Riscoprire le Humanae Litterae. Il senso dell’umanismo in Heidegger e Sartre (1)
Riscoprire le Humanae Litterae. Il senso dell’umanismo in Heidegger e Sartre (1)
Apr 26
Nota redazionale:Dopo la pubblicazione su Filosofia Blog, questo articolo è stato inserito nel volume Sulla modernità estetica, a cura di Manuel Pezzali, che raccoglie saggi, articoli, relazioni e interventi realizzati dal nostro collaboratore negli ultimi anni di studi universitari. Il volume è disponibile online su Lulu, Amazon, Barnes & Nobles.
Dire che le tanto discusse scienze umane stanno attraversando, da tempo, un’intensa fase di crisi, è, oggigiorno, poco più di una frase fatta. Alla crisi economico-finanziaria si accompagna, forse, una più generale involuzione dei “valori”?
Stiamo assistendo a un momento di particolare difficoltà, in cui, progressivamente, perdiamo consapevolezza dell’eredità culturale cui, da sempre, l’intero paese si è affidato. Sembra che la volontà di guardare al mondo della quotidianità e alla vita possa prescindere da un approccio umanistico [1]. La conseguenza più ovvia consiste nell’affidarsi con un’insistenza sempre più forte alla tecnica: ci in-formiamo solo per ottenere quelle conoscenze che, in futuro, potrebbero essere utili alla società (contribuendo alla grande macchina del progresso tecnologico) e a noi stessi (ricavando un profitto dall’applicazione delle nostre competenze).
Già Martin Heidegger, con una certa lungimiranza e una notevole efficacia retorica, aveva compreso i pericoli di una predominanza dell’aspetto tecnico nella grande famiglia delle scienze. Potremmo, a buon diritto, aggiungere che mettere tra parentesi il volto propriamente umano della scienze significa obliarne la genesi, nascondere e dimenticare il principio da cui esse necessariamente muovono. Ecco perché deve tornare d’attualità il bisogno di indagare non solo il ruolo delle scienze umane nell’immediato, ma, più approfonditamente, interrogare il significato generale del termine umanismo [2]. Alla luce del processo di decadimento [3] – altro termine caro a Heidegger – culturale che stiamo vivendo, dobbiamo semplicemente abbandonare questa parola o vale la pena, piuttosto, di proporre una sua ri-significazione?
È Heidegger stesso a considerare l’opportunità di abbandonare l’idea tradizionale, ereditata dalla cultura latina, e dare un senso nuovo alla parola. Questo perché l’umanismo, tradizionalmente inteso, non è altro che la «preoccupazione che l’uomo diventi libero per la sua umanità, e trovi in ciò la sua dignità». La cura per l’humanitas propria dell’uomo determina una relativizzazione del concetto di umanismo, il quale assume significati differenti a seconda delle diverse concezioni di natura e di libertà.
In altri termini, il motivo principale per cui si deve abbandonare questo significato comune è che l’umanismo, così dispiegato, si fonda su una metafisica: esso si determina, cioè,
in riferimento a un’interpretazione già stabilita della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo, cioè dell’ente nel suo insieme.
Per metafisica, Heidegger intende:
ogni determinazione dell’essenza dell’uomo che presuppone già, sia consapevolmente sia inconsapevolmente, l’interpretazione dell’ente, senza porre la questione della verità dell’essere [4].
Se, per prima cosa, non interroghiamo la vera essenza dell’uomo, allora rimaniamo ancorati a un atteggiamento metafisico, ingenuo, che non lascia spazio alle possibilità del pensiero e del linguaggio, la vera “dimora dell’essere”. D’altro canto, considerando in primis la dimensione essenziale dell’uomo, cioè la sua e-sistenza, Heidegger contribuisce a dare un senso nuovo alla parola umanismo, che altro non è che il suo vero senso originario:
Restituirle un senso può significare solo rideterminare il senso della parola. Ma per questo è necessario anzitutto che l’essenza dell’uomo sia esperita in modo più iniziale, e poi che si mostri in che misura questa essenza, a suo modo, divenga destino. L’essenza dell’uomo riposa nell’e-sistenza. È questa ciò che importa in un senso essenziale, cioè a partire dall’essere stesso, in quanto è l’essere che fa avvenire l’uomo come e-sistente nella verità dell’essere, a guardia di tale verità. Allora, nel caso decidessimo di mantenere la parola, “umanismo” significa che l’essenza dell’uomo è essenziale per la verità dell’essere, così che, di conseguenza, ciò che importa non è più appunto l’uomo, semplicemente come tale [5].
