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1. Gli albori della logica modale moderna: Clarence Lewis e l’amo da pesca

1. Gli albori della logica modale moderna: Clarence Lewis e l’amo da pesca

Mag 08

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Oggi pubblichiamo il primo articolo di Martina Orlandi, laureanda specialistica in Logica, Filosofia e Storia della Scienza all’Università di Firenze. Martina inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog occupandosi di Logica modale. Ringraziandola per il suo contributo, le diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.

Quante volte hanno fatto parte dei nostri pensieri, o delle nostre conversazioni, frasi come “è possibile che lui mi chieda di sposarlo?” oppure “se vado via dall’Italia è necessario che io non torni più”, o ancora “non è possibile che domani il sole non sorga”?

Tante sono le volte in cui ci interroghiamo, abbiamo dubbi su qualunque evento della nostra vita, oppure ci accorgiamo, nostro malgrado, che alcune circostanze ci portano a concludere che un evento accadrà necessariamente, ossia che non è possibile che non accada.

Tutti questi pensieri come abbiamo visto, si esprimono in forma di “è possibile che ” ed “è necessario che”, e la logica modale si occupa della formalizzazione di enunciati che ineriscono a tali modalità.

Quando una volta un tale mi chiese di cosa si occupasse la logica modale gli risposi proprio nel modo che ho appena scritto e cioè appunto che la logica modale si occupa della formalizzazione di concetti di possibilità e necessità, ma lui mi guardò come se gli avessi detto che la luna è gialla perché oggi fa freddo. In sostanza, mi guardò in modo decisamente interdetto.

Spiegare di cosa si occupa la logica in generale non è mai facile, soprattutto ai non addetti ai lavori, e la logica modale in questo caso, evidentemente, non fa eccezione. Spiegare poi che esistono dei collegamenti tra la logica e il nostro mondo quotidiano poi, è ancora più difficile per chi non l’abbia mai approcciata. La logica infatti è un campo di studi astratto e il più delle volte più complesso di quanto sembri, perciò persuadere del fatto che persino quel campo può avere non solo dei riscontri, ma anche delle utilità nel mondo di oggi non è semplice.

Come vedremo, scopriremo che la logica modale è in realtà quella da cui forse è più facile estrapolare problematiche di tipo squisitamente filosofico, ma vedremo anche che ambiti come la logica dinamica per esempio, hanno applicazioni molto utili all’interno dell’informatica.

La logica modale quindi risulta essere un ottimo compromesso tra tecnicismo e filosofia, anche se non è sempre stata tecnica.

La logica modale infatti nasce con il quadrato modale aristotelico (De Interpretatione, 12-13), in base al quale un enunciato è necessario se e solo se la sua negazione è impossibile, e un enunciato è possibile se e solo se la sua negazione non è necessaria.

Da Aristotele, passando poi per i Megariti, gli Stoici e la filosofia Scolastica del medioevo, la logica modale è sempre rimasta confinata ad una serie di ragionamenti informali. È stato solo nel 1932 che Clarence Lewis ne inventò la formalizzazione dando così origine alla logica modale moderna.

Lewis fu infatti il primo ad inventare i simboli ora noti come operatori modali:

  • = è necessario
  • ◊ = è possibile

Lewis era ovviamente un logico molto promettente e dotato che nel 1912, due anni dopo la pubblicazione dei Principia Matematica, iniziò a scrivere articoli che esprimevano delle critiche nei confronti dell’implicazione materiale utilizzata da Bertrand Russell, ossia sul modo di leggere

“a → b” come “a implica b”.

In effetti i problemi riguardo l’implicazione materiale non sono proprio banali. La tavola di verità dell’implicazione materiale è la seguente:

E permette ad un conseguente vero di seguire da un antecedente falso. Perciò se dico: “Se Socrate ha cento teste allora la Luna è gialla” è un’implicazione corretta nel nostro mondo perché secondo la tavola di verità, se l’antecedente e il conseguente sono entrambi falsi l’implicazione è valida.

Se dico “Se prendo sempre ottimi voti , allora sarò ammessa ad Oxford”, e prendo davvero ottimi voti e vado veramente ad Oxford, l’implicazione è valida perché sia l’antecedente che il conseguente sono veri. Eppure se l’antecedente è falso, cioè se non prendo ottimi voti, e il conseguente è vero, l’implicazione resta valida, quando invece nel mondo reale se prendo pessimi voti è altamente improbabile che io venga ammessa ad Oxford. Come giustificare un comportamento del genere dell’implicazione? Ricordo che una volta un mio amico studente di fisica leggendo le tavole di verità mi chiese proprio questo, e l’unica risposta che seppi dargli fu: “Beh, il condizionale materiale non è intuitivo, però funziona.” Effettivamente è vero, ma sarebbe bello avere a che fare con un’implicazione che si avvicini di più al senso comune. Questo era l’intento iniziale di Clarence Lewis il quale propose di sostituire l’implicazione materiale con l’implicazione stretta che da un antecedente falso non può mai implicare un conseguente vero. L’implicazione stretta fu chiamata fishhook, cioè amo da pesca, perché somigliante proprio a quella forma (). Inoltre non era primitiva, ma definita tramite negazione, congiunzione e un prefissato operatore modale unario, ◊. Sia A una formula con un valore di verità classico bivalente. Allora ◊A può essere letto come “A è possibilmente vero”. Lewis definì “A implica strettamente B” come “ ¬ ◊(A ˄ ¬ B)”. La logica modale del primo libro di logica di Lewis, ‘A Survey of Symbolic Logic’ (1918), si dimostrò essere inconsistente, ma permise a Lewis di implementare i sistemi modali da S1 a S5 e di presentarli insieme in ‘Symbolic Logic’ (1932) come possibile analisi formale delle modalità aletiche.

Da una semplice riflessione sull’implicazione materiale è nata quella che oggi conosciamo come la logica modale pura. A volte è vero che le buone invenzioni nascono casualmente.

Articolo successivo: 2.1. La semantica della logica modale: un bambino di nome Kripke


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