Sulla trasformazione dell’oggetto
Sulla trasformazione dell’oggetto
Mag 01
Oggi pubblichiamo il primo articolo di Giuseppe Genna. Giuseppe ha conseguito la laurea triennale in Filosofia con una tesi sul Pensiero mitico in Ernst Cassirer e la laurea magistrale in Scienze Filosofiche con la tesi La dematerializzazione dell’oggetto e la reificazione della persona. I suoi interessi vertono soprattutto sulla filosofia pratica, sull’etica, sull’antropologia e sulla sociologia. Ringraziandolo per il contributo, gli diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.
È un dato di fatto che l’uso di nuove tecnologie, oggi più che ieri, è quanto mai pervasivo nonché totalizzante. Siamo circondati da oggetti che invece di essere usati, ci usano; al posto di essere consumati tendono a consumarci.
Siamo gli ideatori di oggetti che ci performano. [1]
Ma come si è invertita la rotta?
Ci è utile a tal proposito ricalcare, sulla scia di Baudrillard, una breve storia del valore dell’oggetto.
Chi o cosa dà “valore” ad un oggetto? Il valore di un bene è relativo alla società in cui tale bene si trova ad essere: la convenzionalità è il generatore necessario che permette la nascita, lo sviluppo e l’eventuale perdita del valore in un dato oggetto. Tale valore è qualcosa di potenzialmente connesso alla naturalità di un oggetto ma non per questo gode di un carattere universale: due beni identici, forgiati a partire dallo stesso materiale, possono avere valori economici e/o sentimentali nettamente diversi a seconda del contesto sociale in cui si trovano.
I valori principali che Baudrillard distingue sono: il valore d’uso, il valore di scambio e il valore segnico.
Il valore d’uso risponde ad un’esigenza fisica dell’individuo e l’oggetto è usato – e consumato – per le sue caratteristiche fisiche: una penna è creata (in una determinata maniera) per scrivere ed è usata per lo stesso motivo. La sua razionalità quindi poggia su un bisogno, il più delle volte naturale, dell’uomo.
Ogni oggetto ha dunque due funzioni: la prima è l’essere pratico, la seconda l’essere posseduto. [2]
Ed è proprio sfruttando la seconda funzione che giungiamo al valore di scambio.
Questo valore si basa su una proporzionalità decisa in – e da – un determinato contesto sociale: se una penna “vale quanto” una caramella, le due parti acconsentono ad uno scambio che giova ad entrambe. Con il primo punto si sottolinea l’esistenza di una prima funzionalità – di origine naturale – e di una seconda funzionalità – specificatamente sociale. Il valore sociale dell’oggetto tende a surclassare il suo valore d’uso. L’oggetto inizia ad essere utile al di là della sua materialità. La sua naturalità – funzione primaria, fabbisogno, necessità – è sempre presente, ma solo in funzione di supporto.
Il valore segnico è invece un valore che punta alla differenza: esiste la penna da un euro ed esiste la penna da sei milioni e trecentomila euro (Fulgor Nocturnus di Tibaldi). Cosa cambia? La capacità di definire un individuo.
L’uomo, nell’illudersi di usare un oggetto, subisce in realtà l’azione di quest’ultimo che lo significa, gli dà un senso, lo colloca all’interno di un codice ovvero all’interno di una società dominata da uno specifico sistema oggettuale; in tal senso quindi lo definisce.
Questo essere definiti può essere intenzionale, per esempio se si compra un oggetto per ciò che significa (all’interno del sistema degli oggetti) e non per ciò a cui serve; oppure accidentale, nel caso in cui il motivo principale dell’acquisto di un oggetto corrisponde proprio alla sua funzione primaria – ma, facendo parte di un sistema oggettuale, qualsiasi oggetto comunica con gli altri, a prescindere dall’intenzione con cui lo si è acquistato.
A tal proposito ci sono penne acquistate per scrivere e penne acquistate al solo scopo di definirci: una penna da un euro crea pochi collegamenti, “comunica” poco alla società, è “una penna comune”; diverso il caso della Fulgor Nocturnus, la quale ha il preciso scopo di indicare alla società chi siamo: infatti non possediamo una penna, ma possediamo “la” penna.
Le differenze oggettuali rispecchiano le differenze sociali.
La merce non viene acquistata per essere consumata, ma per la sua carica simbolica. [3]
Ma se il segno sostituisce l’oggetto, allora l’idea si sostituisce alla cosa.
L’oggetto si dematerializza.
Da oggetto a segno.
La materialità degli oggetti non si confronta più direttamente con la materialità dei bisogni: si verifica un’elisione di questi due sistemi incoerenti, primari, antagonisti che deriva dall’inserzione, tra i due, di un sistema astrato di segni manipolabili: la funzionalità. [4]
La naturalità diventa così un mero corollario della funzionalità oggettuale.
La trasformazione dell’oggetto così risulta piuttosto chiara: l’oggetto da mezzo si fa scopo, in quanto non viene consumato più per la sua funzione primaria, bensì con lo scopo di definirci; da utensile diventa protagonista, in quanto non è più l’oggetto ad essere usato per il suo scopo principale ma sono gli oggetti che, “comunicando” tra loro, creano segni e bisogni non necessari, eppure desiderati dall’uomo; non più consumato ma consumatore, dato che col significarci e definirci è in realtà l’oggetto a “usarci”, quindi a consumarci.
Come se, a causa di tale sviluppo del valore oggettuale, fosse l’uomo ad essere diventato “cosa” di un nuovo tipo di società caratterizzata da una particolare dittatura oggettuale.
La società, protagonista e vittima di questa evoluzione del valore (e quindi dell’oggetto), ha creato un sistema di comunicazione tra oggetti di cui noi non siamo altro che intermediari, mezzi: già da tempo la pubblicità non mira ai nostri bisogni, ma tenta di crearne di nuovi.
Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, tangibile, quanto l’eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima. I consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni: sono collezionisti di cose solo in un senso secondario e derivato. [5]
Non siamo più noi i consumatori: siamo diventati oggetti a cui vendere segni, i veri consumatori.
Note
[1] Uso ‘performare’ nella sua accezione più vicina al latino: “dare forma”, in questo senso quindi come “modificare profondamente ogni nostro aspetto”.
[2] J. Baudrillard, Le systeme des objets, Éditions Gallimard, Paris 1968; trad. it. S. Esposito, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano 1972, pag. 116.
[3] G. Debord, La Société du Spectacle, Buchet/Chastelm, Paris 1967; trad. it. P. Salvadori, La società dello spettacolo, Baldini&Castoldi, Milano 2013, pag. 13.
[4] Op. cit. Il sistema degli oggetti, pag. 82.
[5] Z. Bauman, Globalization: The Human Consequences, Columbia University Press, New York 1998; trad it. O. Pesce, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 2001, pag. 93.