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LOGICA FORMALE: LOGICA PREDICATIVA, APPUNTAMENTO 12

LOGICA FORMALE: LOGICA PREDICATIVA, APPUNTAMENTO 12

Feb 21

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Il post precedente appariva sacralmente conchiuso intorno all’imponente triade logica di identità, contraddizione e contingenza, e perciò ne restarono fuori alcuni pezzettini di teoria che andrò ad affastellare garbatamente oggi come splendi minuti diamanti teoretici; e c’è un ordine in tutto e non poteva che essere così.
Una cosa di cui potevo tranquillamente parlare l’altra volta e che non ho fatto è la forma condizionale corrispondente, prendiamo perciò alcune scelte parole di Berto a riguardo:

La forma condizionale corrispondente è cioè quel condizionale, che ha per antecedente la congiunzione delle premesse α1, … , αn dell’argomento dato, e per conseguente la conclusione β. […] per qualunque schema [d’argomento] vale che esso è corretto, se e solo se la sua forma condizionale corrispondente è una tautologia.

La forma condizionale corrispondente può essere indicata generalmente con la formula che segue:

α1 ⋀ … ⋀ αn →β

Dove “α1 ⋀ … ⋀ αn” rappresenta la congiunzione di tutte le premesse del ragionamento in questione, essendo questa una congiunzione, essa è vera solo se tutti i suoi congiunti sono veri. Mentre “β” rappresenta la conclusione del ragionamento posta come il conseguente di un condizionale materiale; possiamo ricordare come secondo la matrice del condizionale non si dà il caso in cui le premesse siano vere e la conclusione falsa, cioè nella forma condizionale corrispondente di un ragionamento noi avremo che da premesse tutte vere segue solamente una conclusione vera. Per lo stesso motivo possiamo anche dire che la forma condizionale corrispondente è una tautologia.

A questo punto della faccenda però ci accorgiamo con sommo disgusto della banalità del linguaggio enunciativo perché si limita a sindacare con una semplice lettera maiuscola tutto un predicato. Infatti l’enunciato “fra Batman e Robin c’è amore” si scrive in linguaggio enunciativo con un morto e spoglio “P” (o “Q” se preferite). L’assioma principale che dava verità alla mia infanzia, cioè “Tetsuya è il pilota di Mazinga”, viene espresso con un secco “Q” (o anche “M” se preferite): uno stilema francamente banale!
Perciò, in virtù di un criterio estetico (scherzo) i logici hanno inventato i linguaggi predicativi o elementari (questo sul serio).

Il linguaggio predicativo non si limita all’analisi delle operazioni che intercorrono fra gli enunciati ma va ad analizzare più a fondo gli enunciati stessi garantendo la trattazione di una più vasta gamma di ragionamenti ordinari; con questo tipo di linguaggio si può, fra l’altro, formalizzare l’aritmetica.

Come funziona il linguaggio predicativo? Il linguaggio predicativo dovrà ammettere innanzitutto simboli che rappresentino nomi di individui e questi verranno chiamati nomi propri, costanti individuali o infine nomi atomici (vedremo più avanti perchè). Utilizzeremo per questo scopo le lettere minuscole questa volta corsive: “a, m, n, …”.
Invece torneremo ad usare le lettere maiuscole, questa volta corsive: “P, Q, R, S,…” per indicare i predicati e le chiameremo lettere di predicazione o costanti predicative.

Per convenzione, poi, si complicano le cose invertendo l’ordine di soggetto e predicato cioè assumendo di scrivere prima il predicato e successivamente il nome a cui il predicato fa riferimento. Ad esempio, l’enunciato: “Deva ha fame” in linguaggio enunciativo veniva reso semplicemente con “P”. Questo stesso esempio, in linguaggio predicativo, assumendo che “d” sia Deva (il mio cane) e “F” sia la proprietà di “aver fame” riferita al cane (anche se qui invero il mio cane e questa sua peculiare proprietà sfumano l’uno nell’altro inestricabilmente) viene reso come segue:

F (d)

Quest’ultima è la formula di tutti gli enunciati semplici in cui si riferisce una proprietà ad un individuo. Nel caso però in cui si stabilisca una relazione fra due individui, come nel caso di “Tetsuya è il pilota di Mazinga” abbiamo bisogno di una ulteriore complessità del linguaggio predicativo. Assumiamo quindi che le lettere di predicazione non esprimano solo caratteristiche di un singolo individuo ma possano essere anche intese come relazioni fra due o più individui, e cioè relazioni binarie, ternarie e cos’ì via. In questo caso scriveremo la lettera di predicazione che indica la relazione fra gli individui seguita, fra parentesi, dalle costanti individuali secondo l’ordine della relazione e non a caso. L’enunciato “Tetsuia è il pilota di Mazinga” verrà reso così:

P(t,m)

Dove “P” è la relazione di “essere pilota di”, “t” rappresenta l’individuo Tetsuya e “m” rappresenta l’invincibile robot Mazinga. Non avremmo potuto invece scrivere:

P(m,t)

Che formalizza “Mazinga è pilota di Tetsuya”, il che non è assolutamente!
Per riassumere che fra gli individui “i1, … , in” esiste una relazione “R” n-aria cioè a “n” posti possiamo scrivere la seguente formula generale:

R(i1, … , in)

Abbiamo visto che il posto che riveste il posizionamento dei nomi individuali all’interno della formula in cui è espressa una relazione fra individui è rilevante e forma una coppia, una tripla o in generale un n-pla ordinata (non è uno scherzo!).
Fin qui abbiamo visto come formalizzare il nesso soggetto-predicato all’interno dei singoli enunciati semplici, adesso aggiungo che questi possono essere connessi tramite i connettivi logici che abbiamo visto precedentemente cioè negazione, congiunzione, disgiunzione, condizionale materiale, bicondizionale.

“Pensia sia aria quella che respiri? Noi la chiamiamo logica predicativa.”


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