Temi e protagonisti della filosofia

[Incipit] L’inizio singolare-plurale

[Incipit] L’inizio singolare-plurale

Giu 01

Oggi pubblichiamo il primo articolo di Matteo Cosci. Dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova e già visiting student presso l’Università di Oxford, è autore di vari articoli e di una monografia su Aristotele, di prossima pubblicazione. Ringraziandolo per il contributo, gli diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.

«Sarà necessario perseguire questa via?

La via del pensiero dell’Inizio?

O non invece subito sbarrarla,

dimostrando le paralizzanti antinomie

cui un simile tentativo darebbe luogo?»

[M. Cacciari, Dell’inizio, p. 21]

 

Da dove inizia l’inizio?

 

Incipit: con questo contributo vorrei cominciare a condividere qui una serie di letture sul tema dell’inizio in filosofia. Si tratta qui di una questione filosofica ormai classica, il cosiddetto problema del “cominciamento”, che però vorrei trattare in senso più autoreferenziale ancora, ovvero, cercare di capire come la filosofia abbia inteso raccontare e raccontarsi il proprio inizio, sia da un punto di vista teoretico, sia soprattutto da un punto di vista storico.

“Sapere come tutto ha avuto inizio” non è solo come vuole cominciare ogni storia, ma è anche desiderio inconscio ad ogni filosofia. Non a caso, e come del resto è noto, il nucleo della ricerca di quei pensatori primigenî che siamo soliti chiamare Presocratici fu costituito dal domandarsi il che cos’è dell’arché, del principio originario e originativo totale. Da allora sarà una coincidenza piuttosto ricorsiva che l’inizio della filosofia cominci con il pensiero dell’Inizio, pensiero “primo”, pensiero del principio. E ancora ed ancor più nel retroterra sapienziale, nelle diverse culture eteroelleniche e nei miti più antichi e primoridiali, si è sempre tramandato il racconto della grande Origine, si è sempre cercato di operare una tautologica genealogia dell’inizio. Una linea di continuità tra pensiero mitico e pensiero razionale questa, che non segna fra loro alcuna cesura, né diversità d’interesse.

La questione dell’origine della filosofia è in fondo avvertita come una ricerca inerente alle proprie origini di esseri pensanti – c’è in fondo qualcosa di autobiografico nella storia dell’inizio del pensiero. In ogni filosofo c’è di Talete e della sua domanda prima: «come ha avuto origine il tutto, da dove inizia l’inizio?». Domanda estrema, che porta là dove gli estremi si toccano. Come presto ci si renderà conto, nella matrice dell’inizio è segnato già qualcosa della sua stessa fine, del suo télos, dunque della sua compiutezza o ciclicità completa. Per questo simili indagini archèologiche sono andate ineludibilmente riproponendosi, talvolta con malcelate finalità autofondative, spesso in ricerca di paternità legittimanti e illustri antiche antecedenze, ma sempre, io credo, sullo sfondo di radicali questioni di senso e di identità.

Il pensiero filosofico autentico dunque è un pensiero dell’inizio, della ricerca di un inizio sempre più fondativo ed universale. In questo senso, ogni filosofema è un incipit, è un esordio che, avendo nel proprio dna il pensiero dell’inizio, può essere inteso quale sua stessa chiave di accesso, di ingresso all’inizio in quanto tale ogniqualvolta esso venga pensato.

In virtù di queste considerazioni preliminari ho pensato di cominciare (pensato di cominciare, appunto) attraverso una riflessione che viene ad accostare il tema dell’accesso al tema dell’inizio. Questa riflessione si può trovare nel capitolo intitolato «Accéder à l’origine» del libro Essere singolare plurale del noto filosofo francese contemporaneo Jean-Luc Nancy. – Di queste poche ma ardite pagine offriremo qui una rilettura attenta, secondo la modalità che seguiremo anche per i prossimi passi lungo questa “via del pensiero dell’inizio”.

 

Accedere all’origine

 

«Dunque, accedere all’origine, ossia entrare nel senso, significa esporsi a questa verità.» – così comincia la nostra traccia: l’origine, apprendiamo, è questione di senso, questione di verità. La “verità” alla quale si fa riferimento era già stata accennata al termine del capitolo precedente: «La verità non può essere altro che la verità dell’essente nella sua totalità, cioè nella totalità della sua «ordinarietà», così come il senso non può trovarsi altrove che nell’esistenza stessa, direttamente in essa, e non da qualche altra parte» (p. 16). Totalità, ordinarietà, esistenza… Si proceda con ordine. Cominciamo con alcune distinzioni terminologiche.

Nel breve ma ambizioso arco di pensiero che l’autore compie, sembra di poter distinguere dal modo in cui i diversi termini vengono usati alcune dinamiche esistenziali che fronteggiano il discorso sull’inizio: (1) la posizione, (2) la dis-posizione e la (3) comparizione.

(1) La posizione è lo stare, l’esporsi all’inizio. Potremmo designare questo stato come il “grado zero” di accesso all’origine. Per usare le parole di Nancy: «La semplicità stessa della “posizione” non implica nulla più, ma anche nulla meno, della sua discrezione, nel senso matematico del termine, o della distinzione rispetto a altre posizioni (almeno possibili) o tra altre posizioni» (p. 21). L’origine c’è, si autopone a fronte della nostra posizione.

