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La filosofia politica di Gilles Deleuze (26)

La filosofia politica di Gilles Deleuze (26)

Nov 17

 

 

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26. La filosofia dei pirati

Il “prospettivismo ad arcipelago”, di cui parla Deleuze, è quello tipico di un percepire in divenire (sui piani della vista e dell’udito) proprio di una comunità di pirati, oserei dire, dotati di fiducia in loro stessi e nelle capacità di navigazione/sperimentazione (oltre che nel “mondo”). Il pericolo rispetto al quale tale comunità è tenuta a far fronte è quello del “ritorno del padre”, dagli esisti irrimediabilmente nefasti, com’è dimostrato dai fallimenti della rivoluzione americana e di quella sovietica, dell’emigrazione e della proletarizzazione universale: rinascono gli stati-nazione, “i padri mostruosi ritornano al galoppo” e i figli senza padre conoscono un ben triste destino. La fiducia viene meno, riappare tramortita nell’impresa commerciale, la truffa si moltiplica, dilaga nelle sempre più complesse vicende storiche. Le rivoluzioni sono fallite, certo, ma il divenire rivoluzionario non cessa di rilanciare i loro frammenti, di “far fuggire sempre qualcosa sulla linea dell’orizzonte”: i pirati del “principio arcipelago” e del “principio speranza” (oltre E. Bloch…) tentano ancora di “trapassare il muro”, di sperimentare, di “trovare una fraternità” nell’impresa democratica “assoluta”, di cercare “una sorella in questo divenire”, di cogliere “una musica nella lingua che balbetta”, “un uomo puro e accordi sconosciuti nell’intero linguaggio”: Pirata e cartografo, dunque anche “scrittore” – e così “portatore/conservatore dei “diritti di un popolo futuro o di un divenire umano”, di quell’immanenza che riempirà infine un esistente privo di pretese perché ricco di potenza. [113]

Così si conclude il saggio su Deleuze di Ubaldo Fadini “Il desiderio in America. Per una politica ad arcipelago”, con questa idea suggestiva di una filosofia dei pirati presente negli scritti di Deleuze, soprattutto del secondo Deleuze. Il pirata dopotutto è l’esempio perfetto del nomade: uomo avventuriero di banda, viaggiatore sui mari (lo spazio liscio per eccellenza), cartografo, sempre in movimento, in cerca di tesori (un oggetto perduto, l’oggetto del desiderio da cui si è stati spossessati, un modo per mettere in moto il denaro seguendo altre linee di fuga). Certo, i nomadi possono essere anche gli operai, gli studenti, gli immigrati in certi casi, ma ovviamente i primi nomadi che vengono in mente sono i beduini del deserto e i pirati. L’arcipelago, oltretutto, è un modello, un modello di pensiero che sta alla base della banda e della molteplicità. Deleuze cercava di andare al di là dell’Uno e del molteplice, ma questo non significa che abbandonasse o rifiutasse il monismo [114]. In realtà Deleuze voleva semplicemente trovare la via attraverso la quale non avrebbe avuto più nessuna differenza dire monismo o pluralismo, dopotutto dovrebbe essere la stessa cosa. Spinoza quando pensa la sua Sostanza non la pensa davvero come un sostrato di tutto l’essere e quando parla dei tre modi della conoscenza [115] non li intende come dei livelli. L’infinito è, secondo Spinoza, sempre l’infinito delle cose finite, la stessa serie causale immanente e metonimica che comprende tutti i modi della Sostanza e che può essere vista sotto la prospettiva di due attributi differenti: pensiero ed estensione. Allo stesso modo Deleuze sviluppa il suo concetto di singolarità, di molteplicità e così via; si tratta di un piano che non è universale ed è pre-individuale. Questo piano intermedio è il piano della molteplicità, ma la molteplicità deve essere pensata in un solo processo: questo isomorfismo, questo passaggio tra eterogeneità. L’Uno di Deleuze è l’Uno del divenire, l’univocità dell’essere, l’essere che si dice in un solo modo. Questo essere è certamente fatto di molteplicità, delle differenze sempre collocate nello stesso processo. Nel divenire le singolarità sono infatti sempre comunicanti. Si dovrebbe rintracciare tutto un discorso sull’univocità da Differenza e ripetizione a Logica del senso, per capire come in realtà ‒ fatto che ha notato Alain Badiou ‒ in Gilles Deleuze si sviluppa una vera filosofia dell’Uno. La filosofia dell’Uno di Deleuze è quella delle membra disgiunte che non trovano un’unità superiore nell’oggetto ricostituito, come il vaso a pezzi con i pezzi rincollati, ma diventano tanti vasi comunicanti. Gli oggetti parziali di Melanie Klein, ripresi da Deleuze ne L’anti-Edipo, sono gli stessi vasi comunicanti che fanno passare il desiderio e la libido, sono le macchine desideranti che fanno scorrere il flusso sul corpo senza organi. Alla fine tutto questo va collegato alla massa dei nomadi e alla molteplicità rivoluzionaria; l’oggetto diventa quindi una filosofia dell’Uno politica. Il capitolo Differenza in sé di Differenza e ripetizione comincia così:

