che deve realizzarsi, mentre la seconda è di natura passiva e visionaria. A questa passività è associata la diffidenza necessaria al mistico che non ha gli strumenti intellettuali né il compito di discernere attraverso la conoscenza perfetta e assoluta dei princìpi universali.
Abbiamo Conoscenza, Realtà, Linguaggio,Metafisica. Cosa sono in loro stesse, come sono collegate? Se concepiamo la Realtà come il Tutto, contiene allora le altre tre; la conoscenza sarebbe il risultato tramite lo strumento linguaggio (ed altro),della Realtà stessa. E’ chiaro comunque, (io ho in mente una Realtà di tipo frattale…), che sono comunque un pò l’una dentro l’altra, non essendoci confini precisi, ma un unico modello che si ripete nelle diverse dimensioni. La metafisica cosè in questo quadro? Cos’è l’oltre della Realtà?
E’ come nel disegno prospettico il punto a cui tendono tutte le linee; esiste materialmente o è virtuale? Ma quì nasce il problema se l’immaginario virtuale è esso stesso Realtà; rispondo che per ogni cosa c’è una gradazione dell’essere reale! E poi bisogna specificare reale su quale piano e rispetto a cosa; direi una dialettica dell’essere reale di ogni cosa.. E poi ancora bisogna capire se questo oltre è riinghiottito dal Reale o ne costituisce l’abbandono 0 un drastico superamneto? E l’Essere cos’è ? Il centro di gravità di tutta la Realtà, che tende al metafisico. E la filosofia cos’è allora?
Lo studio del Reale nel suo centro sttrutturale. Per ora basta , devo scappare via.
Un saluto
Cara Emanuela,
le proposte e gli interrogativi sono passibili di sviluppi teoretici notevoli, ulteriori rispetto alle modeste pretese storico-introduttive del post. Sarebbe molto interessante trovare argomentazioni a tale “olismo frattale” che superassero i problemi di “traduzione” tra i tre livelli che ho stilizzato.
Buon pensiero!