Temi e protagonisti della filosofia

Pornografia e atti linguistici

Pornografia e atti linguistici

Lug 06

La pornografia è spesso oggetto di dibattito sia sul piano giuridico (se sia lecito proibirla o censurarla, e, se sì, in che misura) sia su quello sociologico sia su quello filosofico (i rapporti della pornografia con il ruolo della donna, le trattazioni del tema della pornografia nella filosofia femminista).

Etimologicamente, la parola “pornografia” deriva dal greco, e indicava racconti riguardanti le prostitute. Ovviamente non è possbile assumere l’etimologia come definizione, per il semplice fatto che molte produzioni normalmente classificate come “pornografiche” non sono assolutamente includibili in questa categoria.

Una definizione più accettabile potrebbe essere per esempio quella di “raffigurazione di atti sessualmente espliciti”. Potremmo inserire in questa categoria raffigurazioni di atti sessuali, di organi sessuali etc. Essa, a prima vista, sembrerebbe rendere conto di cosa intuitivamente il senso comune tende a classificare come pornografia.

Un primo problema di questa impostazione, su cui ci soffermeremo molto brevemente, è il carattere convenzionale e sociale della categoria “sessualmente esplicito”: nella pudica società vittoriana poteva esserlo anche solo lo scoprire una caviglia, in altri contesti potrebbe esserlo un topless e così via.

Quale che sia il nostro contesto di riferimento, incontreremo però un altro problema, ovvero: non ci sarà possibile dare una definizione prettamente “descrittiva” di cosa sia la pornografia.

Rappresentazioni di organi genitali si possono trovare in un libro di medicina, così come raffigurazioni di atti sessuali si possono trovare in molte opere d’arte. Una definizione come quella che avevamo avanzato, così, ci porterebbe a dover considerare opere come Eyes Wide Shout di Stanley Kubrick o La Cleopatra di Guido Cagnacci opere pornografiche.

Pertanto, se vogliamo trovare un definizione più soddisfacente, non dovremo limitarci a studiare le proprietà degli oggetti che vengono classificati come pornografici, ma dovremo considerare gli stati d’animo che essi sono atti a suscitare (di eccitazione sessuale, principalmente). Prima di passare a questo approccio, è però necessaria una breve digressione.

In linguistica, è possibile studiare il linguaggio come una “azione”, non quindi come soltanto qualcosa che viene adoperato per rappresentare un referente, ma come un agire orientato a uno scopo. Tale agire si prefigge quindi non solo di descrivere lo stato di cose, ma anche di cambiarlo. Se vogliamo studiare un atto linguistico possiamo considerarlo sotto vari aspetti:

  • il piano descrittivo, o locutorio, si limita a esaminare il contenuto referenziale dell’espressione;
  • il piano illocutivo, invece, studia l’atto che il soggetto intende compiere con quell’azione (ad esempio, l’enunciato “chiudi la porta” non descrive uno stato di cose, ma mira a ottenere un risultato, a modificare i comportamenti dell’intelocutore;
  • infine, il piano perlocutivo studia gli effetti che l’azione linguistica produce. Essi possono essere coincidenti con quelli auspicati da chi effettua l’azione linguistica (nell’esempio che abbiamo appena fatto, che qualcuno chiuda la porta) o possono essere diversi (l’interlocutore potrebbe rifiutarsi di chiudere la porta).

Pertanto, dovremo studiare la “pornografia” in termini di pragmatica. La raffigurazione dev’essere orientata a un obiettivo (deve avere cioè una forza illocutiva) e quest’obbiettivo dev’essere quello di suscitare nel fruitore stati di eccitazione sessuale.

Senz’altro un approccio pragmatico ci permette di evitare le controintuitive conclusioni cui eravamo arrivati precedentemente. Ora noi possiamo tranquillamente escludere dalla categoria “pornografia” le raffigurazioni di organi genitali presenti in un libro di medicina, in quanto il loro scopo non è quello di suscitare eccitazione sessuale. Allo stesso modo, film e altre opere create con intenti artistici possono essere escluse dalla categoria. Se anche le si includesse, infatti, ciononostante esse non hanno primariamente quersto scopo. Non sfuggirà l’utilità pratica di questa impostazione, ad esempio nei dibattiti giuridici riguardo l’opportunità di censurare un film o un’altra opera che presenti scene sessualmente esplicite.

Resta il problema di scegliere se preferire le intenzioni dell’autore (illocuzione) o gli effetti sul fruitore (perlocuzione). Naturalmente l’ipotesi più plausibile è la prima, ma bisogna altrettanto naturalmente tenere conto del contesto in cui avviene una particolare fruizione, e di come esso possa modificare il messsaggio, al di là delle intenzioni di chi l’aveva prodotto.

 

NOTA Per un’esposizione più dettagliata di questa impostazione, cfr. Vera Tripodi, Filosofia della sessualità, Carocci, Roma, 2011. Per la teoria degli atti linguistici di Toulmin cfr. Stephen Toulmin, The Uses of Argument,  Cambridge University Press, Cambridge, 1958.


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