Le domande della filosofia, ovvero: i filosofi hanno qualche problema
Le domande della filosofia, ovvero: i filosofi hanno qualche problema
Dic 31Né l’uso del termine ‘filosofia’ nelle conversazioni ordinarie, né la sua etimologia ci sono stati d’aiuto per chiarire che cosa sia la filosofia. Perché allora non ricorrere proprio alle definizioni che i filosofi ne hanno dato? Dopotutto, nessuno meglio dell’oste conosce il proprio vino! Qui, però, sorge una difficoltà. Difatti, qualora sfogliassimo un qualsiasi manuale scolastico di storia della filosofia, noteremmo che ciascun filosofo ha formulato e sostenuto una propria concezione di filosofia.
Ebbene, quale scegliere? Quella che ci piace di più? Quella che ci pare più ragionevole? Oppure ne cerchiamo una che le metta d’accordo, tutte o la maggior parte? O le rifiutiamo in blocco? Certo, possiamo imboccare lecitamente ognuna di queste vie; eppure, davvero comprendiamo che cosa sia la filosofia una volta che sappiamo ciò che ne dicevano, per esempio, Platone o Hegel? Pare esserci qualcosa d’arbitrario in una simile conclusione. Forse, però, possiamo percorrere un’altra strada – senza discostarci troppo dal manuale.
Se i filosofi sono tali giacché fanno filosofia, perché non analizzare che cosa fanno e come lo fanno? Un’occhiata al manuale potrebbe darci l’impressione che la filosofia consista in una catena ininterrotta di domande e problemi, cui seguono formulazioni di risposta e tentativi di soluzione. Pertanto, in prima approssimazione, fare filosofia implicherebbe porre problemi ed enunciare soluzioni. Tuttavia, per quanto riguarda i primi, forse non si tratta di problemi qualsiasi, ma di problemi di un certo tipo: non tutte le domande, infatti, sono domande filosofiche (1).
Quando borbottiamo che all’ufficio postale abbiamo sprecato un sacco di tempo, presupponiamo di sapere di che cosa stiamo parlando; eppure un filosofo chiederà: «Che cos’è il tempo?». Il genitore rimprovera il figlioletto per una marachella, perché suppone che fosse libero di non commetterla; ma un filosofo domanderà: «Che cos’è la libertà? E noi siamo liberi?». Se in una ricetta cerchiamo quante uova occorrano per il dolce, o se a scuola calcoliamo quanto fa 7+5, diamo per scontato il concetto di numero; invece un filosofo s’interrogherà proprio sulla natura del numero. Ci irritiamo con il vigile urbano che ci ha multato, poiché riteniamo d’essere vittime di un’ingiustizia; un filosofo, però, porrà la questione: «Che cosa rende giusta o ingiusta un’azione?».
E ancora: sappiamo bene che cosa sia un pensiero, allorché affermiamo che ce ne frulla uno per la testa; ma un filosofo vorrà capire che cosa sia il pensiero. Presumiamo che il lampadario di casa nostra esista, qualora invitassimo un ospite particolarmente alto a prestarvi attenzione; al contrario, un filosofo inizierà da qui la ricerca: «Esiste un mondo “fuori di noi”? Come possiamo conoscerlo?». Quando comprendiamo al volo se il nostro interlocutore afferra il significato delle nostre parole oppure non ci capisce, ecco i quesiti di un filosofo: «Com’è possibile che ci capiamo, e che ci fraintendiamo?», e così via.
In queste e in altre comunissime situazioni, laddove ciascuno di noi è convinto di conoscere le fondamenta su cui poggiano le proprie affermazioni, un filosofo non le lascerà passare sotto silenzio, assumendole anzi come oggetti dell’analisi. La filosofia pone interrogativi che esplicitano quei concetti – come verità, bellezza, giustizia, conoscenza, tempo, linguaggio ecc. – quotidianamente utilizzati nei nostri discorsi (talvolta bene, talaltra meno bene) ma perlopiù ritenuti ovvi e scontati. Tuttavia, proprio quei concetti circoscrivono la razionalità entro cui operiamo, il linguaggio in cui comunichiamo, il pensiero nel quale ci applichiamo. In breve, essi delimitano l’ambito dove possiamo avere conoscenza. Nel momento in cui la filosofia li individua, essa ne mette in discussione la validità tacitamente assunta, invitandoci a esaminarli, a valutarli, a capire come funzionano. Insomma, la filosofia ci spinge a riflettere sui limiti della conoscenza possibile.
In un certo senso, il filosofo è come un orologiaio. La maggioranza di noi sa come usare un orologio, ma alcuni vogliono andare più a fondo. Così, gli orologi su cui opera il filosofo sono le nostre asserzioni: le apre, le smonta, ne svela i meccanismi di funzionamento e li studia – magari per semplice curiosità, o per approfondire la propria conoscenza del mondo, oppure perché talvolta l’orologio s’inceppa ed è necessario ripararlo.
Finalmente abbiamo individuato la filosofia? Siamo giunti a chiarire per quale lavoro i filosofi “timbrano il cartellino”? Non ancora. Finora abbiamo solo indicato il dominio d’indagine della filosofia. Come notiamo, è un luogo (logico) molto esteso, però non è generico o vago. E come scopriremo, i filosofi non ne hanno il monopolio, ma lo condividono con altri. L’esclusività della filosofia consiste nel modo in cui vi opera.
(1) Questo aspetto è stato evidenziato, tra gli altri, da Thomas Nagel nel libro What Does It All Means? A Very Short Introduction to Philosophy (1987), edito in Italia con il titolo Una brevissima introduzione alla filosofia (2009).
Articolo precedente: La filosofia nei discorsi quotidiani
Articolo successivo: La filosofia: botta e risposta, e nulla più?