Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (1)
Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (1)
Gen 31Oggi pubblichiamo il primo articolo di Monica Napolitano, laureata in Filosofia della scienza all’Università La Sapienza di Roma. Monica inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog proponendo alcuni passaggi della sua tesi di laurea su realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam. Ringraziandola per il contributo, le diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.
1. La ricerca di una “terza via”
Hilary Putnam, anche se educato nella tradizione del positivismo logico, cadde, successivamente, sotto l’influenza di filosofi come Quine, Wittgenstein e Goodman, divenendo un severo critico verso elementi del positivismo logico quali il convenzionalismo, la teoria verificazionista del significato e il riduzionismo, propendendo poi per un approccio realista alle teorie scientifiche e arrivando a sostenere che non esiste alcun principio di verificabilità per la nostra conoscenza.
Il tema centrale della riflessione putnamiana è certamente il realismo, che si presenta come un particolare atteggiamento nei confronti delle entità comprese nel campo d’indagine di una certa disciplina, in particolare in quell’atteggiamento consistente nel ritenere le entità in questione dotate di una loro propria esistenza. Il realismo viene esplicitamente tematizzato da Putnam solo intorno agli anni Settanta; prima non si cura di precisare cosa intenda per realismo né dedica trattazioni a riguardo. Nel presentare la raccolta dei saggi pubblicati prima di quegli anni scrive:
Questi saggi sono stati scritti a partire da ciò che si chiama prospettiva realista, ma nessuno di essi è interamente dedicato al tema del realismo poiché il mio interesse negli ultimi quindici anni non è stato quello di rompermi il capo intorno alla correttezza del realismo, piuttosto quello di trattare alcune particolari questioni in filosofia della scienza, da uno specifico punto di vista realista. (Putnam 1990, p. 248)
Il realismo putnamiano ha assunto due posizioni contrastanti. La sua iniziale produzione filosofica si basa sul cosiddetto realismo metafisico; procederà, poi, per una via poco lineare ma che si ramifica in percorsi alternativi, giungendo al cosiddetto realismo interno.
Sembra plausibile affermare che questi due ambiti della filosofia, tradizionalmente chiamati gnoseologia e metafisica, costituiscano un gruppo di questioni strettamente intrecciate. Si potrebbe dire che una delle prime esigenze avvertite dall’ uomo sia stata quella di farsi un’idea dell’ambiente circostante e che, di conseguenza, egli sia portato in modo del tutto naturale a sviluppare un atteggiamento speculativo volto a esplorare concettualmente il mondo in cui si trova a vivere. (Dell’Utri 1993, p. 94)
È così che, nascendo da un’esigenza intellettuale unitaria, gnoseologia e metafisica si influenzarono a vicenda sollevando insieme le loro questioni.
1.1 Realismo metafisico
Almeno fino alla metà degli anni Settanta, Putnam è stato un difensore di una forma di realismo scientifico, che lui stesso chiamerà realismo metafisico, ossia quel tipo di realismo che considera effettivamente esistenti le entità non osservabili (DNA, valenze chimiche, etc.) postulate dalle scienze empiriche; un realismo che si è storicamente attuato in una grande varietà di atteggiamenti, tutti accomunati dalla pretesa di individuare una stabile essenza definitiva della realtà.
Il realismo metafisico è dato dalla combinazione di tre istanze:
- il mondo consiste di una certa totalità fissa di oggetti indipendenti dalla nostra mente;
- esiste esattamente una sola descrizione vera e completa di come è il mondo;
- la verità comporta una relazione di corrispondenza di qualche genere tra le parole, o i segni del pensiero, e le cose esterne, o insieme di cose.
C’è dunque un mondo unico e ben determinato, che consiste di una totalità di oggetti esistenti indipendentemente dalla mente e dal linguaggio; in linea di principio c’è una sola rappresentazione completa di questo mondo e, dunque, una sola teoria “vera” del mondo in cui la verità risiede in una qualche corrispondenza fra le descrizioni della teoria e il mondo, ossia la verità è una nozione non-epistemica di corrispondenza fra gli elementi linguistici e gli oggetti, gli stati di cose, che esistono nel mondo. La teoria della verità che ne consegue è quindi “corrispondentistica”, cioè deve ricalcare esattamente la configurazione del mondo.
Il punto di partenza della difesa del realismo metafisico è una difesa del realismo empirico, cioè della tesi secondo la quale l’esistenza del mondo esterno è sostenuta dall’esperienza, in gran parte nello stesso modo in cui qualsiasi teoria scientifica è sostenuta dai dati osservativi:
Gli innumerevoli esperimenti di laboratorio e le varie esperienze quotidiane ci dicono che in qualche modo la realtà là fuori, indipendentemente da noi, esiste, in tal modo incaricandosi di rendere veri o falsi i nostri enunciati. (Putnam 1963, p. 339)
L’assunzione realistica qualificante il verificazionismo positivistico, ci indirizza verso la migliore spiegazione del perché la scienza “funzioni”. Tale prospettiva è, quindi, definita “esternalista” perché considera la realtà non dal punto di vista dell’uomo, ma da un ipotetico punto di vista esterno e neutrale, come “l’occhio di Dio”.
Bibliografia
- Dell’Utri, M. (1993), Le vie del Realismo. Verità, linguaggio e conoscenza in Hilary Putnam (pp. 43‐116), Milano: Franco Angeli.
- Putnam, H. (1963), Cervelli e comportamenti, in H. Putnam, Mente, linguaggio e realtà (pp. 334‐371), Milano, Adelphi.
- Putnam, H. (1990), Realismo dal volto umano (pp. 246‐259), in E. Picardi (a cura di) (1995), tr. it. E. Sacchi, Bologna: Il Mulino.
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