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Churchland. Perché la psicologia del senso comune potrebbe essere (realmente) falsa

Churchland. Perché la psicologia del senso comune potrebbe essere (realmente) falsa

Giu 29

Articolo precedente: Churchland. Perché la psicologia del senso comune è una teoria

 

Nel secondo paragrafo Churchland discute successi e difficoltà della Psc per presentare un bilancio negativo. A tale scopo vengono sviluppate tre considerazioni:

  1. nella prima l’autore elenca alcuni fenomeni mentali di cui la teoria non fornisce spiegazione;
  2. in seguito la storia della Psc viene valutata nei suoi scarsi progressi;
  3. la terza considerazione infine pone l’accento sulle poche possibilità di integrazione fra Psc e neuroscienze. (1)

Dopo una breve introduzione, in cui l’autore ricorda l’efficacia della Psc nella predizione dei comportamenti, viene esposta la prima considerazione. Tra i diversi fenomeni mentali cui questa teoria non sa dare spiegazione Churchland discute l’apprendimento:

Un mistero particolarmente rilevante è dato dalla natura dello stesso processo di apprendimento, specie quando implica cambiamenti concettuali su larga scala, e specie nelle sue forme prelinguistiche, o del tutto non linguistiche (come nei bambini e negli animali), che sono di gran lunga le più comuni nella natura. La PSC si trova qui di fronte a difficoltà particolari, dato che la sua concezione dell’apprendimento come manipolazione ed immagazzinamento di atteggiamenti proposizionali è di per sé qualcosa di appreso, ed è solo una tra le tante abilità cognitive che si acquisiscono. Così la PSC si mostrerebbe costituzionalmente incapace anche solo di accostarsi a questi misteri fondamentali. (2)

Lo studio dell’apprendimento condotto coi concetti della Psc porta a circolarità o innatismo. Secondo questa teoria apprendere è un’attività complessa che consiste nel manipolare ed immagazzinare atteggiamenti proposizionali. Di una tale e complessa attività si possono dare due ragioni: o la persona ha appreso come fare, ed in questo caso sarà necessario spiegare come la persona abbia imparato ad apprendere, oppure si tratta di una capacità innata. Churchland esclude questa seconda opzione (3) e denuncia la circolarità della prima indicando quella che è, a suo avviso, un’insufficienza della teoria.

La seconda considerazione riguarda i successi raggiunti dalla Psc nella sua storia. Il giudizio dell’autore è molto severo: egli ritiene si tratti di una storia “fatta di ritirate, sterilità e decadenza” che dovrebbe indurci ad abbandonare la Psc nonostante il suo far parte della nostra Lebenswelt. (4)  È opportuno segnalare come la storia della Psc venga da Churchland estesa oltremodo: egli propone una discutibile analogia tra animismo dell’uomo primitivo e teoria intenzionale. Va ricordato che di Psc si può propriamente parlare solo a partire dal lavoro di Putnam degli anni ’50. L’autore non esplicita la ragione per cui storia di Psc ed homo sapiens debbano coincidere e pertanto non vi è modo di valutare questa analogia. (5) Detto questo, la critica mossa alla Psc è quella di essere una teoria poco produttiva, i cui risultati tardano ad arrivare:

La PSC dei Greci è sostanzialmente quella che usiamo oggi, e siamo trascurabilmente migliori di Sofocle nel voler spiegare nei suoi termini il comportamento umano. È questo un periodo di stagnazione e sterilità eccessivamente lungo per una qualunque teoria […] (6)

Churchland sembra qui ignorare alcuni progressi rilevanti: anche chi (per amore di argomento) retrodatasse gli albori della Psc, non potrebbe ignorare che nozioni come quella di inconscio hanno rappresentato un progresso delle nostre conoscenze sulla mente. Nata in ambito psicanalitico ed ora di dominio popolare, questa nozione ci permette di guardare ai comportamenti dell’uomo in una prospettiva sconosciuta ai greci del V secolo a. C.. Non sono in grado di dire quanto inconscio ed atteggiamenti proposizionali possano conciliarsi in una spiegazione omogenea della mente, (7)  è indubbio però che la tesi di Churchland si presti a più di una critica qualora non fornisca un criterio per ciò che debba essere considerato un progresso nella conoscenza della mente.

La terza considerazione dell’autore riguarda la difficoltà di integrare Psc e neuroscienze: nell’immagine che egli ne fornisce vi è una separazione netta fra metodi scientifici e non scientifici; la Psc non troverebbe collocazione nella visione scientifica dell’uomo in ragione della non riducibilità dei suoi concetti.

Se ci accostiamo all’Homo sapiens nella prospettiva della storia naturale e delle scienze fisiche, possiamo raccontare una storia coerente sulla costituzione, sullo sviluppo e le capacità comportamentali della specie, che abbraccia la fisica delle particelle, la teoria atomica e molecolare, la chimica organica, la teoria evoluzionistica, la biologia, la fisiologia e la neuroscienza materialistica. […] Ma la PSC non ha alcun ruolo in questa sintesi crescente. Le sue categorie intenzionali rimangono in uno splendido isolamento, senza una prospettiva visibile di riduzione a questo corpus più ampio. (8)

Vi sono due metodi per lo studio dei fenomeni mentali (neuroscienze e Psc) che sono fra loro inconciliabili perché basati su sistemi concettuali diversi: linguistici nel caso della Psc e matematico/fisici nel caso delle scienze. (9) Churchland ritiene che gli scarsi risultati della Psc dovrebbero indurci ad abbandonarne le categorie per abbracciare un più maturo naturalismo (10)  sulla mente, uno studio scientifico delle cause, i cui risultati non tarderanno ad arrivare:

[…] la PSC soffre di successi esplicativi su scala epica, che ha ristagnato per almeno venticinque secoli, e che (almeno sinora) le sue categorie appaiono incommensurabili con, o ortogonali a quelle, della scienza fisica di sfondo, la cui pretesa a lungo termine di spiegare il comportamento umano sembra innegabile. (11)

La Psc non trova spazio in una spiegazione fisica della mente, non vi è modo di ridurre gli atteggiamenti a dati scientificamente misurabili. Può essere utile tenere presente che, sebbene per Churchland una tale riduzione sia necessaria ed inevitabile, altri autori vedono nell’incapacità di questa riduzione proprio uno degli aspetti più peculiari della mente. Autori come Wittgenstein o Jackson (12) pongono l’accento sull’aspetto qualitativo dell’esperienza cosciente, il meno riducibile a dati empirici. Scrive Wittgenstein:

Poniamo che qualcuno faccia la seguente scoperta. Indagando i processi che hanno luogo nella retina delle persone che vedono la figura ora come un cubo di vetro, ora come una intelaiatura di filo metallico, ecc., egli trova che questi processi sono simili a quelli da lui osservati quando il soggetto guarda ora un cubo di vetro, ora un’intelaiatura di filo metallico, ecc… Una scoperta del genere saremmo inclini a considerarla una prova del fatto che vediamo davvero la figura ogni volta in modo diverso. Ma con quale diritto? Come può l’esperimento asserire alcunché sulla natura dell’esperienza immediata? – Esso la inserisce in una specifica classe di fenomeni. (13)

Chi intenda spiegare l’aspetto qualitativo dell’esperienza non sembra potere ignorare l’obiezione di fondo che Wittgenstein avanza: l’esperienza cosciente si distingue dai dati sulla neurofisiologia del cervello, così come vedere il rosso si distingue da sapere tutto sui processi neurofisiologici di visione del rosso. Non è chiaro come le neuroscienze potranno assolvere ad un tale compito in relazione anche al fatto che il cervello, con i suoi trenta miliardi di neuroni ed un milione di miliardi di connessioni, fornisce una grande quantità di dati da analizzare.

 

NOTE

(1) “In primo luogo, i conti dobbiamo farli non solo con i successi della PSC, ma anche con i suoi fallimenti esplicativi, con la loro ampiezza e gravità. In secondo luogo dobbiamo considerare la storia a lungo della PSC, la sua crescita, la sua fertilità, le promesse che oggi fa di futuri sviluppi. E terzo, dobbiamo considerare quali tipi di teorie sono probabilmente vere per quel che concerne l’etiologia del comportamento, tenuto anche conto di quel che abbiamo appreso su noi stessi nella storia recente.” Churchland P. (1992), pag. 36.

(2) Churchland P., (1992), pag. 37.

(3) L’autore rimanda il lettore ad altri suoi testi, Churchland 1978.

(4) “Nell’abbozzare un quadro riassuntivo equilibrato di questa situazione, dobbiamo fare uno sforzo particolare per prescindere dal fatto che la PSC è una parte centrale della nostra Lebenswelt, e funge da veicolo principale nei nostri scambi interpersonali.” Churchland P., (1992), pag. 39.

(5)  “Nelle culture primitive, il comportamento della maggior parte degli elementi della natura veniva compreso in termini intenzionali. Il vento poteva conoscere la rabbia, la luna la gelosia […] Malgrado la sua sterilità, questo approccio animistico alla natura ha dominato la nostra storia, ed è soltanto negli ultimi due o tremila anni che abbiamo ristretto l’interpretazione letterale della PSC al dominio degli animali superiori.” Churchland P., (1992), pagg. 37-38.

(6) Churchland P. (1992), pag. 38.

(7) Per valutare questa ipotesi sarebbe necessario capire se Freud abbia mai associato il linguaggio all’inconscio. Si tratta di un aspetto da approfondire.

(8) Churchland P., (1992), pagg. 38-39.

(9) Discuterò in seguito della distinzione fra ragioni e cause nella spiegazione dei fenomeni mentali.

(10) È singolare come Churchland indichi con l’aggettivo ‘naturalistico’ la presa di distanza dalla nostra abituale Lebenswelt sui fenomeni mentali. Si tratta di una scelta che ha ragioni persuasive, ogni autore ha interesse a presentare la propria teoria come la più naturale.

(11) Churchlan P., (1992), pag. 39.

(12) Jackson (1986) pagg. 291-295.

(13) Wittgenstein L., (1980), pag. 11.

 

BIBLIOGRAFIA (IN ORDINE ALFABETICO)

  • Churchland P., (1992), La natura della mente e la struttura della scienza: una prospettiva neurocomputazionale, Il Mulino, Bologna.
  • Crane T., (2001), Fenomeni mentali, un’introduzione alla filosofia della mente, Raffaello Cortina, Milano.
  • Fodor J., (1990), Psicosemantica. Il problema del significato nella filosofia della mente, Il Mulino, Bologna.
  • Jackson F., (1986), What Mary didn’t know, tratto da The Journal of Philosophy, Volume 83, Issue 5.
  • Wittgenstein L., (1980), Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi edizioni, Milano.

 

Articolo seguente: Churchland. Argomenti contro l’eliminazione


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