L’essenza dell’uomo va, sempre di nuovo, scoperta e indagata, data la contingenza dell’uomo, “pastore dell’essere”, funzionale alla sola vera necessità: il primato ontologico dell’essere sull’ente. L’analitica esistenziale di Heidegger pone l’attenzione sulle profonde differenze che sussistono tra essentia ed existentia: la prima comunica l’«essere-che-cosa» dell’ente (ad esempio il suo essere un tavolo o una sedia), la seconda invece va intesa costantemente come un «essere-sottomano», come actualitas. Quest’ultima non va nemmeno confusa con l’e-sistenza vera e propria, la “determinazione d’essere, propria dell’esserci”.
Eppure, il Dasein è segnato da una radicale inautenticità, che segnala non già la sua inferiorità rispetto all’essere, bensì offre un’opportunità per la sua completezza:
L’inautenticità dell’esserci non significa però qualcosa come un essere “da meno” o un grado d’essere “inferiore”. L’inautenticità può anzi determinare l’esserci nella sua più piena concretezza in quanto affaccendato, allegro, interessato, gaudente [6].
Partendo dal presupposto che la dialettica tra Essere ed esserci non si esplica in termini di superiorità e inferiorità, ma più precisamente di autenticità e inautenticità, Heidegger afferma che l’esserci dell’uomo comprende due caratteristiche fondamentali: in primo luogo, il primato dell’existentia sull’essentia [7], cui abbiamo precedentemente fatto cenno; in secondo luogo, il fatto che l’esserci non è altro che un «essere-sempre-mio» – si tratta di un’espressione che Heidegger utilizza per dimostrare che, rispondendo a questa logica dell’“essere-via-via-il-mio”, l’esserci non può avere alcun valore esemplare o universale, ma va considerato come strettamente personale (da qui deriva la necessità di utilizzare e specificare il pronome personale). In altri termini, l’esistenza non ha valore di necessità, ma si accompagna alla particolarità della vita individuale, fin dal momento in cui il soggetto si ritrova “gettato” nel mondo.
È proprio per questo motivo che, per Heidegger, la situazione propria dell’esserci è l’abbandono: ritrovandosi gettato nel mondo, l’uomo vive in una condizione di profonda angoscia [8], costretto a subire tale situazione senza avere la minima possibilità di spiegarla.
Note:
[1] È doveroso, in via preliminare, fare chiarezza attorno alle differenti sfumature di significato tra due coppie concettuali. Innanzitutto con l’espressione scienze umane, oggi, ci si riferisce a un vastissimo gruppo di discipline: sociologia, diritto, antropologia, economia, linguistica, pedagogia, psicologia, geografia e tante altre. D’altro canto, si è soliti identificare le humanae litterae con l’oggetto di studio peculiare delle discipline umanistiche (storia, letteratura, filosofia, arte).
[2] In linea con la predilezione per tali discipline, la riscoperta dei classici greci e latini è alla base della nascita e della diffusione di un movimento culturale che pone al centro dell’universo della conoscenza l’uomo-microcosmo. L’umanesimo, che raggiunge il suo apice nell’Italia rinascimentale (in particolare a Firenze), si caratterizza, dunque, come storicamente determinato e localizzato in una precisa area geografica. Proprio in questo, esso si distingue dall’umanismo, termine con cui si è soliti indicare una vera e propria forma mentis, piuttosto che una singola corrente filosofica: dal pensiero greco (già con i Presocratici) la volontà di indagare i fondamenti della dignità e della condizione umana percorre tutta la storia della filosofia, intrecciandosi con gli insegnamenti religiosi e politici. Una riflessione sull’umanismo non può, però, prescindere dal concetto di humanitas teorizzato da Cicerone: una nozione che unisce i piani etico, politico e sociale, puntando sulla cura e sul perfezionamento delle virtù che l’uomo possiede per natura e che, una volta esercitate, porterebbero al raggiungimento del consensus bonorum e della concordia ordinum.
[3] Nella Lettera sull’umanismo, l’autore ci ricorda: «L’oblio della verità dell’essere a favore dell’imporsi dell’ente, non pensato nella sua essenza, è il senso di ciò che Sein und Zeit chiama “decadimento”» (p.59).
[4] M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, 1946, Adelphi, 2013, Milano, pp. 42-43.
[5] Ibidem, pp. 77-78.
[6] M. Heidegger, Essere e Tempo, 1927, Mondadori, 2014, Milano, p. 69.
[7] «L’essenza dell’esserci sta nella sua esistenza» (p. 69).
[8] Quello dell’angoscia è un tema chiave della filosofia e della letteratura esistenzialista, fin dal pensiero di Schopenhauer, passando per Dostoevskij e Kierkegaard, fino ad arrivare a Sartre, Heidegger, Cioran e Camus.
Bibliografia di riferimento:
- Heidegger M., Che cos’è metafisica?, 1929, Adelphi, 2001, Milano;
- Heidegger M., Essere e tempo, 1927, Mondadori, 2014, Milano;
- Heidegger M., Lettera sull’umanismo, 1946, Adelphi, 2013, Milano.
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