Se “filosofia” allora “storia”? Qualche dubbio
Se “filosofia” allora “storia”? Qualche dubbio
Mar 25[ad#Ret Big]
Alcuni ritengono che esista un nesso necessario tra “fare filosofia” e “conoscere la storia della filosofia”. Al riguardo abbiamo visto, per esempio, le considerazioni di N. Abbagnano nella sua Storia della filosofia (2007) e di G. Boniolo nell’articolo Quattro questioni per ridiscutere sulla filosofia (2002). Qui, in primo luogo, solleveremo qualche possibile dubbio circa questa tesi; poi, più modestamente, sottolineeremo l’utilità della conoscenza storico-filosofica per la pratica filosofica.
È innegabile che conoscere la storia della filosofia sia importantissimo per avere consapevolezza della storicità dei problemi posti, per apprendere strategie argomentative e per imparare ad applicarle, allo scopo di fornire soluzioni che siano davvero rilevanti, e non una ripetizione d’affermazioni già sviluppate da altri, magari meglio. È facile esserne persuasi. Ma un conto è ammettere l’“importanza” di una relazione (questione pratica), un conto riconoscerne la “necessità” (questione logica).
Chi non conosce la storia della filosofia potrà offrire argomentazioni e soluzioni meno consapevoli, meno storicamente inquadrate, magari meno originali o raffinate, rispetto a chi la conosce. Addirittura, al limite, lo si potrebbe accusare di fare “cattiva” filosofia. Perché allora, qualora privo di consapevolezza storica, chi pone un problema fondamentale e formula un’argomentazione per giustificare la propria soluzione, non starebbe facendo filosofia?
Immaginiamo che qualcuno partisse da problemi e argomentasse soluzioni simili (o al limite identiche) a quelle di un certo filosofo, però senza averne mai letto le opere, senza averlo sentito nominare, e magari senza nemmeno sospettarne l’esistenza. «Costui – si potrebbe sostenere – non avrebbe filosofato giacché, privo di un’adeguata conoscenza storica, non ha portato novità o avanzamenti alla disciplina, dato che ha esposto soluzioni e argomentazioni già note agli addetti ai lavori (sebbene non a lui)».
Giusto; ma possiamo dubitare della persuasività di tale obiezione con almeno due osservazioni. In primo luogo, “conoscere” sembra una questione di gradi, non di tutto-o-nulla. Di solito, infatti, si dice che conosciamo qualcosa moltissimo o molto, tanto o abbastanza, poco, pochissimo o nulla; non sembra vero che, o conosciamo totalmente qualcosa, o non la conosciamo affatto. Quindi proclamare come necessaria la conoscenza della storia della filosofia non significa granché, se non si specifica quanto si debba conoscere affinché tale conoscenza sia rilevante per filosofare; e perché sarebbe sufficiente proprio quel grado di conoscenza (e non uno leggermente superiore o inferiore) per filosofare.
In secondo luogo, possiamo distinguere tra “praticare una disciplina” e “far progredire (o innovare) una disciplina”. Senz’altro la seconda attività dipende dalla prima, perché è impossibile far progredire (o innovare) una disciplina senza praticarla. Non pare possibile, per esempio, portare novità in campo musicale senza avere competenze musicali, e nemmeno avendole ma non mettendole in pratica! Tuttavia, il viceversa, ossia l’idea che per praticare una disciplina si debba per forza garantirne il progresso (o l’innovazione), sembra una tesi più ardua da sostenere: non è evidente, perciò va provata.
Poiché le questioni fondamentali e le forme dell’argomentazione non si apprendono soltanto dai libri di storia della filosofia, allora conoscere la storia non sembra necessario per fare filosofia. Le domande filosofiche, infatti, sorgono dalla nostra esperienza; mentre questi libri ci possono insegnare a chiarire o raffinare i problemi e a renderci più accorti a individuarne altri. Si tratta di un contributo rilevantissimo della letteratura storico-filosofica, ma non necessario per filosofare.
La capacità di formulare argomenti, invece, si può educare grazie ai manuali di logica e di teoria dell’argomentazione, ignorando quelli di storia della filosofia. Ciò che sappiamo nel campo dell’argomentazione è un tesoro culturale accumulato in 26 secoli di storia filosofica occidentale (e forse d’ancora più secoli di storia filosofica orientale), ma per goderne non pare indispensabile conoscerne le vicissitudini. Allo stesso modo, non è necessario sapere la storia della telefonia mobile, per imparare a usare le funzionalità di un cellulare.
