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Il Regno di Aksum tra Africa e Vicino Oriente: uno sguardo storico su uno dei protagonisti dell’Islam delle origini (2)

Il Regno di Aksum tra Africa e Vicino Oriente: uno sguardo storico su uno dei protagonisti dell’Islam delle origini (2)

Mag 22

 

Articolo precedente: Il Regno di Aksum tra Africa e Vicino Oriente: uno sguardo storico su uno dei protagonisti dell’Islam delle origini (1)

 

1. Aksum e il Kebra Nagast: la storia della Regina di Saba e di Re Salomone

“Bruna son’io ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come i padiglioni di Salma.” [1]

Nel Cantico dei Cantici, che la Bibbia attribuisce a Re Salomone, si canta del misterioso amore mistico e carnale tra il saggio re d’Israele e la favolosa Regina di Saba, che lo stesso Vecchio Testamento cita in un altro racconto in II Cronache 9, 1-12. I greci, dopo aver visto la gente d’Etiopia, li chiamarono con il nome di Aithiopes, che significa “uomini dalla faccia bruna o bruciata” e designarono la loro terra con il nome di Aithiopia.

Il Kebra Nagast che si traduce come “La Gloria dei Re” è un antico testo della tradizione storica e culturale d’Etiopia. L’incontro della Regina di Saba con il Re Salomone, un racconto condiviso dai testi sacri e dalla tradizione delle tre religioni monoteiste, è il fulcro narrativo della storia che il testo ci tramanda, anche se, come successivamente vedremo, esso sembra comprendere due cicli di tradizioni storiche e popolari. Esso assume un ruolo decisivo nella coscienza religiosa e politica di questa antica nazione situata nel Corno d’Africa ed è uno dei documenti costituzionali più significativi della storia d’Etiopia dal 1314 al 1974.

La sua redazione è avvenuta tra il 1314 e il 1321 per opera di cinque monaci aksumiti guidati da un alto prelato della chiesa etiopica di nome Isaac. Il testo è stato redatto in lingua Ge’ez (l’antica lingua semitica dell’Etiopia), a partire da antichissime tradizioni popolari e scritti religiosi di epoca pre-cristiana e cristiana. Il documento risulta quindi concepito come una compilazione di racconti che per comodità di studio qualche analista preferisce riferire inerenti al Ciclo di Saba o al Ciclo di Kaleb.

Il Ciclo di Saba non contiene elementi cristiani ed è ambientato nel X secolo prima di Cristo al tempo del regno di Salomone. Nel Kebra Nagast sono contenuti 364 riferimenti, allusioni o possibili influenze che si possono collegare ad alcuni passaggi dei libri del Vecchio Testamento: 62 per Genesi, 37 per l’Esodo, 49 per il Deuteronomio e uno per il Libro di Ruth. Altri 176 sono i riferimenti al Nuovo Testamento, di cui ben 41 al solo Matteo. Per quanto riguarda i corpus rabbinici di testi e commentari di Talmud, Zohar e altri, fra cui Giuseppe Flavio e Ben Sira, si contano 77 riferimenti. I collegamenti con il Corano sono 28 e 5 si riferiscono a commentatori islamici. Ci sono inoltre poco più di un centinaio di riferimenti ad alcuni testi apocrifi del Vecchio e del Nuovo Testamento, tra cui il celebre Libro di Enoch, che è un libro canonico della chiesa etiopica, e altri riferimenti a opere di alcuni padri della Chiesa, tra cui Origene e Gregorio di Nissa.

Nel Ciclo di Saba è narrata la favolosa storia delle origini del regno di Aksum, di Makeda Regina di Saba e di Salomone Re d’Israele. Da questo biblico incontro sarebbe nato un figlio, Bayna Lehkem o Ibn Al Hakim (Figlio del Sapiente), che viene tuttavia ricordato con il nome di Menelik I, il quale avrebbe dato origine alla linea dinastica salomonica-etiopica che avrebbe governato l’Etiopia giudaica e poi successivamente l’Etiopia cristiana, da quei tempi biblici fino all’imperatore Hailè Selassiè I (incoronato nel 1930). La tradizione ricorda una parentesi dinastica non-salomonica e probabilmente giudaica rappresentata dagli Zagwè, che pare regnarono per circa due o tre secoli, dall’epoca successiva al declino di Aksum, che si presume avvenuto all’incirca nel IX secolo, fino alla metà del XIII secolo, quando fu restaurata la dinastia della linea salomonica di Aksum.

