“Mente e mondo” di John McDowell. La ragione e il suo posto nella natura (6)
“Mente e mondo” di John McDowell. La ragione e il suo posto nella natura (6)
Dic 04
Articolo precedente: «Mente e mondo» di John McDowell. La ragione e il suo posto nella natura (5)
Il rapporto tra prima e seconda natura è un rapporto che ci porta a dibattere riguardo alla differenza che intercorre tra uomini – animali razionali – e animali non razionali; quindi tra creature dotate di seconda natura e creature che ne sono prive.
McDowell, più volte, ha sostenuto che la possibilità di avere un’esperienza del mondo e la consapevolezza della propria interiorità passassero attraverso la concettualità, poiché solo essa può attribuire validità a ciò che osserviamo. Esperienza del mondo e autocoscienza si fondano sulla dimensione della spontaneità.
Il mondo oggettivo è presente solo a un soggetto autocosciente, un soggetto che può ascrivere esperienze a se stesso; è solo grazie alla capacità che il soggetto ha di ascrivere esperienze a se stesso che le esperienze possono essere consapevolezza del mondo. Questo ci riporta a una restrizione su cui avevo attirato l‘attenzione nella terza lezione. È la spontaneità dell’intelletto, la capacità di pensiero concettuale, che rende percepibili sia il mondo che il Sé. Le creature senza capacità concettuali non hanno né autocoscienza né esperienza della realtà oggettiva – dato che le due cose procedono insieme. [19]
Dovremmo perciò negare che gli animali abbiano piena coscienza e consapevolezza del mondo e del sé. Infatti, avere questa certezza richiede che sussista un bagaglio d’esperienze e la formazione di un pensiero critico, il quale, sulla base di ciò che ha esperito, formuli giudizi e riflessioni per responsabilizzarsi rispetto al mondo. Vagliare e criticare l’esperienza formulando concetti sembra un’azione impossibile per animali non razionali.
McDowell però ritiene che anche gli animali possano avvertire sensibilmente il loro ambiente, non sono certo degli automi. Inoltre, gli animali hanno anche la capacità di provare passioni di varia natura; l’intento dell’autore è sicuramente quello di decretare l’esistenza di una presa affettiva sulle cose attuata dal mondo animale. È anche vero che gli animali non posseggono una sfera intima, interiore, ma non per questo, come detto, sono privi di stati emozionali: non avere esperienze concettualmente strutturate non vuol dire non avere ricettività sensibile rispetto a un ambiente.
Le creature meramente animali non rientrano nell‘ambito della tesi kantiana, poiché non possiedono la spontaneità dell‘intelletto. Non possiamo vederli come esseri che riadattano in continuazione la loro visione del mondo in risposta razionale alle datità dell‘esperienza, dal momento che l‘idea di risposta razionale richiede soggetti che abbiano la responsabilità del proprio pensiero, che siano pronti a rivedere la loro valutazione di cosa è una ragione per cosa, e a cambiare di conseguenza i loro atteggiamenti di risposta. [20]
La suscettibilità percettiva all‘ambiente non equivale necessariamente alla consapevolezza del mondo esterno; ho difeso la tesi che la consapevolezza del mondo esterno può darsi solo in concomitanza con una soggettività compiuta. In modo all‘incirca simile, le sensazioni di dolore o di paura non equivalgono necessariamente alla consapevolezza di un mondo interno. Cosi, possiamo sostenere che un animale non ha un mondo interno senza che questo implichi che sia privo di sensazioni o di affetti. [21]
L’autore prosegue nella sua analisi, fino a trarre questa conclusione: gli animali, in quanto non razionali, non pensano. Quindi, essi non sono responsabilmente né razionalmente costituiti, tanto da non avere una batteria di concetti che si fondi su credenze che facciano loro avere una visione del mondo. Nonostante questo, è pur vero che gli animali, nella loro “irrazionalità”, sono pur sempre inseriti in un ambiente che si presenta loro secondo la propria costituzione e predicati – ambiente che orienta le esperienze degli animali secondo esigenze biologiche. Un animale non crede in un mondo, non si sforza di migliorarlo, tuttavia bada alla sua abitabilità, al fatto che possa o meno soddisfare le proprie necessità primarie – dissetarsi, trovare riparo, cibarsi – e quindi un animale che si muove entro uno spazio vitale ricco di sfumature tanto quanto sono articolate e complesse le leggi di sopravvivenza vigenti in natura.
Note
[19] J. McDowell, op. cit., pag. 123.
[20] J. McDowell, op. cit., pag. 123-124.
[21] J. McDowell, op. cit., pag. 130.
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