(2) La dis-posizione è un momento conseguente all’introiezione del mondo e della sua origine irraggiungibile, una dinamica in cui ci si trova quando si esperisce come non riducibile la differenza tra sé ed altro: «il fuori è dentro, è la spaziatura della dis-posizione del mondo» (Ibid.). L’origine del presente è irraggiungibile se non come altro dal presente stesso, perciò si apre uno iato, si avverte una lontananza. Il prefisso “dis-“ indica una distanza accaduta. La non acquisibilità dell’origine, la sua inaccessibilità, si palesa nel suo aver avuto luogo altrove rispetto alla sua dimensione attuale.

Del resto, come scrisse Calvino in appendice alle sue Lezioni americane parlando proprio di incipit, «ogni volta l’inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili», ed infatti, solo in quel distacco il possibile assurge a necessario e proprio a quello: è nella sua auto-identità e al tempo stesso nel suo rimandare anche ad altro-da-sé che consente di dare inizio ad una storia, ad un pensiero.

(3) La comparizione è il comparire insieme, è l’essere-con e l’essere-per. Dell’inizio, è il venirci in presenza. Ogni semplice posizione si può riconoscere come simultanea com-parizione; ogni comparizione è capace di convertire il segno inizialmente negativo della disposizione in positivo.

A queste tre collocazioni (non demarcate nel testo) se ne può aggiungere una quarta, a cui pure l’autore ricorre implicitamente, che potremmo qui chiamare “pre-posizione”.

(4) La preposizione, in grammatica, è una parte invariabile del discorso che serve a mettere in relazione reciproca i termini che unisce. Così, per il discorso dell’inizio, la pre-posizione è il disporsi ad una relazione, il crearne le condizioni rimanendosi. La preposizione è il modo in cui ci si predispone all’origine. Per Nancy, credo, la preposizione è la condizione di possibilità e di esistenza preliminare al discorso sull’inizio. Il linguaggio grafico che egli adotta, con corsivi insistiti e molti trattini di collegamento, sembra la scelta stilistica più idonea ad enfatizzare un filosofare metalinguistico, capace di penetrare le parole con le parole. Le scelte espositive sono già scelte di forma filosofica.

 

Tra l’inizio, con l’inizio, nell’inizio

 

Le pre-posizioni che ricorrono qui più frequentemente per descrivere l’«accedere all’origine» sono queste tre: tra, con e in. Si badi, non abbiamo qui a che fare con i soliti giochini verbali, ma con tramiti eloquenti. Queste formule atomiche, per il modo in cui sono declinate, costituiscono per noi i vettori di accesso all’origine, ne indicano la modalità esistenziale, spiegano il come del nostro predisporci all’Esordio primo.

Innanzitutto, la pre-posizione da assumere nei confronti dell’inizio non è altro che un “tra”. Secondo Nancy, l’inizio anche nel suo essere concepito quale absolute primum, non è altro che un’intersezione entro la quale il soggetto si colloca. Così, più che un “punto zero”, l’inizio dev’essere concepito come un “punto mondo”, crocevia di sensi, del mio/nostro senso ogniqualvolta esso venga at-tra-versato. «L’origine è affermazione – scrive Nancy – è l’incisione di una singolarità nella sua affermazione dell’essere» (p. 12). Questo spazio di affermazione era già indicato dalla preposizione greca metaxù, dal vocabolo heideggeriano Zwischen: il suo luogo è per noi il «frammezzo», il «mentre».

La seconda pre-posizione da assumere è “con”, in preludio alla comparizione sopra enunciata. Si vuole esprimere, credo, un senso di coesistenza originaria tra soggetto e inizio, perché l’equivoco ricorrente è quello di pensare l’inizio come qualcosa di altro da noi. Ogni inizio dovrebbe essere declinato nella sua forma progressiva come “già iniziantesi”, ovvero come inizio di qualcosa; un qualcosa che non è in fondo diverso da quello stesso inizio del quale ne è la continuità che lo caratterizza come inizio. È sempre il soggetto che caratterizza come tale l’inizio, che lo ricerca e ne caratterizza la discendenza: l’inizio non sussisterebbe senza il suo essere-con di ciò grazie a cui è tale.

L’inizio, anche se indicato da un sostantivo singolare, è sempre molteplice, multivoco, polisemico. Ai nostri occhi ha sempre delle con-cause e porta sempre delle con-conseguenze. La sua apparente distanza e inaccessibilità non dipende dalla sua alterità, ma precisamente dalla sua totale presenza. L’inizio, abbiamo letto, non è un punto “altro-dal-mondo”, ma sono tutti i punti di tutti i piani che costituiscono il mondo. Ogni altro è potenzialmente un’origine che può essere con-vissuta, esperita qui e ora. Si può parlare in questo senso di poli-originarietà simultanea dell’origine, la quale gode di accessibilità universale. «L’origine è, assieme con le altre origini, spartita all’origine» (p. 22).

