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Churchland. Perché la psicologia del senso comune è una teoria

Churchland. Perché la psicologia del senso comune è una teoria

Giu 23

Articolo precedente: La proposta neuro-computazionale di Paul Churchland

 

Il primo obbiettivo di Churchland consiste nel mostrare come la Psc non sia una sorta di sapere indubitabile ed insito nell’uomo. Egli ritiene si tratti di una teoria empirica che riceve conferma o meno dall’esperienza ed è quindi discutibile, migliorabile e (se necessario) abbandonabile. Questa premessa si rende necessaria perché, come Fodor ricorda, “Common sense psychology works so well it disappears”; descrivere il comportamento utilizzando termini psicologici è infatti il modo comune di esprimersi, quando ad esempio qualcosa ci colpisce con forza diciamo di provare dolore, non elenchiamo le sinapsi attive nell’elaborazione di quella sensazione. Churchland invita il lettore ad ignorare questa consuetudine; in questo modo sarà possibile, a suo avviso, risolvere alcuni problemi controversi in filosofia della mente (1), come ad esempio il problema delle altre menti, l’intenzionalità ed il problema mente-corpo. Considererò la discussione dei singoli problemi iniziando dal primo.

La problematica convinzione che un altro individuo sia il soggetto di certi stati mentali non viene inferita deduttivamente dal suo comportamento, né per analogia induttiva dall’esempio rischiosamente isolato di ciò che accade a noi stessi. Piuttosto, questa convinzione è una specifica ipotesi esplicativa di tipo assolutamente diretto, che ha la funzione, assieme alle leggi della psicologia del senso comune che sono sullo sfondo, di fornire spiegazioni/previsioni/interpretazioni del comportamento continuo dell’individuo. (2)

Maturare la certezza che gli altri abbiano fenomeni mentali non è possibile né con un approccio comportamentista, né proponendo un’analogia tra vissuti in prima persona ed altrui. L’osservazione dei comportamenti può informarci solo degli effetti che i fenomeni mentali esercitano sull’individuo, non può farci accedere direttamente a questi, che rimangono quindi un’ipotesi. I fenomeni mentali altrui rimangono un’ipotesi anche qualora li si consideri in analogia coi vissuti in prima persona: questi ultimi non sono infatti una via d’accesso diretta ai fenomeni mentali privati. I vissuti in prima persona sono per Churchland risposte concettuali ad eventi neurofisiologici del cervello, sistemi concettuali diversi possono rispondere diversamente ad uno stesso evento e ciò implica che, anche rispetto ai propri vissuti, si debba negare la possibilità di una via d’accesso diretta.

Allo stesso modo, neppure i giudizi introspettivi su quanto in noi avviene dovrebbero avere un qualche stato o virtù particolare. In base a quanto detto, un giudizio introspettivo spontaneo è esattamente un caso di abitudine acquisita di risposta concettuale a un proprio stato interno; e la completezza di qualunque risposta particolare è sempre dipendente dalla completezza del quadro concettuale acquisito (della teoria) in cui la risposta si inquadra. Di conseguenza, la certezza introspettiva che la nostra mente sia sede di credenze e desideri può essere del tutto mal riposta […]

Il secondo problema che non richiede la Psc per essere risolto riguarda la caratteristica più peculiare della mente, l’intenzionalità. I fenomeni mentali hanno un contenuto, si riferiscono ad un oggetto e ad esso sono direzionati; un dolore ad esempio ha un contenuto, la sensazione di dolore, ed è direzionato verso il punto del corpo in cui viene percepito. L’intenzionalità non è il tratto saliente del tipo di mente cui l’autore pensa, una rete neurale. (3)  Le reti, pur producendo risposte cognitive adeguate, non hanno contenuto proposizionale e nemmeno ad esso sono direzionate: l’informazione in entrata è distribuita nei componenti della rete, perciò non si può propriamente parlare di rappresentazioni verso cui il pensiero di una rete sia direzionato. Churchland ritiene le reti neurali un’alternativa credibile alla teoria della mente basata su atteggiamenti proposizionali; ne conclude che l’intenzionalità debba ritenersi il frutto dei concetti della Psc e non un tratto essenziale dei fenomeni mentali.

