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“Mente e mondo” di John McDowell. La ragione e il suo posto nella natura (1)

“Mente e mondo” di John McDowell. La ragione e il suo posto nella natura (1)

Ott 30

 
Oggi pubblichiamo il primo articolo di Elena Piazza, studentessa di Filosofia presso l’Università degli Studi di Palermo. Elena inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog proponendo una serie di articoli dedicata all’analisi di «Mente e mondo» di McDowell. Ringraziandola per il contributo, le diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.

 
Il filosofo John McDowell si propone di confutare l’empirismo lockiano, che vedeva la mente come tabula rasa, atta solo a impregnare se stessa a partire dall'”impatto bruto con l’esterno”. Il filosofo inquadra il proprio pensiero in un ostico dibattito contemporaneo che, a detta del nostro autore, avanza inconsistenti problemi riguardo alla determinazione della coscienza. McDowell tenta, nell’opera Mente e mondo, di fornire la spiegazione di un arcano filosofico che ha angustiato generazioni di filosofi fin dall’antichità per arrivare a preoccupazioni caratteristiche della filosofia moderna.

Egli stesso inizierà il suo cammino verso e all’interno della coscienza impegnandosi con se stesso, e con i suoi lettori, a trovare una soluzione valida e sostenibile al problema che, come suggerisce il titolo stesso dell’opera, riguarda il rapporto tra mente e mondo.

Il mio scopo è quello di proporre una spiegazione, in spirito diagnostico, di alcune preoccupazioni caratteristiche della filosofia moderna – preoccupazioni che, come indica il titolo, riguardano essenzialmente la relazione tra mente e mondo. […] Una diagnosi soddisfacente deve sapere indicare una cura. [1]

La “cura” che McDowell propone è l’empirismo minimale: esso evita e allontana le secche portate dal coerentismo di Donald Davidson e dal Mito del Dato. Davidson afferma che “niente può valere come ragione per nutrire una credenza tranne un’altra credenza”; ci andiamo a collocare entro una speculazione che vede un’esperienza senza dignità epistemica, un’esperienza che è in diretto rapporto causale con la spontaneità e che quindi pone “in minoranza” il contenuto concettuale delle intiuzioni fino ad allontanarlo.

Secondo Davidson, l’esperienza possiede una finezza di filigrana superiore alla nostra batteria di concetti, i quali entrano in gioco solo nel momento in cui siamo portati al giudizio. Il dualismo di schema concettuale e contenuto (intelletto versus sensibilità) costituisce quello che Davidson chiama terzo dogma dell’empirismo [2], secondo cui gireremmo a vuoto senza attrito, in quanto non esiste un vincolo razionale esterno al pensiero. Davidson, insieme a Wilfrid Sellars, rifiuta il Mito del Dato. Ma che cos’è il Mito del Dato?

Esso vede l’esperienza come impatto bruto con l’esterno, il quale ha dignità epistemica e costituisce un vincolo esterno al pensiero. Noi vogliamo che il nostro pensiero sia vincolato al mondo. L’idea che i concetti si possano applicare all’esperienza sembra necessariamente implicare che vi sia qualcosa di esterno alla sfera concettuale che giustifichi la loro applicazione. Sembra dunque necessario che lo spazio delle giustificazioni possa andare oltre alla sfera dei concetti. La ricettività si pone come nesso di fondazione nei confronti della spontaneità. Il nesso ci conduce al Dato nella sua immediatezza, nella sua mera funzione prelinguistica, costringendoci a sostenere che lo spazio delle ragioni sia più ampio dello spazio logico concettuale. L’idea di contenuto rappresentativo richiede interazioni tra concetti e intuizioni. Altrimenti, più che immagini di applicazioni di concetti, avremmo immagini di forme vuote. L’idea epistemologica del Dato è connessa con l’idea che i giudizi empirici debbano avere un contenuto che ammetta una giustificazione empirica.

Più evidenziamo la connessione tra ragione e libertà, più rischiamo di perdere la comprensione di come l’applicazione di concetti può dare origine a giudizi giustificati sul mondo. Ciò che vorremmo concepire come applicazione di concetti minaccia di degenerare nelle mosse di un gioco che si esaurisce in se stesso. E questo ci priva dell’idea stessa che si tratti di un’applicazione di concetti. Adeguare le credenze empiriche alle loro ragioni non è un gioco che si esaurisce in se stesso. Il dualismo “schema concettuale e contenuto empirico”, di schema e Dato, è una risposta a questa preoccupazione, ci permette di riconoscere un vincolo esterno alla nostra libertà di applicare i concetti empirici. [3]

 

Note

[1] J. McDowell, Mente e mondo, Einaudi, Torino 1999; Introd. pag. XI.

[2] Op. cit., Introd. pag. XVI.

[3] Op. cit., pag. 6.
 
Articolo successivo: «Mente e mondo» di John McDowell. La ragione e il suo posto nella natura (2)
 


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3 comments

  1. Giancarlo

    Non dice assolutamente nulla, l’articolo. Consiste in uno sproloquio che (mi) lascia indifferente.

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      Stefano Corsi

      Giancarlo,

      non sono d’accordo. L’articolo non è di semplice lettura, ma basta leggerlo con attenzione per scoprire che qualcosa dice.

  2. Petrella

    Un po’ striminzito, ma è stato presentato maggiormente la visione di Davidson….

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