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Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (6)

Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (6)

Mar 08

Articolo precedente: Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (5)

 

3.1. Il funzionalismo di Hilary Putnam

A partire da Brains and Beahvior (1963), Putnam attacca il comportamentismo e la teoria dell’identità. Per lui, non necessariamente gli stati mentali sono “esterni”, cioè si manifestano sotto forma di comportamento verificabile intersoggettivamente. La connessione tra comportamento e stato mentale è meno stretta di quanto si possa pensare; infatti, non è necessariamente vero che una persona che avverte dolore si metta a gemere o urlare, dando manifestazione del dolore. Alcune persone potrebbero avvertire dolore senza minimamente comportarsi nei modi comunemente associati al dolore.

In un altro scritto, Psychological Predicates (1967), Putnam attacca la teoria dell’identità affermando che, se lo stato mentale del dolore fosse identificabile con uno stato cerebrale, allora tale stato dovrebbe essere identico per ogni specie animale, cosa assolutamente non vera.

Nel corso degli anni Sessanta, al fine di contrastare tale teoria dell’identità di tipo, Putnam propone la teoria della realizzabilità multipla del mentale, destinata a suscitare tanto consensi quanto critiche, secondo cui un certo tipo di stato mentale, essendo uno stato funzionale, non può essere identico a un certo tipo di stato cerebrale, perché i singoli stati mentali che appartengono a quel tipo di stato cerebrale possono essere implementati da stati cerebrali di diverso genere.

Con l’entrata in scena di questa nuova congettura si intravede la possibilità di porre in discussione anche altre tesi, quali l’eliminativismo, ossia il progetto ontologico di riduzione-eliminazione della mente e del vocabolario mentalistico.

Perciò uno stato mentale è quello che è, in virtù della sua funzione o del ruolo causale che svolge nell’attività cognitiva di un soggetto, a prescindere da come tale ruolo sia fisicamente realizzato. Tale schema causale può essere poi spiegato in termini di computazioni aventi carattere astratto: i processi mentali sono elaborazioni di informazioni, o computazioni, cioè sequenze ordinate di operazioni su basi di dati, governate da insiemi definiti di regole formali.

Putnam pensò di immaginare la mente come un software e il cervello come un sistema hardware, un supporto materiale su cui possiamo implementare un programma. Da qui la formula secondo cui “la mente sta al cervello come il software sta all’hardware”. Così la mente viene definita in termini sintattici, mentre il cervello riveste un’importanza minima, in quanto è solo un supporto di implementazione, così come lo è un computer. Nasce così il funzionalismo, dal suggerimento di Hilary Putnam di identificare lo stato psicologico di una persona (“credere che”, “desiderare che”, ecc.) con uno stato della Macchina di Turing (MT).

Lo stato psicologico causerebbe allora altri stati psicologici, in accordo con le operazioni della macchina. Putnam non credeva che lo stato mentale fosse dovuto unicamente allo stato fisico del cervello e ambiva a trasformare in scienza la psicologia dei desideri e delle convinzioni.

Usando il paradigma della MT, ovvero del computer, poteva ipotizzare che desiderio e convinzione corrispondessero a formule depositate in due registri della macchina, e che appositi algoritmi usassero quelle formule come input per produrre delle azioni come output. In tal modo i concetti sarebbero divenuti delle entità che possono essere scritte e manipolate scientificamente. In una serie di influenti scritti degli anni Settanta (raccolti ora in Putnam 1975), egli sostenne che, a tutti gli effetti, per il livello di astrazione nel quale si situa la psicologia, una mente è una MT, solo un po’ più complessa, e gli stati mentali sono stati delle quintuple che definiscono una MT.

Egli dimostrò che qualche estensione minimale della definizione di MT poteva eliminare alcune delle differenze, apparentemente insormontabili, tra la psicologia della nostra specie e la struttura di una macchina che esegue computazioni e che le avrebbe permesso di consultare, di tanto in tanto, “oracoli esterni” che, con la loro risposta, ne avrebbero influenzato il comportamento successivo, determinando quali stati avrebbe assunto al momento di ricominciare a seguire le istruzioni delle sue quintuple. Tale estensione mostra come è possibile pensare a una MT che interagisce con il mondo esterno, e di conseguenza mostra che noi potremmo essere considerati MT che sfruttano la natura o l’esperienza dei propri oracoli.

Mentre una MT sa sempre cosa fare, vede sempre bianco o nero, la nostra psicologia è senza dubbio più confusa. A volte, date certe condizioni, decidiamo di compiere una certa azione; altre volte, nelle stesse condizioni, ne scegliamo un’altra e siamo ben lontani dall’avere la certezza di una macchina.

Una complicazione nella definizione di una MT può ridurre, però, le differenze: basta associare ai vari stati non una singola azione ma una serie di azioni possibili, pesate per un valore di probabilità. Così, ad esempio, se la macchina si trova nello stato S, compirà l’azione A1 con probabilità 0.5, l’azione A2 con probabilità 0.4, o A3 con probabilità 0.1, e in questo modo essa potrà riprodurre l’incertezza delle risposte di un organismo come il nostro. Arriviamo, quindi, alla definizione di “automa finito probabilistico”, con cui Putnam propose di identificare la mente.

Prendeva così forma una versione completa del funzionalismo, che accompagnava la tesi generica secondo cui la mente è una serie di funzioni, con la descrizione di quale macchina astratta computa le funzioni mentali. Non solo identificare la mente con la macchina, ma gli stati mentali con gli stati della macchina. Se si accetta quest’identificazione, allora gli stati mentali sono uno a uno stati fisici, ma non corrispondono direttamente a stati né fisici né a cerebrali.

 

Bibliografia

  • Putnam, H. (1963), Brains and Beahvior.
  • Putnam, H. (1967), Psychological Predicates.
  • Putnam, H. (1975), Mind, Language and Reality.

 

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