La tradizione tuttavia racconta che il massimo esponente della dinastia Zagwè fu il leggendario Re Lalibela, che regnò in Etiopia probabilmente dal 1181 al 1221. Lalibela è celebrato dalla Chiesa Ortodossa Etiopica [2] come santo cristiano e veggente ed è ritenuto l’artefice del progetto di costruzione delle celebri chiese etiopiche scavate nella roccia.

L’altro elemento importante nel testo del Ciclo di Saba è legato al racconto secondo il quale il Tabernacolo della Legge (Tabot) o Arca dell’Alleanza sarebbe stata sottratta, per volere divino, da Menelik I, quindi trasportata nella capitale del regno aksumita, e fino ad oggi custodita nella cattedrale di Santa Maria di Zion, che appartiene alla Chiesa Ortodossa Etiopica e che si trova tra le rovine dell’antica città di Aksum.

Fra i vari episodi che il Kebra Nagast fornisce, è presente un racconto che identifica nel Re di Roma delle origini un figlio di Re Salomone di nome Adrami e della giusta sentenza data al termine di una lite tra un pecoraio e un contadino. Un altro racconto ci narra della discendenza del Re di Persia che viene ricondotta ai biblici Giuda e Tamar.

Notiamo che nel Ciclo di Re Kaleb non c’è nessun riferimento allo storico scontro di questo stesso famoso re aksumita contro il capo dei giudei Himyariti, quel Yūsuf Ash’ar Yath’ar che sarà ricordato come Dhū Nuwās (quest’episodio verrà da me trattato nell’ultimo articolo di questa serie), mentre si concede gran risalto ai fatti del Concilio di Nicea del 323 d.C. e agli avvenimenti che hanno sancito le sorti del cristianesimo monofita nel V e nel VI secolo dopo Cristo.

L’ultima parte del testo è costituita dal Colophon. Esso afferma che l’originale manoscritto fu redatto in lingua araba da monaci cristiani in terra d’Etiopia [3] e che gli autori avevano a loro volta ricavato il testo da un manoscritto copto proveniente dall’Egitto. Il Colophon ci informa che la datazione della traduzione araba dal copto si può far risalire intorno al 1200 durante il regno del mitico Re Lalibela della dinastia Zagwè.

 

Note

[1] Cantico dei Cantici, versetto 5.

[2] La Chiesa Ortodossa Etiopica è chiamata in amarico (che è la lingua etiopica attuale) Tewahedo, che significa “Unitaria”. Notiamo che il nome contiene la stessa radice linguistica della parola araba Tawhid, che mantiene lo stesso significato dell’etiopico. La Chiesa Ortodossa Etiopica è monofisita ed è stata per molti secoli unita alla Chiesa Copta d’Egitto. Soggetta al Patriarcato di Alessandria nella nomina dei propri rappresentanti, divenne autocefala dal 1959 durante il regno di Hailè Selassiè I.

[3] Questo particolare ha destato parecchie perplessità agli analisti che si sono chiesti il motivo per il quale non si sia effettuata una traduzione diretta dal copto al ge’ez. Il problema tutt’oggi non è stato risolto; si propende tuttavia ad accettare le tesi orientaliste che si basano sul fatto che non è stata effettuata una diretta traduzione in etiopico a causa della giudaica dinastia degli Zagwè, che regnava all’epoca e che era considerata usurpatrice del trono etiopico di discendenza salomonica e cristiana. Tuttavia resta il nodo legato alla figura del Re Lalibela, cristiano ma di stirpe Zagwè, durante il cui regno pare sia avvenuta questa traduzione dall’arabo al copto, e prendendo in considerazione che il suo regno rappresenta il momento di massimo splendore dell’architettura e della spiritualità cristiana etiopica.

 

Bibliografia

  • Carlo Conti Rossini, Storia d’Etiopia. Parte prima: Dalle origini all’avvento della dinastia Salomonide, Bergamo 1928 (adesso edito da Seam);
  • The Queen of Sheba and her only Son Menyelek (Kebra Nagast), tradotto da Sir E. A. Wallis Budge, Ethiopian Series Cambridge, Ontario 2000;
  • Enrico Cerulli, La letteratura Etiopica, Sansoni Accademia 1968;
  • Bernard Leeman, Kebra Nagast: New Insights into Old Testament History, 2014.

 

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