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Conoscenza e percezione nel Teeteto: un passo (falso) di Platone

Conoscenza e percezione nel Teeteto: un passo (falso) di Platone

Feb 17

 

In occasione dell’uscita del primo volume, dedicato a Platone, della collana Grandangolo edita dal Corriere della Sera (che abbiamo presentato qualche giorno fa su Filosofia Blog), pubblichiamo un articolo scritto a quattro mani riservato al fondatore dell’Accademia. La prima parte dell’articolo, compresa la traduzione originale del testo greco, è curata da Giulio Giacometti; la seconda e la terza parte sono curate da Stefano Corsi. Maggiori dettagli sul primo volume di Grandangolo si trovano a fondo pagina.

 

1. Testo e contesto

Se si hanno pregiudizi nella media su Platone, conviene cominciare a leggerlo dal Teeteto, che coniuga la ricchezza di temi e l’arditezza speculativa proprie dei dialoghi maturi e tardi (i quali tuttavia propugnerebbero un inaccettabile dualismo dogmatico: soluzioni geniali male argomentate) con il carattere socraticamente “aperto” dei dialoghi giovanili (i quali tuttavia sarebbero privi di universalità concettuale e di sviluppi interessanti: argomenti minuziosi di scarsa portata): gli interlocutori di questo dialogo trovano insoddisfacenti tutti gli articolatissimi ed esemplari argomenti a favore delle varie grandiose soluzioni dell’eterno problema affrontato nel dialogo, cioè trovare una definizione di ‘conoscenza’.

Il Teeteto è dunque uno scrigno di argomenti e concetti (tuttora rilevanti per il dibattito filosofico e molto apprezzati dai filosofi analitici), ma in questo articolo ci limitiamo a rilevare la presenza di un pezzo di carbone tra cotanti tesori.

Il contesto è questo: Socrate sta muovendo obiezioni più o meno riuscite al relativismo di Protagora, al quale sarebbe riconducibile l’identificazione della conoscenza con la sensazione/percezione (aisthēsis). Tra tali obiezioni figura quella del brano seguente. Ebbene, in essa si annida la fallacia di cui tratteremo (evidenziata in grassetto). Veniamo dunque al passo incriminato:

SOCRATE [163d] Questo: se qualcuno chiedesse: “È forse possibile che qualcuno, una volta che sia divenuto conoscente di qualcosa ed abbia memoria di esso e la conservi, allorquando lo rammenta non conosca questo che appunto rammenta?”. Mi dilungo dunque, come sembra, volendo chiederti se qualcuno che ha imparato qualcosa, rammentandosene, non lo conosca.
TEETETO E come, Socrate? Ecco, ciò che argomenti sarebbe mostruoso.
SOCRATE Non sarà mica che io sproloquio? Guarda: non giudichi il vedere percepire e la vista percezione?
TEETETO Io sì, ecco.
SOCRATE [163e] Quindi colui che ha visto qualcosa non è divenuto conoscente di quel che ha visto, conformemente all’argomento di poco fa?
TEETETO Sì.
SOCRATE Che dici dunque? Ebbene, non giudichi la memoria qualcosa?
TEETETO Sì.
SOCRATE Di nulla oppure di qualcosa?
TEETETO Di qualcosa, affatto.
SOCRATE Quindi delle cose che ha imparato e di quelle che ha percepito, di tali cose è memoria?
TEETETO Beh, e con ciò?
SOCRATE Chi dunque ha visto qualcosa se ne rammenta qualche volta?
TEETETO Se ne rammenta.
SOCRATE Anche se ha chiuso gli occhi? O, fatto questo, oblierebbe?
TEETETO Ma Socrate, questa, ecco, pare un’enormità.
SOCRATE [164a] Ecco toh, invece si deve argomentarlo se vogliamo salvare l’argomento di prima, sennò se ne va.
TEETETO Anch’io, per Giove, lo sospetto, sebbene non lo comprenda, ecco, a sufficienza; ma di’ in quale maniera.
SOCRATE In questa maniera: colui che vede, affermiamo, è divenuto conoscente di quello che vede: ecco, si è argomentato concordemente che vista, percezione e conoscenza sono la stessa cosa.
TEETETO Assolutamente, ecco.
SOCRATE Ecco dunque che colui che vede ed è divenuto conoscente di ciò che ha veduto, se chiude gli occhi rammenta benché non guardi. Ecco, è così o no?
TEETETO Sì.
SOCRATE [164b] Dunque ecco che il ‘non vede’ è un ‘non conosce’, se per davvero il ‘vede’ è un ‘conosce’.
TEETETO Vero.
SOCRATE Ne consegue allora che non si conosce ciò di cui s’è divenuti conoscenti, anche se ci si rammenta di esso, giacché non lo si vede; abbiam comunque affermato che ciò sarebbe mostruoso se avvenisse.
TEETETO Dici cose verissime.
SOCRATE Pare consegua dunque qualcosa d’impossibile se si afferma che conoscenza e percezione sono la stessa cosa.
TEETETO Sembra.
SOCRATE Allora va affermato che altro è scienza, altro percezione.
TEETETO Si rischia.

