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LA LOGICA FORMALE (1:INTRODUZIONE)

LA LOGICA FORMALE (1:INTRODUZIONE)

Dic 06

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APPUNTAMENTO 1: PRELUDIO
“Che vita da cani!”, dissi annoiato. Fu ieri sera fra il rimpianto di non essere un avvocato famoso e quello di non essere un filosofo importante. E fu a quel punto che il mio cane si avvicinò e mi disse: “Ah sì? Se la tua vita è una vita da cani, e io sono un cane, allora passami il telecomando e guardiamo quello che voglio io!”
C’era qualcosa che non andava nel suo ragionamento, ma subito non me ne resi conto…

Ebbene, esistono delle regole che discernono fra la chiacchiera da bar e un corretto ragionamento. Bisognerebbe a lungo trattare della questione storica, di come queste regole siano emerse e pian piano siano state modificate e perfezionate dai vari pensatori. Considerato che la questione storica può risultare tediosa ad alcuni ed appassionante a certi altri, quello che mi accingo a fare è una esposizione dei principi della “logica formale” come è intesa oggi, portando qua e là delle pillole di storia della logica.
La logica sembra uno strumento portentoso, o almeno sembra portento il suo scopo programmatico e cioè quello di stabilire delle regole per un corretto ragionamento. E la logica certo mantiene le sue promesse, ma andando avanti seguendo la materia ci si renderà conto di come la logica, al pari di ogni altra scienza (intendendo questo termine in modo generale, come lo considera il senso comune), sia in evoluzione, e per quanti siano i suoi risultati inconfutabili, rimangono zone oscure e terreni di scontro, nonché aree grigie dove si affollano posizioni contrastanti. Ciò non è necessariamente un male ma anche un tentativo di modernizzare continuamente questa disciplina, in un continuo perfezionamento.
La logica però rimane misconosciuta, se infatti analizziamo attentamente le nostre conversazioni giornaliere (e tenendo conto di non parlare necessariamente con dei filosofi ma anche con gente estranea a questo ambito) ci rendiamo conto che la maggior parte delle informazioni veicolate vicendevolmente coi nostri interlocutori verte sulla trasposizione di una emozione. In altre parole parliamo tanto senza parlare di niente: infatti ci raccontiamo degli  ultimi fatti occorsi e delle emozioni che ci hanno suscitato, sempre come dati di fatto e opinioni personali. Cerchiamo di ridere fra amici, di essere solidali coi nostri congiunti e spesso facciamo discorsi che possono capire solo coloro che ci conoscono, appunto perché ci conoscono. Non significa che non ci scambiamo informazioni, anzi, ma che le informazioni che ci scambiamo sono perlopiù dati di fatto; esempio di conversazione tipo: domanda “Hai preso il cappotto?”, risposta “Sì, me lo sono dimenticato”. Ci si concentra cioè sul suscitare simpatia, cioè una emozione affine nell’altro e, viceversa, nel cercare di comprendere l’emozione dell’altro in modo empatico, per simpatia più che per le parole che l’altro usa. Il più delle volte coi nostri amici, conoscenti, superiori, inferiori, vogliamo rendere gli altri partecipi delle nostre emozioni attuali o delle nostre emozioni a riguardo di un fatto in particolare. La logica non serve a valutare la portata delle nostre emozioni e di quelle degli altri.  Ci siamo infatti abituati a parlare per slogan, come nei titoloni dei giornali. Ma uno slogan non è un argomento, è piuttosto qualcosa che vuole suscitare una determinata emozione. L’emozione è un fatto molto personale, che non ha a che fare col ragionamento, non si possono pesare le nostre emozioni, benché senza emozioni non si potrebbe vivere, visto che la maggior parte dei nostri rapporti personali più importanti si basa anche su queste, forse in modo preponderante. Ma questi sono discorsi da psicologi, da sociologi…
La logica è altro, è una scienza che studia il ragionamento in modo meccanico. Vedremo cosa si intende per ragionamento e cosa si intende per ragionamento corretto. E che vi sono altri modi, oltre al suscitare emozioni, per scegliere un proposito piuttosto che un altro, modi a cui ci si può educare. Non vorrei essere troppo retorico, infatti la retorica ha fra i suoi colpi proibiti (e non meno usati) quello di suscitare emozioni, ma l’essere asserviti completamente a chi ci controlla solo grazie alle emozioni che suscita è una forma di schiavitù.


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