Un altro enigma riguarda l’intenzionalità degli stati mentali. […] Ancora una volta, la chiave del problema risiede nella natura teorica della psicologia del senso comune. L’intenzionalità degli stati mentali emerge qui non come un mistero della natura, ma come una caratteristica strutturale dei concetti della psicologia del senso comune. (4)

Il terzo problema preso in esame è quello che riguarda i rapporti tra mente e corpo. Churchland non si occupa di rapporti causali, piuttosto discute la possibilità di una riduzione del mentale al fisico. Qualora la Psc fosse realmente una teoria empirica, tale riduzione non potrebbe più essere esclusa; piuttosto sarebbe corretto confrontare Psc ed altre teorie (le neuroscienze) e parlare di una differenza fra ontologie.

Infine quando ci rendiamo conto che la psicologia del senso comune è una teoria, anche il problema mente-corpo acquista una luce diversa. Il problema diventa allora quello di come l’ontologia di una teoria (la psicologia del senso comune) si può o meno mettere in rapporto con l’ontologia di un’altra teoria (la neuroscienza completata) […] Infine, anche il materialista eliminativista è pessimista riguardo alle prospettive di riduzione, ma il suo motivo è che la psicologia del senso comune costituisce una spiegazione radicalmente inadeguata delle nostre attività interne, troppo confusa e troppo manchevole per sopravvivere ad una riduzione interteorica. (5)

 

NOTE

(1) Vedere come una teoria il quadro concettuale del senso comune che riguarda i fenomeni mentali, comporta un’organizzazione semplice e unificante della maggior parte dei temi di grande rilievo della filosofia della mente, tra i quali figurano la spiegazione e la previsione del comportamento, la semantica dei predicati mentali, la teoria dell’azione, il problema delle altre menti, l’intenzionalità degli stati mentali, la natura dell’introspezione e il problema mente-corpo. Churchland P., (1992), pag. 30.

(2) Churchland P., (1992), pagg. 31-32.

(3) L’approccio alla mente noto come connessionismo (o bottom up) fu presentato nel corso delle conferenze tenutesi a Dartmouth, New Hampshire, nel 1956, conferenze a cui partecipò anche Minsky. I sostenitori di questo approccio ritengono la mente il prodotto emergente di reti fra loro connesse. Queste reti sono composte di nodi da cui un’informazione può essere trasmessa sotto forma di impulso elettrico e da connessioni, le quali, oltre a trasportare il segnale, hanno un determinato peso, ovvero un valore che è funzione della quantità di informazione trasportata. Una rete produce output soddisfacenti (comportamenti corretti ad esempio nel caso di robot umanoidi) solo dopo diversi tentativi per prove ed errori; il programmatore addestra la rete ad ogni tentativo modificandone pesi e soglie di attivazione dei nodi in modo da ottenere i risultati desiderati. Caratteristica saliente delle reti è la mancanza di rappresentazioni; le informazioni in entrata sono distribuite lungo i nodi e le connessioni, non manipolate in funzione di regole sintattiche come accade invece in una macchina di Turing. Non vi è un nastro in cui le informazioni assumo una forma intellegibile alla macchina, non vi è una successione di stati funzionali in risposta a manipolazioni sintattiche e nemmeno una distinzione chiara fra hardware e software. Macchina di Turing e reti neurali sono modelli alternativi, le cui conseguenze teoriche sulla natura della mente sono diverse e fanno da sfondo all’intero capitolo di Churchland.

(4) Churchland P., (1992), pag. 32.

(5) Churchland P., (1992), pagg. 34-35.

 

BIBLIOGRAFIA (IN ORDINE ALFABETICO)

  • Churchland P., (1992), La natura della mente e la struttura della scienza: una prospettiva neurocomputazionale, Il Mulino, Bologna.
  • Crane T., (2001), Fenomeni mentali, un’introduzione alla filosofia della mente, Raffaello Cortina, Milano.
  • Fodor J., (1990), Psicosemantica. Il problema del significato nella filosofia della mente, Il Mulino, Bologna.
  • Jackson F., (1986), What Mary didn’t know, tratto da The Journal of Philosophy, Volume 83, Issue 5.
  • Wittgenstein L., (1980), Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi edizioni, Milano.

 

Articolo seguente: Churchland. Perché la psicologia del senso comune potrebbe essere (realmente) falsa


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1 comment

  1. Capire gli stati mentali e’ ancora oggi uno degli obiettivi non solo della psicologia ma anche della psichiatria in quanto ancora poco si sa di come lo stesso cervello funzioni. Nodi e connessioni mi ricordano i neuroni che appartengono al linguaggio medico ed esulano dalla nostra disciplina.

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