 

2. L’argomento

Come spesso accade nelle opere di Platone, in questo brano l’argomento è sviluppato in forma dialogica. Proviamo a esplicitarlo, proponendone una possibile ricostruzione mediante sottoargomenti (A) composti da premesse (P) e conclusioni (C). In questo modo, potremo valutare meglio sia l’argomento nel suo complesso, sia il ruolo che vi svolge il passo in grassetto [*]. Ricordiamo che l’argomento intende muovere un’obiezione alla tesi protagorea secondo cui percepire è conoscere.

[A1]
P1. Percepire è conoscere (ipotesi).
P2. Vedere è percepire.
C1. Vedere è percepire e percepire è conoscere (congiunzione, P1, P2).

[A2]
P3. Se vedere è percepire e percepire è conoscere, allora vedere è conoscere.
C2. Vedere è conoscere (modus ponens, C1, P3).

[A3]
P4. Se vedere è conoscere, allora non vedere è non conoscere.
C3. Non vedere è non conoscere (modus ponens, C2, P4).

[A4]
P5. Rammentare è non vedere.
C4. Rammentare è non vedere e non vedere è non conoscere (congiunzione, C3, P5).

[A5]
P6. Se rammentare è non vedere e non vedere è non conoscere, allora rammentare è non conoscere.
C5. Rammentare è non conoscere (modus ponens, C4, P6).

[A6]
P8. Rammentare è conoscere o rammentare è non conoscere.
P9. Rammentare non è non conoscere.
C6. Rammentare è conoscere (sillogismo disgiuntivo, P8, P9).

[A7]
P10. Se rammentare è conoscere, allora percepire non è conoscere.
C7. Percepire non è conoscere (modus ponens, C6, P10).

A questo punto, è utile formulare un paio di osservazioni. In primo luogo, l’implicazione materiale ‘se rammentare è conoscere, allora percepire non è conoscere’ potrebbe sembrare una costruzione ad hoc, utile per fare quadrare i conti della nostra ricostruzione. In realtà, una volta che abbiamo accettato l’enunciato ‘rammentare è conoscere’, possiamo ricavare quella implicazione applicando alcune regole inferenziali (in particolare, il modus tollens e il sillogismo disgiuntivo) e alcune regole di equivalenza (in particolare, le leggi di De Morgan) ai sottoargomenti A5, A3 e A1.

In secondo luogo, l’obiezione di Platone è una dimostrazione per assurdo. Difatti, essa intende sostenere che la tesi platonica (‘percepire non è conoscere’) è vera, poiché la sua controtesi protagorea (‘percepire è conoscere’) è falsa. A questo scopo, l’argomento vuole mostrare che le conseguenze della controtesi protagorea, assunta come vera per ipotesi, contraddicono un assunto iniziale (‘rammentare è conoscere’), ritenuto vero “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Pertanto, la tesi protagorea deve essere falsa e la sua controtesi platonica vera.

In questo contesto – posto che la nostra ricostruzione non abbia frainteso il brano platonico e che le regole logiche applicate siano corrette – possiamo notare che il passo in grassetto costituisce uno snodo argomentativo rilevante. Esso, infatti, permette d’inferire l’enunciato ‘rammentare è non conoscere’ dall’enunciato ‘percepire è conoscere’, consentendo così di pervenire alla conclusione falsa che spinge a rigettare la tesi protagorea.