La terza pre-posizione da assumere è “in”. Ancora, fintanto che l’inizio sarà concepito come qualcosa di esterno, localizzato in un fuori distante dal tempo, non ci sarà accessibile. Anche il fare memoria, quale modalità di accesso a ciò che cominciò, deve essere perseguito “dentro”. Il ricordo dell’inizio, come ogni ricordo, non è mai autoreferenziale, è sempre un ricordo condiviso di quanto ancora va procedendo. Bisogna perciò con-penetrare il cuore di questo processo. Nancy parla a questo proposito di “intimità”, intimità dell’origine “come estrema coincidenza con sé” che definisce un “rapporto fra tanti” (p. 20).

Il soggetto non vive in uno stato di alienazione rispetto ad un originario inizio, magari da recuperarsi per via negativa, per via dialettica o per via mistica. Il soggetto, o meglio, i soggetti vivono in uno stato di costante co-appartenenza all’origine. L’accesso all’origine è già dato nella comparizione ad essa. Il filosofo francese compendia il suo pensiero in merito con quella che mi sembra essere la frase-chiave del suo discorso: «Non essendo un’altra cosa (un aliud), l’origine non è “mancabile”, né appropriabile (penetrabile, assorbibile). Essa non obbedisce a questa logica, è la singolarità plurale dell’essere dell’essente.» (p. 22). Nelle prime righe si parlava di “verità”alla quale, tramite la ricerca d’accesso all’origine, ci troviamo esposti – qui il tema ritorna esplicito: «Alla verità dell’origine noi accediamo tutte le volte che siamo in presenza gli uni degli altri e in presenza del resto dell’essente. L’accesso è il “venire in presenza”… La presenza non è altrove che nel “venire in presenza”» (p. 22-23). Il problema dell’origine viene ricondotto ad un problema di compresenza, di comparizione comune – problema che per Nancy è anche la soluzione. In questo ogni singolarità, ogni persona, è “strana”, diversa, inacquisibile (la dis-posizione), ma necessaria in quanto in tale presenza si può ravvisare un accesso.

L’ultimo richiamo è alle arti e alla letteratura come icastiche chiavi d’accesso all’originarietà attraverso la loro originalità. Nell’imitazione della natura o nella creazione di nuovi mondi, nel realismo o nella fantasia dell’artista, si amplifica «il tocco plurale dell’origine singolare» (p. 23). In questa prospettiva possiamo aggiungere anche e soprattutto, credo, la filosofia, come discorso sull’origine e dell’origine, già in questo cifra essenziale del pensiero alto-arcaico.

L’autore termina il capitolo con un richiamo, più che pertinenente, necessario, al tema heideggeriano della finitezza. Il tono si fa quasi premuroso, didascalico: «“Finitezza” significa: infinita singolarità del senso, dell’accesso alla verità. La finitezza è l’origine, il che vuol dire che essa è un’infinitezza di origini. “Origine” significa, non qualcosa da cui proverrebbe il mondo, ma la venuta, ogni volta una, di ogni presenza del mondo.» (p.24). Nella finitezza si realizza quella comparizione che era l’anelato accesso all’origine dell’inizio.

Nell’opera di Nancy può essere trovato molto di più in merito, ma qui ci basta sostare per quanto concerne il percorso che andiamo seguendo. Mi permetto solo di aggiungere una citazione, visto che con Heidegger Nancy chiudeva, anche noi qui con lui concludiamo, riportando l’abbozzo di un suo pensiero giovanile:

«In filosofia, niente compromessi. Una cosa è certa: senza fine; dunque iniziare, iniziare veramente, accedere all’inizio, se è vero che l’inizio stesso deve essere innanzitutto cercato, se è vero, cioè, che l’accesso ad esso è andato perduto. Uno sforzo radicale per guadagnare una possibilità di accesso, e il vero inizio allora si sposta qui da noi. Superfluo preoccuparsi d’altro. L’iniziare ha il suo “tempo”. Iniziare per un altro tempo non ha senso. Il vero inizio nel suo proprio tempo dà la possibilità di una meditazione vera. Se ci si preoccupa dell’andare-perduto, esso è già là con lo sforzo stesso (in un accesso); ogni sforzo del genere fa maturare una perdita». [M. Heidegger, <Il vero inizio>[1]].

 

 

Testo di riferimento: J.-L. Nancy, Être singulier pluriel, Galilée, Paris, 1996; trad. it. Essere singolare plurale, Introduzione di R. Esposito in dialogo con l’autore, trad. di D. Tarizzo, Einaudi, Torino, 2001, in particolare il Cap. III, «Accedere all’origine», pp. 19 – 24.

 

 


[1] M. Heidegger, Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles. Einfürung in die phänomenologische Forschung, Klostermann, Frankfurt a. M., 1985; trad. it. a c. di E. Mazzarella, Id., Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenologica, [Appendice seconda, foglio 17, <il vero inizio>], trad. di M. De Carolis, Guida, Napoli, 2001, p. 217.

 

 

Articolo seguente:  [Incipit] In principio era il saper fare


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