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Io sono tra quelli che della storia della filosofia sanno poco, ma sono in grado di ammutolire chiunque di quella storia sappia tutto, e non lo faccio per proporre pensieri che non mi appartengono o per mettere in mostra la mia personalità. La consapevolezza non ha bisogno di conoscere la storia perché non è necessario conoscere gli errori per allinearsi all’armonia universale. È sufficiente essere disposti a sacrificare se stessi per valori che sono superiori all’essere. La conoscenza è necessariamente superiore allo scorrere del tempo perché il tempo segue la Verità che lo ha voluto, e non il contrario.
Se la filosofia ha necessità di rinnovarsi a causa del fatto che erra, non potendo procedere dai princìpi universali che ignora, la metafisica è ciò di più lontano che c’è da questo bisogno, perché è dottrina immutabile, a immagine della Verità unica che rappresenta e della fissità dei suoi princìpi. Mentre la filosofia pretende di poter definire la realtà, ignorando l’unità di principio dalla quale procedere nel suo considerare, la metafisica sa che la molteplicità è compresa in questa unità in principio, e di questa rappresenta l’applicazione della differenziazione, che avviene attraverso la moltiplicazione per divisione, la quale è legge universale.
Io credo invece che sia impossibile prescindere dalla Storia della filosofia per essere filosofi. Si può, ma anche questo è opinabile, sostenere che è possibile fare filosofia senza conoscere la storia. Perchè è opinabile? Perchè se noi filosofiamo, stiamo in realtà riflettendo su domande che scaturiscono dalla nostra esperienza di pensiero, dopo che quest’ultimo ha subito sollecitazioni ovvero dopo che ha dovuto percorrere un percorso storico. Quindi, mi domando, se il mio filosofare nasce è perchè il mio pensiero si è evoluto e si è posto domande a cui ha cercato, tramite argomentazioni, di dare risposta: e questo non è un processo storico, dal momento che ogni evoluzione esperienziale ha una sua cronologia e un suo decorso?
Inoltre si può correlare il fare filosofia con il produrre arte ovvero l’essere filosofi con l’essere artisti.
Chiunque può fare filosofia concettuale (cioè prescindendo dalla storia della stessa) così come chiunque può disegnare senza aver mai visto un quadro e averne studiato la composizione.
Ma questa è arte e quella filosofia? Io credo di no.
Un disegno brutto non fa un artista così come un pensiero, anche elevato, non fa un filosofo. Altrimenti il numero di questi ultimi lieviterebbe a dismisura. Chi è filosofo è chi studia e conosce il pensiero di altri filosofi prima di argomentare un suo pensiero, sia esso confermativo o denigratorio. L’amore per la conoscenza è la molla della filosofia, ma la Storia è il campo di battaglia.
Caro Notteriva,
sono d’accordo con te su un punto ricorrente nei tuoi argomenti: che le domande su cui riflettiamo traggano origine dalla nostra esperienza. Eppure, se li ho ben compresi, gli argomenti non mi convincono, perché mi sembrano sovrastimare il ruolo della storia della filosofia per la filosofia stessa.
Affermare che la conoscenza storico-filosofica sia necessaria alla pratica filosofica è come asserire che la conoscenza etimologica sia necessaria per l’uso delle parole. Implica ammettere l’identità, o almeno un elevato grado di somiglianza, tra la specie di comprensione raggiungibile tramite l’indagine dell’origine d’idee e problemi (che ha forma narrativa) e il tipo di comprensione ottenibile grazie all’attività di avanzare ragioni (che ha forma argomentativa). Tuttavia, sospetto che una tale somiglianza sia difficile da rintracciare, dato che narrazione e argomentazione sono due forme comunicative differenti.
Ecco perché esito a seguirti quando affermi – parafraso – che una filosofia senza conoscenza storico-filosofica non è filosofia. Essa è tale indipendentemente dalla cognizione storica che possiamo avere di domande filosofiche e argomentazioni. Raccogliere le discipline storico-filosofiche sotto lo stesso manto della filosofia genera confusione.
Caro Stefano,
Ti ringrazio del tuo punto di vista. Ammetto di rimanere con le mie convinzioni e soprattutto i miei dubbi. Ma credo che il fascino della filosfia sia anche questo: una bellissima e coerente indeterminatezza.
P.S. Penso comunque che fare filosfia non necessiti di conoscenza storica. Ma tra fare filosia ed essere filosofi, ecco il punto dei miei dubbi, non corre necessariamente una conoscenza storica della filosfia? Io credo di sì.
Notteriva, grazie per la precisazione, che all’inizio non avevo colto ma che ora mi permette di rileggere i tuoi commenti precedenti sotto un’altra luce.
A presto!