L’indifferenza ha due aspetti: l’abisso indifferenziato, il nero niente, l’animale indeterminato in cui tutto è dissolto, e insieme il bianco niente, la superficie ridivenuta calma in cui fluttuano determinazioni slegate, come membra sparse, teste decollate, braccia prive di spalle, occhi senza fronte. L’indeterminato è del tutto indifferente, ma le determinazioni fluttuanti non lo sono meno le une rispetto alle altre. Bisogna chiedersi se la differenza funge da intermediaria tra codesti due estremi. […]. La differenza è lo stato in cui si può parlare della determinazione. [116]

Il corpo è fatto di tante parti (testa, occhi, braccia, gambe, torace, ecc.), e sono queste parti a costituire una molteplicità che si concatena per dare un corpo, e non c’è corpo prima degli organi come separati, al più esiste il corpo come superficie su cui gli organi si installano. E così si legge in Logica del senso:

L’univocità dell’essere non vuol dire che vi è un solo e medesimo essere: al contrario gli essenti sono molteplici e differenti, sempre prodotti da una sintesi disgiuntiva, essi stessi disgiunti e divergenti, membra disjuncta. L’univocità dell’essere significa che l’essere è Voce, che si dice e si dice in un solo e medesimo “senso” di tutto ciò di cui esso si dice. Ciò di cui esso si dice non è affatto il medesimo. Ma è il medesimo per tutto ciò che si dice. [117]

Le membra disjuncta sono sì divergenti, veramente disgiunte, ma secondo una logica della disgiunzione inclusiva, logica della differenza che non esclude ma unisce, per cui non c’è mai alternativa. “L’arcipelago” deve funzionare in questo preciso modo, i pirati devono rappresentare la società dei fratelli senza il padre-Uno. Ogni isola, ogni nave, ogni tragitto sul mare, ogni banda di pirati sarà unita in qualche maniera da un sistema comunicante che mette in connessione e relazione le differenze. La filosofia dell’Uno politica, in questo senso, è quella della moltitudine.

Nel Trattato sulla nomadologia, saggio contenuto in Mille piani, Deleuze e Guattari, rifacendosi a Jaques Meunier, etnologo, elencano i punti fondamentali che contraddistinguono una banda [118]: i membri della banda si aggregano per compiere dei furti ed impossessarsi del bottino, ma al termine dell’attività si separano; tutti i membri si associano con altri membri come misura preventiva nel caso di uno scontro contro il capo della banda, perciò non saranno soli e nella loro opposizione disgregheranno la banda portando via diversi membri; inoltre Deleuze parla di un limite di età oltre il quale si deve per forza lasciare la banda. Le bande sono associazioni di uomini, unite magari da uno stesso scopo o perché fanno parte di un solo popolo. Le bande hanno un capo, ma il capo, in questo caso, si trova in una situazione particolare perché può essere, da un momento all’altro, tradito dagli altri membri. Se si vuole un buon esempio sui nomadi deleuziani nella storia, si guardi ai flussi barbarici [119]: i nomadi contro lo Stato; si considerino, in particolare, i vecchi pirati del nord: i vichinghi. I vichinghi sui drakkar si deterritorializzavano dalle loro terre in cerca di tesori e ricchezze, andavano in Inghilterra, in Scozia, in Francia, razziavano i monasteri, i centri religiosi dove spesso nel medioevo stavano gli oggetti di valore e il denaro. In questo modo avevano costruito una nuova linea di fuga per il denaro. Il denaro si deterittorializzava con loro sperimentando nuove potenze, ma allo stesso tempo anche i contadini e le popolazioni fuggivano atterrite producendo un altro movimento di deterritorializzazione, cercando la salvezza su altre terre. I vichinghi sicuramente furono uno dei popoli più feroci della storia, ma questo è un bell’esempio di come dei nomadi possano creare una specie di controcircuito e mobilitare tutto un mondo in un’altra direzione. Anche i vichinghi hanno fallito, però, sono stati riterritorializzati e hanno avuto le loro terre, dove hanno fondato altri Stati: Rollone in Normandia, Ruggero II in Sicilia.

 

Note

[113] Legge, desiderio, capitalismo, a cura di F. Vandoni, E. Redaelli, P. Pitasi, Mondadori, Milano 2014, p. 40.

[114] A proposito di questo si veda lo scritto Il clamore dell’essere di Alain Badiou.

[115] La conoscenza come immaginazione, cioè come conoscenza delle cose per come appaiono esteriormente (il senso comune), la conoscenza delle relazioni, cioè la scienza, e la scienza intuitiva, terzo tipo di conoscenza, quindi la metafisica o conoscenza dell’infinito.

[116] Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano 2010, p. 43.

[117] Gilles Deleuze, Logica del senso, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 179-180.

[118] Cfr. Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille piani, Castelvecchi, Roma 2010, p. 429.

[119] Cfr. Maurizio Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato, DeriveApprodi, Roma 2012, pp. 94-96.

 

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