 

3. La fallacia

Nonostante la sottigliezza di analisi e l’attenzione per la logica adottate da Platone nei suoi argomenti, come anticipato il passo platonico contiene una fallacia inferenziale, chiamata “negazione dell’antecedente”, che pregiudica la validità dell’argomento. Si tratta di un’applicazione errata della regola del modus tollens, che nella sua forma corretta si esprime così:

(a) se p, allora q;
(b) non q;
(c) dunque non p.

Ad esempio, posto che la città di Vicenza si trovi nella regione Veneto e che io abiti a Vicenza, ecco un argomento che applica correttamente il modus tollens:

(a) se abito a Vicenza, allora abito in Veneto;
(b) non abito in Veneto;
(c) dunque non abito a Vicenza.

Da questo argomento consegue che l’enunciato ‘se abito a Vicenza, allora abito in Veneto’ equivale all’enunciato ‘se non abito in Veneto, allora non abito a Vicenza’. Invece, la fallacia della negazione dell’antecedente afferma erroneamente che:

(a’) se p, allora q;
(b’) non p;
(c’) dunque non q.

Proviamo a chiarire la portata della fallacia, riprendendo gli enunciati del precedente esempio e applicando loro la forma della negazione dell’antecedente:

(a’) se abito a Vicenza, allora abito in Veneto;
(b’) non abito a Vicenza;
(c’) dunque non abito in Veneto.

È evidente che la conclusione non consegue dalle premesse: il fatto che io non abiti a Vicenza non implica che io non abiti in Veneto, perché potrei abitare a Padova o a Verona. Al contrario, la fallacia ammette proprio questa implicazione. Ora, da un punto di vista formale, l’enunciato ‘se abitare a Vicenza è abitare in Veneto, allora non abitare a Vicenza è non abitare in Veneto’ è identico al passo platonico ‘se vedere è conoscere, allora non vedere è non conoscere’. Pertanto, equivalentemente, la fallacia contenuta nel passo platonico può essere riscritta in questo modo:

(a’) se vedo, allora conosco;
(b’) non vedo;
(c’) dunque non conosco.

Anche in questo caso, la conclusione non deriva logicamente dalle premesse: ‘se vedo, allora conosco’ non implica ‘se non vedo, allora non conosco’, ma piuttosto implica ‘se non conosco, allora non vedo’. Pertanto, il passo dovrebbe essere riformulato così: ‘se vedere è conoscere, allora non conoscere è non vedere’. Tuttavia, se lo riformulassimo in questo modo, l’argomento non funzionerebbe più, a meno di non aggiungere eventuali ulteriori premesse e conclusioni.

Di conseguenza, poiché almeno uno dei sottoargomenti contiene una fallacia inferenziale che lo invalida, possiamo dubitare lecitamente della validità dell’intero argomento. Se abbiamo ricostruito in modo plausibile il ragionamento e applicato correttamente le regole logiche necessarie, abbiamo almeno una ragione per ritenere che l’obiezione platonica non riesca a mostrare la falsità della tesi protagorea.

 

Nota

[*] La fallacia contenuta nel brano platonico è già nota in letteratura secondaria (ad esempio, è citata di passaggio in P. Odifreddi, Il diavolo in cattedra. La logica da Aristotele a Gödel, Einaudi 2004, p. 66). In questo articolo, ci proponiamo non solo di segnalarla, ma di esplicitarla e spiegarla, inquadrandone il ruolo svolto nell’argomento.

 
Per accostarsi agli aspetti generali della filosofia platonica, suggeriamo la lettura del primo numero della collana Grandangolo. Il volume, curato da Roberto Radice (docente di Storia della filosofia antica presso l’Università Cattolica di Milano), offre una panoramica su vita e opere di Platone, la sintesi del suo pensiero con influssi e fortuna, brani selezionati e commentati tratti dalla Repubblica e dal Fedone, infine una sezione bibliografica per gli approfondimenti. Completano il quadro alcune infografiche e tavole cronologiche, che mostrano sinotticamente gli sviluppi di filosofia e politica, scienza e tecnica, letteratura e arte ai tempi di Platone. È possibile acquistare il volume in edicola o sul minisito del Corriere.

 

 


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